CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 settembre 2018, n. 22326
Agevolazioni fiscali – Credito d’imposta per l’acquisto di beni d’investimento in aree svantaggiate – Riscossione – Notificazione
Svolgimento del processo
La Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza n. 3/11/2010, emessa dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia e depositata l’11.01.2010.
Ha rappresentato che con avviso n. 885CR11000012, notificato alla Curatela del Fallimento Tre Z Plast s.r.l., l’Ufficio recuperava l’importo di € 58.919,00, di cui la società aveva beneficiato a titolo di credito d’imposta ai sensi della I. n. 388 del 2000 per l’acquisto di beni d’investimento in aree svantaggiate. Il recupero trovava ragione nella contestata cessione del predetto bene, avvenuta quando la società era ancora in bonis e prima del decorso termine quinquennale dall’acquisto, previsto dall’art. 8 della suddetta disciplina quale causa di perdita dell’agevolazione.
Avverso l’atto impositivo la Curatela aveva adito la Commissione Tributaria Provinciale di Bari, che con sentenza del 13.03.2008 ne accoglieva le ragioni. L’appello proposto dall’Agenzia era rigettato dalla Commissione Tributaria Regionale della Puglia con la sentenza ora impugnata sull’assunto della carenza di motivazione dell’atto impositivo, che ometteva di riportare i dati identificativi dell’operazione di cessione infraquinquennale, impedendo di accertare se, quando e come la cessione fosse avvenuta.
Avverso la pronuncia del giudice regionale l’Ufficio ha formulato due motivi di ricorso, censurando:
con il primo la violazione e falsa applicazione dell’art. 7, co. 1, della I. n. 212 del 2000, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 3, c.p.c., per avere la sentenza rappresentato erroneamente la realtà dei fatti, non difettando di motivazione l’atto impositivo;
con il secondo il difetto,di motivazione, in relazione all’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., perché la sentenza dà per scontata la prova della permanenza dell’immobile nel possesso della contribuente, senza porre a suo carico l’onere della prova.
ha chiesto pertanto la cassazione della sentenza.
Si è costituita la Curatela fallimentare, che ha preliminarmente eccepito profili di inammissibilità del ricorso e nel merito ne ha contestato le ragioni, chiedendone il rigetto. Ha depositato infine memorie ex art. 378 c.p.c.
All’udienza pubblica del 27 febbraio 2018, dopo la discussione, il P.G. e le parti hanno concluso. La causa è stata trattenuta in decisione.
Motivi della decisione
Esaminando preliminarmente le ragioni di inammissibilità del ricorso sollevate dalla controricorrente, esse sono entrambe infondate.
Con la prima si eccepisce che il ricorso omette di indicare la procura conferita all’Avvocatura dello Stato, di cui l’Agenzia può avvalersi ma che non la rappresenta ope legis.
Questa Corte ha ripetutamente affermato che in tema di contenzioso tributario l’Avvocatura dello Stato, per proporre ricorso per cassazione in rappresentanza dell’Agenzia delle entrate, deve avere ricevuto da quest’ultima il relativo incarico, del quale però non è necessario farne specifica menzione nel ricorso, atteso che l’art. 366, n. 5, c.p.c., inserendo tra i contenuti necessari “l’indicazione della procura, se conferita con atto separato”, fa riferimento esclusivamente alla procura intesa come negozio processuale attributivo dello “ius postulandi” -peraltro non necessario quando ¡I patrocinio dell’Agenzia delle entrate sia assunto dall’Avvocatura dello Stato- e non invece al negozio sostanziale attributivo dell’incarico professionale al difensore (Cass., Sez. 5, sent. 22434 del 2016; Sez. 5, sent. n. 14785 del 2011).
Con la seconda si eccepisce l’inammissibilità ai sensi dell’art. 360 bis, n. 1, c.p.c., in quanto la sentenza impugnata sarebbe stata resa in modo conforme alla giurisprudenza della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per mutare o confermare tale orientamento.
Sul punto è sufficiente evidenziare che l’ipotesi invocata riguarda le sole questioni di diritto, laddove nel caso di specie la ricorrente si duole anche del vizio motivazionale del provvedimento impugnato.
La controricorrente lamenta in ogni caso, anche con la memoria da ultimo depositata e sempre ai fini della declaratoria di inammissibilità del ricorso, il difetto di motivazione dell’avviso di recupero fondato sul rinvio al contenuto di un processo verbale di constatazione, comunicato e ricevuto dall’imprenditore quando era ancora in bonis, ma non trasmesso invece al curatore fallimentare destinatario dell’atto impositivo. Pur riscontrandosi un precedente orientamento favorevole alla prospettazione della difesa della contribuente, questa Corte ormai da tempo afferma la legittimità dell’avviso di accertamento notificato al curatore del fallimento, che sia motivato per relationem al processo verbale di constatazione precedentemente notificato al contribuente ancora in bonis. La dichiarazione di fallimento infatti non comporta il venir meno dell’impresa, ma solo la perdita della legittimazione sostanziale e processuale da parte del suo titolare ed il subentro del curatore fallimentare nella sua posizione, sicché gli atti del procedimento tributario formati in epoca anteriore alla dichiarazione di fallimento del contribuente, ancorché a lui intestati, sono opponibili alla curatela e da essa si presumono conosciuti (cfr. Cass., sent. n. 20166/2016; sent. 11784/2010). Si tratta di un orientamento ormai reiterato e condivisibile, atteso che l’obbligo di consegna al curatore della documentazione amministrativa dell’impresa fallita lascia ritenere, con presunzione iuris tantum, che anche il processo verbale di constatazione notificato al fallito in bonis sia pervenuto nella disponibilità del curatore e dallo stesso sia quindi conosciuto. Viene pertanto meno la necessità che l’atto impositivo riporti in allegato il processo verbale richiamato per relationem (Cass., sent. n. 24254/2015). Nessuna norma posta a presidio della garanzia della motivazione dell’atto impositivo (nel caso di specie dell’atto di recupero) risulta pertanto violata.
Esaminando ora il merito, con il primo motivo l’Agenzia sostiene l’errore di diritto in cui sarebbe caduta la Commissione regionale nell’affermare il difetto di motivazione dell’avviso di accertamento. Al contrario l’atto impositivo era completo nei suoi presupposti di fatto e di diritto.
La sentenza impugnata così motiva la decisione favorevole al contribuente <<il Collegio osserva che assume rilievo assorbente la riproposizione, da parte della società appellata, dell’eccezione di difetto di motivazione sotto il profilo della mancata specificazione degli estremi dell’atto di cessione che ha originato l’avviso di recupero opposto e della mancata allegazione del relativo atto di vendita….. Dagli atti di causa risulta incontrovertibilmente che l’Agenzia appellante non ha indicato nessuno degli estremi dell’atto di cessione posto a base dell’atto opposto né ha fornito la prova della sua esistenza effettiva mediante il relativo deposito nel fascicolo processuale: tale atteggiamento omissivo, peraltro, è stato osservato anche nel presente grado di giudizio, rendendo impossibile alla società contribuente di svolgere la propria difesa sul punto. L’omessa indicazione dei dati identificativi dell’atto di cessione e la mancata allegazione della relativa copia fanno, quindi, ritenere solo presunta -ma non comprovata- la cessione, nel quinquennio, del bene acquisito coi benefici previsti per le aree svantaggiate del Paese di cui alla legge n. 388/2000, facendo venire meno il presupposto sostanziale e la stessa motivazione dell’atto impugnato col ricorso introduttivo>> (ultima pagina della sentenza).
Tenendo conto della motivazione della sentenza, il primo motivo è inammissibile, perché la ricorrente pretende di ricondurre nell’alveo del vizio interpretativo delle norme una valutazione di fatto sviluppata nella pronuncia impugnata. Questa infatti ha recepito le doglianze della contribuente, che aveva evidenziato come nell’atto impositivo e negli atti processuali si sostenesse la cessione infraquinquennale del bene acquistato con i benefici della legge n. 388 del 2000, senza però offrire i dati identificativi dell’atto di cessione . Ha pertanto constatato che mancava in tutti gli atti della Agenzia, a partire dallo stesso avviso di accertamento, ogni riscontro della operazione incriminata. Trattasi di un accertamento in fatto, che prescinde da interpretazioni giuridiche, perché con esso il giudice regionale ha avvertito la carenza dei dati riportati nella motivazione dell’avviso di accertamento, carenza a suo dire protrattasi anche nelle successive fasi processuali, e persino nel ricorso de quo, sicché non era possibile materialmente comprendere se ci fosse e quale fosse l’atto di cessione.
Il secondo motivo è fondato. Con esso l’Agenzia sostiene il vizio motivazionale dolendosi che il giudice regionale abbia invertito l’onere probatorio. Sostiene invece che a fronte della indicazione nell’avviso di recupero della data di cessione e della produzione della visura storica dell’immobile sarebbe stato onere della contribuente dimostrare il contrario.
Il giudice regionale ha affermato che l’Ufficio non ha mai prodotto né indicato gli estremi dell’atto di cessione, con evidenza sostenendo la carenza di riscontri oggettivi dell’operazione incriminata e dunque dei presupposti per il recupero del credito d’imposta. Con ciò ha sostanzialmente aderito alla prospettazione difensiva della curatela contribuente, che ha denunciato la carenza di riferimenti degli estremi della cessione.
Sennonché, a fronte della data dell’atto di cessione indicata dalla Amministrazione (12.01.2006) e della produzione di una visura storica, la cui esistenza non è contestata dalla controricorrente, la motivazione della sentenza (secondo cui dagli atti di causa risulterebbe incontrovertibile l’omessa indicazione degli estremi dell’atto di cessione) appare insufficiente quando non contraddittoria. Sarebbe stato necessario argomentare espressamente su tale visura, quanto meno al fine di verificarne la completezza. Ciò perché, allegata la visura storica dell’immobile, quando in essa fossero riscontrati gli estremi dell’atto di cessione denunciato, l’Amministrazione avrebbe sufficientemente adempiuto al proprio onere probatorio, spettando a questo punto alla contribuente offrire una prova contraria della contestata cessione dell’immobile.
In conclusione la motivazione della sentenza risulta incompleta e il motivo di ricorso è fondato, essendo compito della Commissione regionale la verifica del contenuto e dell’oggetto della visura, quale adempimento che si colloca processualmente e sul piano logico in un momento anteriore alla formulazione di una valutazione sulla sussistenza di una prova dei fatti e delle eventuali inadempienze agli oneri probatori gravanti sulla Amministrazione.
La sentenza va pertanto cassata e la causa va rinviata alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia, che in diversa composizione dovrà decidere approfondendo gli aspetti probatori individuati, nonché sulle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il primo motivo, accoglie il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale della Puglia che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese.
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