CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 13 settembre 2018, n. 22385
Ricorso per revocazione – Errore di fatto revocatorio – Falsa percezione della realtà che ha condotto a supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa – Inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato – Non costituiscono vizi revocatori delle sentenze di Cassazione, né l’errore di diritto sostanziale o processuale, né l’errore di giudizio o di valutazione
Fatti di causa
A. Srl proponeva ricorso per revocazione della sentenza n. 2009/2017, con la quale questa Corte aveva rigettato la domanda della società diretta ad ottenere la condanna dell’Inps alla restituzione della somma pari al 90% dei contributi versati nel triennio 1995-1997 ai sensi del combinato disposto degli artt. 9, co.17, I. n. 289/2002, art. 4,co.90, I. n. 350/2003 e art. 3 quater I.n. 17/2007, ritenendo la società decaduta dalla domanda diretta ad ottenere le predette somme, essendo stata presentata apposita istanza nel dicembre 2008 e quindi successivamente al termine fissato al 31.7.2007 per le domande di regolarizzazione (art. 4, co. 90, I.n. 350/2003).
Il Giudice di legittimità aveva ritenuto che il termine predetto, fissato per la regolarizzazione delle domande, fosse applicabile anche per le ipotesi di contributi già versati di cui era richiesta la restituzione,in ragione della stessa dizione della disposizione, diretta a “regolarizzare le posizioni” sia di coloro che avrebbero potuto versare il 10% del dovuto , sia di coloro che, avendolo già versato per intero, ne richiedevano la restituzione nella misura del 90%. Il termine in questione era ritenuto decadenziale essendo la domanda amministrativa condizione necessaria per usufruire del beneficio.
Avverso tale decisione A. srl proponeva ricorso per revocazione affidandolo a 5 motivi cui ha resistito l’Inps con controricorso.
Entrambe le parti depositavano successive memorie.
Ragioni della decisione
1) Con il primo motivo la società denuncia l’errore revocatorio per omessa disamina di motivi rilevanti, quali la disposizione di cui all’art. 1, co.665 I. n. 190/2014. Si duole la ricorrente che, pur avendo segnalato in sede di memoria ex art. 278 c.p.c., la normativa sopravvenuta di cui alla predetta disposizione, la Corte non avesse preso in considerazione la stessa. Nel corso della pubblica udienza la società ha sostanzialmente rinunciato a tale motivo; lo stesso è risultato peraltro infondato in quanto la sentenza oggetto di revocazione alla pagina 5 contiene non solo il richiamo della disposizione in esame, ma la valutazione di inapplicabilità della stessa alla fattispecie in scrutinio in ragione della distinzione tra i beneficiari della restituzione di cui all’art. 4 comma 90, I.n. 350/2003, (tra i quali l’A.), da quelli di cui all’art. 9, comma 17, I.n. 289/2002, per i quali la disposizione richiamata consentiva una proroga del termine per la presentazione della domanda di regolarizzazione. Il motivo deve essere comunque disatteso.
2) Con il secondo motivo è denunciato l’errore revocatorio su fatto non controverso quale la non recuperabilità delle somme versate quali aiuti di Stato come decisa dalla Commissione europea con la Direttiva 14.8.2015.
Sostiene la società che la decisione assunta dalla sentenza oggetto di revocazione si porrebbe in contrasto con la direttiva in questione.
3) Con il terzo motivo è denunciato il contrasto tra la norma interna dispositiva della decadenza, applicata dalla Corte di legittimità alla fattispecie, ed il diritto dell’Unione con riguardo alla competenza esclusiva della Commissione in materia di concorrenza tra imprese e della parte dispositiva della Decisione 14.8.2015 della Commissione Europea.
4) Il quarto motivo attiene al contrasto del regime decadenziale applicato alla fattispecie con i principi di buona fede e di legittimo affidamento del cittadino come tutelati dall’art. 6 CEDU
5) il quinto motivo attiene all’errore di fatto (decadenza) preclusivo della valutazione della interferenza tra norme nazionali applicate e principi di uguaglianza di non discriminazione ex art. 2 TFUE e art 14 CEDU.
I quattro motivi sopra indicati possono essere trattati congiuntamente perché attinenti, sostanzialmente, a criticare la valutazione già svolta dalla Corte in punto di ritenuta decadenza, sia con riferimento alle disposizioni del diritto interno che di quello dell’unione, ed estranei, dunque, all’errore revocatorio invocato.
Deve infatti precisarsi che, come chiarito da questa Corte in molteplici occasioni, “l’errore di fatto revocatorio, ai sensi dell’art. 395, comma 4, c.p.c., consiste in una falsa percezione della realtà, in una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, che abbia condotto ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo, incontestabilmente escluso dagli atti e dai documenti di causa, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che, dagli stessi atti e documenti, risulti positivamente accertato, sicché i vizi relativi all’interpretazione della domanda giudiziale non rientrano nella nozione di “errore di fatto” denunciabile mediante impugnazione per revocazione. (Cass. n. 6405/2018)
Non costituiscono quindi vizi revocatori delle sentenze della S.C., ex artt. 391 bis e 395, n. 4, c.p.c., né l’errore di diritto sostanziale o processuale, né l’errore di giudizio o di valutazione. Con riguardo al sistema delle impugnazioni, la Costituzione non impone al legislatore ordinario altri vincoli oltre a quelli, previsti dall’art. 111, relativi alla ricorribilità in cassazione per violazione di legge di tutte le sentenze e dei provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari e speciali, sicché non è irrazionale la scelta del legislatore di riconoscere ai motivi di revocazione una propria specifica funzione, escludendo gli errori giuridici e quelli di giudizio o valutazione, proponibili solo contro le decisioni di merito nei limiti dell’appello e del ricorso per cassazione (Cass. 30994/2017)
Alla luce dei principi enunciati deve quindi escludersi che i motivi di censura possano riferirsi ad un errore revocatorio, in quanto alcuna falsa percezione della realtà o alcun fatto sostanziale inosservato o mal percepito è rinvenibile in essi, tale da costituire errore revocatorio. Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E. 4.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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