CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 14 febbraio 2019, n. 4431
Trasferimento di azienda ex art. 2112 cc – Licenziamento – Ilegittimità – Accertamento – Mancato superamento del patto di prova
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Palermo, con la sentenza n. 1058/2016, pubblicata il 21.12.2016, in riforma della pronuncia n. 1696/2016 emessa dal Tribunale della stessa città, ha respinto le domande avanzate in primo grado da G. Di C., F. F. e F. A., con le quali, sul presupposto di un avvenuto trasferimento di azienda ex art. 2112 cc tra la S. e Servizi V. seri (di seguito S.V.. seri), presso cui i ricorrenti avevano lavorato fino al 22 gennaio 2014 (data in cui gli era stata comunicata la lettera del licenziamento collettivo), e la S. e Servizi spa (di seguito S.E. spa), avevano chiesto dichiararsi la illegittimità del licenziamento da quest’ultima società intimato loro il 22.3.2014 per mancato superamento del patto di prova, apposto al contratto a tempo determinato intercorso tra le parti il 21.1.2014, con decorrenza però dal successivo 23 gennaio 2014; la Corte ha dichiarato, altresì, inammissibili le restanti domande proposte in via subordinata finalizzate alla declaratoria di nullità dei patti di prova apposti ai contratti a termine stipulati con la società, alla illegittimità delle rispettive clausole a termine e, relativamente alla sola A., quella volta alla declaratoria di nullità del licenziamento perché irrogato in stato di gravidanza.
2. A base del proprio decisum, e per quello che interessa in questa sede, la Corte distrettuale ha precisato che: 1) non rilevava l’operatività della disciplina di cui all’art. 2112 cc in quanto il rapporto di lavoro dei ricorrenti, con la asserita cedente, erano cessati prima di quelli intercorsi con la asserita cessionaria, di talché non avrebbe potuto ipotizzarsi la continuazione di un rapporto di lavoro non più in vita; 2) il dedotto trasferimento di azienda non poteva considerarsi già verificato per effetto della delibera della giunta regionale n. 6 del 15.1.2014, con la conseguenza che alla data del licenziamento irrogato da S.V.. seri i lavoratori avrebbero già dovuto ritenersi transitati ex art. 2112 cc alla S.E. spa, perché la suddetta delibera aveva un valore sostanzialmente programmatico e non attuativo del trasferimento; 3) le domande spiegate in via subordinata di nullità del patto prova apposto ai contratti a termine stipulati con SISE, di nullità delle clausole con cui detti termini erano stati apposti e, per la sola A., la nullità del recesso in quanto adottato durante la gravidanza, erano inammissibili perché non proponibili con il rito cd. Fornero; 4) sussistevano giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese del doppio grado di giudizio.
3. Avverso la decisione di secondo grado hanno proposto ricorso per cassazione G. Di C., F. F. e F. A. affidato a quattro motivi.
4. La S. e Servizi spa non ha svolto attività difensiva.
5. Nelle more del giudizio i soli Di C. e F. hanno depositato atti di rinunzia notificati ed accettati dalla società; la A., in relazione all’udienza pubblica del 12.12.2018 ha presentato note illustrative.
Ragioni della decisione
1. In via preliminare, relativamente alla posizione di Di C. G. e F. F., deve essere rilevata la incidenza della rinuncia (rispetto alla cessazione della materia del contendere), in quanto il legislatore di cui al D.lgs. n. 40/2006, inequivocamente volto al rafforzamento della funzione nomofilattica della corte di legittimità, a sua volta agevolata da una definizione del giudizio di cassazione alternativa alla decisione, e dalla nuova formulazione dell’art. 391 secondo comma c.p.c., per il quale il ricorrente può (e non più deve) essere condannato alle spese, ha avallato l’ipotesi che si sia voluto dar luogo ad una sorta di incentivazione della rinuncia, che prevale quale manifestazione della volontà abdicativa rispetto ad altre forme decisionali (in termini Cass. 26.7.2008 n. 19154; Cass. 7.11.2008 n. 26850; Cass. 28.12.2009 n. 27425).
2. In relazione al suddetto profilo, la fattispecie è disciplinata dall’art. 390 c.p.c., nella formulazione vigente, applicabile, ai sensi dell’art. 75 co. 2 DI. n. 69/2013, ai giudizi dinanzi alla Corte di Cassazione nei quali il decreto di fissazione dell’udienza o dell’adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione dello stesso decreto legge (legge n. 9.8.2013 n. 98, entrata in vigore il 21.8.2013). Ai sensi della citata disposizione, la rinuncia deve farsi con atto sottoscritto dalla parte e dal suo avvocato o anche da questo solo se è munito di mandato speciale a tale effetto. L’atto di rinuncia è notificato alle parti costituite o comunicato agli avvocati delle stesse che vi appongono il visto. Nel giudizio di cassazione, diversamente da quanto previsto dall’art. 306 c.p.c., la rinuncia al ricorso è produttiva di effetti a prescindere dalla accettazione delle altre parti, che non è richiesta dall’art. 390 c.p.c. La rinuncia al ricorso per cassazione, essendo atto unilaterale recettizio, produce quindi l’estinzione del processo, senza che occorra l’accettazione, perché determina il passaggio in giudicato della sentenza impugnata e comporta il conseguente venir meno dell’interesse a contrastare l’impugnazione (Cass. Sez. Un. n. 1923/1990; Cass. n. 4446/1986; Cass. n. 23840/2008); gli adempimenti previsti dalla norma sono finalizzati, invece, soltanto ad ottenere l’adesione delle altre parti ad evitare la condanna alle spese del rinunziante ex art. 391 c.p.c.(Cass n. 2317/2016; Cass. n. 3971/2014).
3. Nel caso de quo, pertanto, va dichiarata l’estinzione del processo per il Di C. ed il F. mentre per le spese, in assenza di attività difensiva svolta dalla società, nulla deve, invece, essere disposto; in materia di impugnazioni, la declaratoria di estinzione del giudizio esclude, infine, la applicabilità dell’art. 13 comma 1 quater del DPR n. 115/2002 relativo all’obbligo della parte impugnante non vittoriosa di versare una somma pari al contributo già versato all’atto della proposizione dell’impugnazione (Cass. 30.9.2015 n. 19560).
4. Con riguardo alla posizione di A. F., invece, con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2112 cc, in relazione all’art. 360 c. 1 n. 5 c.p.c., per non avere nulla detto la gravata sentenza in ordine alla applicabilità o meno, al rapporto in oggetto, della norma citata (art. 2112 cc); si chiede, a tal uopo, la verifica dei presupposti di applicabilità della disposizione alla luce delle risultanze documentali acquisite.
5. Con il secondo motivo si denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 2119 cc, dell’art. 2969 cc, in relazione all’art. 6 legge n. 604/1966 e degli artt. 1362 e ss cc, degli artt. 416 e 115 c.p.c., in relazione all’art. 360 c. 1 n. 3 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto oggetto di indagine e di eccezione, nel giudizio, l’esistenza o meno del licenziamento collettivo intimato dalla precedente azienda, che mai aveva formato oggetto del petitum e della causa petendi e per non avere tenuto conto della circostanza che non vi era stata soluzione di continuità tra i due rapporti di lavoro con la S.V.. seri e con la S.E. spa.
6. Con il terzo motivo la ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell’art. 112 e 113 c.p.c., in relazione all’art. 360 c. 1 n. 4 c.p.c., per avere omesso la Corte di appello l’esame delle domande tutte proposte in via gradata nel ricorso introduttivo e, cioè, quelle relative alla nullità del patto di prova, alla nullità del termine apposto al contratto stipulato con la SI.SE e alla nullità del licenziamento adottato per il suo stato di gravidanza.
7. Con il quarto motivo, erroneamente indicato come quinto, si sostiene la violazione falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per errata statuizione, in assenza di ogni presupposto, sulla compensazione delle spese di lite.
8. Preliminarmente deve precisarsi che non può attribuirsi, come invece richiesto dalla ricorrente nelle note ex art. 378 c.p.c., alcuna efficacia riflessa -nel presente giudizio- alla vicenda di cui verbale di transazione, intervenuto il 20.1.2017 tra altri 58 dipendenti della S.V. seri e la S.E. spa, in relazione alla sentenza n. 1783/2016 resa dal Tribunale di Palermo che aveva riconosciuto il diritto dei lavoratori a proseguire nel loro rapporto di lavoro con la seconda società in forza del trasferimento di azienda avvenuto in data 31.12.2013: nell’atto transattivo i 58 lavoratori rinunciavano al risarcimento del danno previsto nella suddetta pronuncia e la S.E. spa rinunciava a proporre appello avverso la stessa.
9. Infatti, in primo luogo deve osservarsi che la transazione, rispetto alla sentenza del Tribunale di Palermo, riveste certamente carattere novativo rispetto al decisum in quanto ha comportato la rinuncia al risarcimento dei danni ivi previsto e, quindi, ha modificato un aspetto considerevole dell’impianto deliberativo sostituendosi, pertanto, ad essa.
10. In secondo luogo, va sottolineato che comunque l’accertamento contenuto nella sentenza passata in giudicato non estende i suoi effetti, né è vincolante nei confronti dei terzi ma, quale affermazione obiettiva di verità, è idoneo a spiegare efficacia riflessa verso i soggetti estranei al rapporto processuale sempre che il terzo non sia titolare di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale il giudicato interviene (in termini Cass. 17.5.2017 n. 12252; Cass. 2.12.2015 n. 24558).
11. Nel caso in esame, dagli atti prodotti non si può desumere, automaticamente, la dipendenza del diritto dell’odierna ricorrente rispetto a quelli degli altri lavoratori, nell’ambito del giudizio definito con la transazione, perché nell’ambito della stessa realtà aziendale la fattispecie del trasferimento dell’azienda può diversamente articolarsi rispetto ai singoli soggetti per i diversi ruoli e mansioni da essi rivestiti.
12. Venendo all’esame dei motivi, osserva il Collegio che il primo, relativo alla mancata motivazione sulla applicabilità o meno, al rapporto in oggetto della norma di cui all’art. 2112 cc, non coglie nel segno perché la Corte territoriale, a differenza di quanto sostenuto dal ricorrente, ha escluso nella fattispecie in esame l’operatività della disciplina dell’art. 2112 cc in quanto, al momento del dedotto trasferimento, i rapporti lavorativi non erano più in vita con la cedente. Ne consegue che, in relazione a tale ratio decidendi, la doglianza -come proposta ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 5 cpc- non è pertinente.
13. Il secondo motivo è infondato.
14. Invero, la questione dell’intervenuta pregressa cessazione del rapporto di lavoro dell’A. con la S.V.. seri, presa in considerazione dalla Corte territoriale (certamente non sotto il profilo dell’eccezione di decadenza dall’impugnazione) ai fini di valutare la sussistenza di un trasferimento di azienda ex art. 2112 cc tra le due società, non può considerarsi questione nuova atteso che la circostanza era stata delineata innanzi al Tribunale in primo grado, come risulta dalla stessa prospettazione dell’odierno ricorrente (pag. 2 del ricorso).
15. In tema di procedimento di appello, infatti, è qualificabile come eccezione nuova solo quella che non abbia alcuna connessione logica con quanto dedotto in primo grado, così da costituire una ragione di indagine diversa da quella ivi espletata; né può essere considerata nuova la questione di diritto prospettata a corredo della già avvenuta deduzione di un fatto impeditivo od estintivo della pretesa azionata con la domanda avversaria (Cass. 5.2.2013 n. 2641; Cass. 16.7.2004 n. 13253).
16. Nel rito del lavoro, poi, la preclusione in appello di un’eccezione nuova sussiste nel solo caso in cui la stessa, essendo fondata su elementi e circostanze non prospettati nel giudizio di primo grado, abbia introdotto in secondo grado un nuovo tema di indagine, così alterando i termini sostanziali della controversia e determinando la violazione del principio del doppio grado di giurisdizione (cfr. Cass. 15.3.2016 n. 5051).
17. Nel caso in esame, invece, le questioni relative al licenziamento collettivo di cui era destinataria la ricorrente, la nuova stipulazione del contratto a termine e la decorrenza successiva dello stesso, erano fatti già prospettati in primo grado e la Corte si è limitata a prenderli in considerazione, senza che ciò possa costituire un nuovo tema di indagine, ai soli fini di accertare se si fosse potuto ipotizzare un trasferimento di azienda la cui insussistenza, per la non applicabilità dell’art. 2112 cc nel caso de quo, era stata eccepita dalla società S.E. spa.
18. Si è in presenza, pertanto, non di una alterazione dell’oggetto sostanziale e dei termini della controversia, bensì di una elaborazione dei dati processuali allegati ed acquisiti ai fini di ritenere dimostrato un capo della domanda.
19. Il terzo motivo, come proposto, è inammissibile perché la Corte di merito si è espressa sulla problematica delle domande avanzate in via subordinata dalla ricorrente ritenendole inammissibili perché proposte con il cd. rito “Fornero” e perché fondate su fatti diversi da quelli posti a fondamento della impugnativa di licenziamento.
20. Giova precisare che costituisce vizio di omessa pronuncia l’omissione di qualsiasi decisione su un capo della domanda e su un’eccezione di parte o su un’istanza che richieda una statuizione di accoglimento o rigetto, tale da dare luogo all’inesistenza di una decisione sul punto per la mancanza di un provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto (Cass. 23.2.21995 n. 2085) salva l’ipotesi in cui ricorrano gli estremi di una reiezione implicita della pretesa o della deduzione difensiva ovvero di un loro assorbimento in altre declaratorie (Cass. 25.2.2005 n. 4079; Cass. 29.7.2004 n. 14486).
21. Nella fattispecie in esame, invece, una deliberazione, sia pure in rito, da parte dei giudici di seconde cure vi è stata e, pertanto, tecnicamente non si verte in una ipotesi rientrante nel vizio denunciato.
22. Solo per completezza è opportuno sottolineare che le domande avanzate in via subordinata in modo esatto sono state ritenute non fondate sugli identici fatti costitutivi dell’impugnativa del licenziamento in quanto non fondate sul comune presupposto della vicenda estintiva del rapporto (cfr. Cass. 16.8.2016 n. 17107) rappresentato dalla vigenza del rapporto di lavoro con la società cedente al momento del presunto trasferimento dell’azienda al cessionario.
23. Il quarto motivo è, infine, anche esso inammissibile per insindacabilità della statuizione sulle spese, da parte dell’odierna ricorrente, totalmente soccombente in secondo grado e nei cui confronti vi è stata una pronuncia di compensazione, atteso il divieto di cui all’art. 91 c.p.c. di porre le spese del giudizio, sia pure in parte, a carico della parte vittoriosa individuata in quella la cui impostazione difensiva sia risultata nel processo pienamente giustificata (Cass. 25.1.1983 n. 704): nella fattispecie in concreto appunto la società.
24. Alla stregua di quanto esposto il ricorso di A. F. deve essere rigettato.
25. Nulla va disposto in ordine alle spese del presente giudizio non essendosi la società costituita. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara l’estinzione del processo relativamente ai ricorsi di Di C. G. e F. F.; rigetta il ricorso di A. F.. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente A., dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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