CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 12 novembre 2018, n. 28921
Pensione di vecchiaia – Anzianità contributiva – Principio della neutralizzazione – Applicazione
Fatti di causa
C. L., titolare di pensione di vecchiaia erogatale dall’Inps a decorrere dall’1.8.2005, ricorse al giudice del lavoro del Tribunale di Ravenna lamentando che le era stato corrisposto un importo mensile di € 479,33 inferiore a quello dovutole, in quanto non erano stati neutralizzati i periodi in cui aveva percepito una retribuzione inferiore rispetto a quella goduta in precedenza a decorrere daini febbraio 1994.
Il giudice adito accolse la domanda e condannò l’Inps alla riliquidazione della pensione. Proposta impugnazione dall’Inps, la Corte d’appello di Bologna (sentenza dell’1.6.2012) accolse il gravame e rigettò la domanda della C. A sostegno della decisione la Corte di merito spiegò che la cosiddetta neutralizzazione, anche dopo l’intervento della Corte Costituzionale nel 1994, operava solo all’interno del periodo degli ultimi cinque anni antecedenti il sorgere del diritto a pensione, con la conseguenza che non era fondata la richiesta della C. di vedersi neutralizzare l’intero periodo oggetto di causa, ben superiore ai cinque anni.
Per la cassazione della sentenza ricorre C. L. con due motivi, illustrati da memoria, cui resiste l’Inps con controricorso.
Ragioni della decisione
1. Col primo motivo, dedotto per violazione dell’art. 3, comma 8, della legge n. 297 del 1982, come risultante per effetto degli interventi della Corte Costituzionale, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., la ricorrente, nel contestare la decisione della Corte d’appello di escludere l’applicazione del principio della neutralizzazione per un periodo superiore ai cinque anni previsti dalla legge, chiede a questa Corte di riformare tale decisione e di affermare che la clausola di salvaguardia del livello virtuale di pensione raggiunto in itinere opera anche nel caso in cui – come nella fattispecie – la contribuzione che si colloca nella parte finale del rapporto contributivo e che comporta una riduzione della retribuzione media pensionabile e della relativa pensione superi i cinque anni, apparendo irrazionale che l’ulteriore anzianità contributiva possa provocare una riduzione del trattamento pensionistico. Ciò in quanto, secondo la ricorrente, non esiste un limite temporale alla contribuzione finale neutralizzabile, tanto che in precedenza in sede di legittimità si è avuto modo di dilatare l’ambito di applicazione del principio di irriducibilità del livello virtuale di pensione raggiunto in corso di rapporto, assumendosi lo stesso come principio di valenza generalizzata e, quindi, applicabile anche al di fuori delle fattispecie che hanno fornito alla Corte Costituzionale l’occasione di affermarlo.
In pratica la ricorrente spiega che l’oggetto della domanda, accolta dal primo giudice e respinta da quello di secondo grado, era rappresentato dalla richiesta di ricostruzione della pensione con esclusione della contribuzione affluita sulla posizione contributiva a partire dall’11 febbraio 1994. non indispensabile ai fini del perfezionamento del requisito contributivo richiesto per la pensione di vecchiaia, oltre che pregiudizievole ai fini della misura della pensione, in quanto tale da ridurre il livello della retribuzione media pensionabile sia della quota A della pensione di cui all’art. 13 del d.lgs n. 503/1992 (che si commisura alla retribuzione dell’ultimo quinquennio), sia della quota B (che si commisura alla media della retribuzione pensionabile dell’intera anzianità contributiva acquisita dall’1.1.1993).
2. Col secondo motivo, proposto per vizio di motivazione ex art. 360 n. 5 c.p.c., la ricorrente lamenta che l’impugnata sentenza è censurabile anche nella parte in cui, pur negando la possibilità di neutralizzare l’intero periodo contributivo comportante una riduzione del trattamento pensionistico, non ha nemmeno riconosciuto il diritto alla neutralizzazione dell’ultimo quinquennio. Aggiunge la ricorrente che il fatto di non aver articolato esplicitamente una domanda subordinata in tal senso non impediva alla Corte di merito di accoglierla egualmente entro i limiti della neutralizzabilità della contribuzione dell’ultimo quinquennio.
3. Osserva la Corte che i due motivi, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono infondati per le seguenti ragioni:
3. a. L’art. 3, comma 8, L. n. 297 del 1982 stabilisce: “Per le pensioni liquidate con decorrenza successiva al 30 giugno 1982, la retribuzione annua pensionabile per l’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti è costituita dalla quinta parte della somma delle retribuzioni percepite in costanza di rapporto di lavoro, o corrispondenti a periodi riconosciuti figurativamente, ovvero ad eventuale contribuzione volontaria, risultante dalle ultime 260 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione”.
La predetta disposizione stabilisce solo i criteri di calcolo, con sistema retributivo, delle pensioni “con decorrenza successiva al 30 giugno 1982”, mentre restano stabiliti aliunde i requisiti (anagrafici e di anzianità assicurativa e contributiva) per il perfezionamento del diritto a ciascun tipo di pensione.
3. b. L’art. 3, comma 8, della L. n. 297 del 1982 è stata oggetto di plurime pronunce della Corte Costituzionale.
Nella sentenza n. 388 del 1995 la Corte Costituzionale ha ribadito che “nella fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo, l’ulteriore contribuzione (qualunque ne sia la natura: obbligatoria, volontaria o figurativa) è destinata unicamente ad incrementare il livello di pensione già consolidatosi, senza mai poter produrre l’effetto opposto di compromettere la misura della prestazione potenzialmente maturata in itinere. Effetto che si appalesa irragionevole, siccome non rispondente all’esigenza di conformità dell’ordinamento ai valori di giustizia ed equità connaturati al principio sancito dall’art. 3 Cost. oltre ad essere in contrasto con le garanzie poste dal successivo art. 38”.
Lo stesso principio era stato affermato dalla Corte costituzionale, sempre in ipotesi di contribuzione successiva alla maturazione, in costanza di rapporto di lavoro, del requisito assicurativo e contributivo minimo, a sostegno della declaratoria di illegittimità costituzionale della disposizione in esame, nella parte in cui non prevede che la pensione di vecchiaia non potesse essere liquidata in misura inferiore, rispetto a quella che sarebbe spettata al raggiungimento dell’età pensionabile sulla base della sola contribuzione obbligatoria, nelle ipotesi di concorso di contribuzione volontaria (Corte cost. n. 307/89) e di contribuzione obbligatoria commisurata alle minori retribuzioni delle “ultime 260 settimane di contribuzione antecedenti la decorrenza della pensione” (Corte cost. n. 264/94).
L’art. 3, comma 8, cit. è stato dichiarato in contrasto con gli artt. 3 e 38 della Cost. anche nella parte in cui non consente, nel caso di godimento di pensione di anzianità in virtù di posizione assicurativa mista, che la pensione di vecchiaia successivamente maturata, al raggiungimento dell’età pensionabile appunto, dovesse essere ricalcolata sulla base della sola contribuzione obbligatoria, qualora essa porti ad un risultato più favorevole per il pensionato, (Corte. Cost. n. 428/92).
Ancora, recentemente, lo stesso principio è stato affermato dalla Corte Costituzionale in riferimento ad ipotesi di concorso di contributi per la disoccupazione nelle ultime 260 settimane antecedenti la decorrenza della pensione, (Corte Cost. n. 82/17).
4. Anche la giurisprudenza di legittimità è ormai consolidata nel ribadire che la contribuzione acquisita nella fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo non può tradursi nel detrimento della misura della prestazione pensionistica già virtualmente maturata (cfr. Cass. n. 4868 del 2014; Cass. n. 6966 del 2014; Cass. n. 29903 del 2011; Cass. n. 27829 del 2008).
4.a. Si è, correlativamente, precisato che la neutralizzazione non opera per quei periodi contributivi che concorrano ad integrare il requisito necessario per l’accesso al trattamento pensionistico (Cass. n. 25070 del 2017; Cass. n. 10323 del 2017; Cass. n. 6966 del 2014; Cass. n. 4868 del 2014; Cass. n. 20732 del 2004).
4.b. La disposizione dell’art. 3, comma 8, L. n. 297 del 1982, come risultante all’esito delle pronunce di illegittimità costituzionale passate in rassegna, non consente di ritenere esistente nell’ordinamento un principio in forza del quale “non è consentito escludere dal computo della pensione di vecchiaia di cui sia chiesta la riliquidazione … i contributi che siano già stati utilizzati ai fini del conseguimento della pensione di anzianità”.
4.c. La Corte Costituzionale, anche nell’ultima pronuncia n. 82 del 2017, ha ribadito come “sarebbe intrinsecamente irragionevole un meccanismo che, per la fase successiva al perfezionamento del requisito minimo contributivo, si tramutasse in un decremento della prestazione previdenziale, in antitesi con la finalità di favore che la norma persegue, nel considerare il livello retributivo, tendenzialmente più elevato, degli ultimi anni di lavoro” ed è logicamente sottinteso, a tale affermazione, il riferimento al requisito minimo contributivo in relazione allo specifico tipo di pensione richiesta.
4. d. D’altra parte, la pronuncia della Corte Cost. n. 428 del 1992 aveva ad oggetto una fattispecie in cui la pensione di anzianità era stata liquidata con l’apporto determinante della contribuzione volontaria di cui era stata richiesta la neutralizzazione ai fini della pensione di vecchiaia. Ciò non ha impedito al giudice delle leggi di dichiarare l’illegittimità dell’art. 3, comma 8, L. 297 del 1982 “nella parte in cui non consente, in caso di pensione di anzianità, che dopo il raggiungimento dell’età pensionabile, la pensione debba essere ricalcolata sulla base della sola contribuzione obbligatoria qualora porti ad un risultato più favorevole per l’assicurato”.
4. e. Occorre inoltre considerare che, ai sensi dell’art. 22, comma 6, L. n. 153 del 1969, “La pensione di anzianità è equiparata a tutti gli effetti alla pensione di vecchiaia quando il titolare di essa compie l’età stabilita per il pensionamento di vecchiaia”, il che comporta l’applicabilità, al compimento dell’età pensionabile, di tutta la disciplina, anche relativa ai requisiti contributivi, dettata per quest’ultimo tipo di pensione.
5. Tuttavia, il ricorso in esame non è condivisibile in quanto la C. pretende di estendere la neutralizzazione a periodi anteriori all’ultimo quinquennio, purché si tratti di periodi continuativi collocati nella parte finale del rapporto contributivo (v. in tal senso Cass. sez. Lav. n. 11649/2018).
5. a. Orbene, premesso che ai sensi dell’art. 13, D.Lgs. n. 503 del 1992, applicabile all’epoca di liquidazione della pensione della ricorrente, il riferimento all’ultimo quinquennio ai fini della retribuzione pensionabile è valido solo per la quota A di pensione (cfr. Cass. n. 22315 del 2016), deve richiamarsi quanto statuito sul punto dalla Corte Cost. nella sentenza n. 82 del 2017 che ha dichiarato l’illegittimità’ costituzionale del comma 8 dell’art. 3 della legge n. 297 del 1982 “nella parte in cui non prevede che, nell’ipotesi di lavoratore che abbia già maturato i requisiti assicurativi e contributivi per conseguire la pensione e percepisca contributi per disoccupazione nelle ultime duecentosessanta settimane antecedenti la decorrenza della pensione, la pensione liquidata non possa essere comunque inferiore a quella che sarebbe spettata, al raggiungimento dell’età’ pensionabile, escludendo dal computo, ad ogni effetto, i periodi di contribuzione per disoccupazione relativi alle ultime duecentosessanta settimane, in quanto non necessari ai fini del requisito dell’anzianità contributiva minima”.
5. b. L’eccezione di illegittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Ravenna investiva, tra l’altro, la mancata previsione del diritto alla neutralizzazione “dei contributi obbligatori, dei contributi per disoccupazione e dei contributi per integrazione salariale anche oltre il limite del quinquennio sempre che, nell’uno e nell’altro caso, gli stessi periodi contributivi non siano necessari per l’integrazione del diritto a pensione”.
5. c. La Corte Costituzionale, nell’accogliere l’eccezione di inammissibilità svolta dall’Avvocatura generale dello Stato, con riguardo alla richiesta di estendere la “neutralizzazione” dei contributi per disoccupazione e integrazione salariale anche oltre i limiti dell’ultimo quinquennio che prelude alla decorrenza della pensione, ha tuttavia precisato come “L’intervento auspicato si riverbera sulla determinazione del periodo di riferimento della retribuzione pensionabile, che esprime una scelta eminentemente discrezionale del legislatore (sentenza n. 388 del 1995, punto 4. del “Considerato in diritto”, e sentenza n. 264 del 1994, punto 3. del “Considerato in diritto”), volta a contemperare le esigenze di certezza con le ragioni di tutela dei diritti previdenziali dei lavoratori”.
5. d. L’opzione chiaramente espressa dalla Corte Costituzionale induce a ritenere che non ricorra la non manifesta infondatezza della questione di illegittimità costituzionale sul limite temporale alla neutralizzazione posto dalle disposizioni sopra citate.
6. Fermo, quindi, il limite quinquennale per la neutralizzazione dei periodi contributivi, sarebbe stata necessaria, ai fini della decisività della censura di cui al secondo motivo, in cui ci si lamenta della mancata applicazione della neutralizzazione quantomeno all’ultimo quinquennio, la specifica allegazione di idoneità della neutralizzazione delle ultime 260 settimane a determinare un trattamento pensionistico di maggior favore. Invece, la ricorrente si limita a sostenere in maniera apodittica che, anche se una tale domanda non era stata espressamente formulata in via subordinata, non vi era ragione per la quale la Corte di merito poteva esimersi dall’accogliere la domanda nei più ridotti limiti riferibili all’ultimo quinquennio.
Oltretutto, non solo difettano l’allegazione e la prova di decisività della censura, ma ricorre un indice rivelatore del contrario di quanto affermato dalla ricorrente: in particolare, rileva la motivazione adottata dall’Inps, e riportata a pag. 2 e della memoria della ricorrente, che ha rigettato la domanda di neutralizzazione sul rilievo che dall’estratto conto assicurativo (allegato n. 1 del fascicolo di primo grado) le retribuzioni degli anni precedenti l’ultimo quinquennio erano già inferiori a quelle da neutralizzare.
7. Né va trascurato, per quel che concerne il lamentato vizio di violazione di legge di cui al primo motivo, che secondo la giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 13184 del 2007; Cass. n. 886 del 2004), il vizio di violazione di legge deve, per regola generale, essere decisivo, ossia tale da comportare, se sussistente, una decisione diversa, favorevole al ricorrente. E’ pertanto necessario che il motivo di ricorso indichi non solo la regola che non va applicata al caso concreto, ma anche quella in concreto applicabile e l’idoneità di quest’ultima a determinare una decisione differente, favorevole all’impugnante; in difetto di tali requisiti, non è possibile apprezzare la decisività della censura e, dunque, l’interesse a proporla.
7. a. Nel caso di specie, la ricorrente ha censurato come erroneo il principio di diritto applicato dalla Corte d’appello ma non ha specificato se, e in base a quali elementi, la neutralizzazione limitata all’ultimo quinquennio contributivo avrebbe potuto determinare un trattamento pensionistico più favorevole.
8. In definitiva, il ricorso va rigettato.
Ricorrono i presupposti per poter dichiarare compensate tra le parti le spese del presente giudizio in considerazione della complessità della questione esaminata e dall’alterno esito dei giudizi di merito, nonché dell’articolata evoluzione giurisprudenziale registratasi in siffatta materia.
Sussistono, infine, i presupposti per la condanna della ricorrente al pagamento del contributo unificato di cui all’art. 13 del d.P.R. n. 115 del 2002 come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Spese compensate.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dei comma 1-bis dello stesso art. 13.
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