CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 gennaio 2019, n. 978
Professionisti – Liquidazione della pensione di anzianità – Diritto – Applicazione del principio del pro rata
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza n. 561/2016, ha rigettato il gravame proposto dalla Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali avverso la sentenza del Tribunale della stessa città che aveva accolto il ricorso del rag. G. C. V. volto a far accertare il diritto del medesimo alla liquidazione della pensione di anzianità con decorrenza dal 1.12.2005, senza tener conto di quanto stabilito dalla Cassa con delibera 22.6.2002 e successive modificazioni.
La Corte territoriale dava atto che la Cassa aveva aderito ai principi enunciati dalla Corte di Cassazione rispetto all’applicazione del principio del prò rata, limitandosi poi ad argomentare – rigettandole – solo sulle non rinunciate eccezioni di decadenza e prescrizione, oltre che sull’applicazione alla pensione in questione del c.d. coefficiente di neutralizzazione, ritenendo, per un verso che la questione ad esso relativa non fosse stata oggetto di alcun specifico motivo di gravame e che comunque la pretesa della Cassa in proposito fosse infondata, in quanto tale coefficiente rientrava nell’ambito del principio del prò rata e quindi anch’esso era illegittimo per le pensioni che soggiacevano all’applicazione rigorosa di esso secondo il testo originario dell’art. 1, co. 12 cit.
2. La Cassa Nazionale dei Ragionieri ha proposto ricorso per cassazione incentrato su tre motivi, cui ha resistito il V. con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria illustrativa delle rispettive difese.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente afferma l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione dell’art. 3, co. 12, L. 335/1995 per avere avallato la pretesa del professionista, calcolata con criteri errati sotto il profilo della suddivisione in sub-quote in ragione del mutamento nel tempo, dal 1995 in poi, dei criteri di determinazione e per avere considerato, nel calcolo, gli ultimi redditi anteriori al pensionamento e non, come avrebbe dovuto essere, gli ultimi redditi anteriori al Regolamento del 1997, quale punto di riferimento da applicare nel determinare la quota retributiva della pensione.
1.1 II motivo è inammissibile.
1.2 La sentenza impugnata, dopo avere dato atto dell’adesione della Cassa, con «atto depositato il 20.4.2016» e quindi successivamente alla proposizione dell’appello, ai principi enunciati dalla Corte di Cassazione rispetto ai trattamenti pensionistici quale quello oggetto di causa, ha motivato esclusivamente sulle eccezioni di decadenza e prescrizione (non più oggetto del presente ricorso per cassazione) e sulla questione inerente i c.d. coefficienti di neutralizzazione.
1.3. Era pertanto onere della Cassa ricorrente censurare tale impostazione decisionale dimostrando che la scelta della Corte territoriale di limitare in tal senso l’ambito decisionale, per l’intervenuta rinuncia agli altri profili fosse errata, ma sul punto nulla di specifico risulta affermato, avendo la ricorrente argomentato soltanto al fine di suffragare i diversi criteri di calcolo da essa propugnati.
2. Con il secondo motivo la Cassa afferma l’illegittimità della sentenza impugnata per violazione degli artt. 416 e 436 c.p.c., nella parte in cui essa ha sostenuto che la questione sulla mancata applicazione del coefficiente di neutralizzazione da parte del primo giudice non avrebbe formato oggetto di alcuno specifico motivo di gravame, sicché essa esulerebbe dalla materia del giudizio di appello.
Con il terzo motivo si afferma invece la violazione (art. 360 n. 3 c.p.c.) dell’art. 3, co. 12, L. 335/1995 per avere nel merito la Corte ritenuto non applicabile al caso di specie il predetto coefficiente di neutralizzazione.
3. I motivi, da esaminare congiuntamente per la loro intima connessione, sono fondati.
3.1 Non può dirsi che la questione sul coefficiente di neutralizzazione non fosse stata devoluta al giudice dell’appello.
Come emerge infatti dal punto 60 dell’atto di appello, riportato a pag. 19 del ricorso in cassazione, nell’esporre i criteri di calcolo della quota retributiva della pensione ritenuti corretti, la Cassa fece riferimento proprio a tale coefficiente di neutralizzazione, lamentando altresì che il Tribunale non avesse dato conto (v. il punto f di pag. 18 del ricorso per cassazione) delle ragioni di diritto che avrebbero reso illegittime le delibere del 7.6.2003 e 20.12.2003 da cui derivava anche l’introduzione di quel coefficiente.
Non può quindi sostenersi, come ha fatto la Corte territoriale, che non vi fosse stata devoluzione in appello, anche tenuto conto che l’atto di appello «mantiene la sua diversità rispetto alle impugnazioni a critica vincolata» ed è quindi sufficiente che esso contenga la «chiara individuazione delle questioni e dei punti contestati della sentenza impugnata» (nel caso di specie integrata dalla riproposizione della questione sui coefficienti in questione) «affiancando alla parte volitiva una parte argomentativa che confuti e contrasti le ragioni addotte dal primo giudice» (profilo integrato dal fatto stesso che si lamentasse la mancata presa di posizione del Tribunale sul predetto punto) «senza che occorra l’utilizzo di particolari forme sacramentali» (Cass., S.U., 16 novembre 2017, n. 27199).
4. Ciò posto e venendo al merito, di cui al terzo motivo, si osserva come non sia qui in discussione il fatto che, trattandosi di pensione anteriore al 1.1.2007, la quota retributiva, secondo quanto stabilito da Cass., S.U., 8 settembre 2015, n. 17742 e Cass. S.U., 16 settembre 2015, n. 18136, vada calcolata sulla base dei criteri vigenti anteriormente alle delibere del 2002, 2003 e 2004, con cui la Cassa ha stabilito un diverso (e tendenzialmente meno favorevole) assetto delle mensilità da considerare per determinare il reddito da porre a base di calcolo. E ciò in forza del prevalere su tali delibere, fino alla modificazione dell’art. 3 cit. intervenuta con l’art. 1, comma 763, della L. n. 296 del 2006, poi autenticamente interpretato dell’art. 1 comma 488 L. 147/2013.
5. L’oggetto del presente contenzioso è però quello in ordine al se i coefficienti di neutralizzazione restino anch’essi soggetti alla disciplina del prò rata, quale prevista dall’art. 3, co. 12, L. 335/1995 (nel testo qui applicabile ed anteriore alle citate modifiche) o se restino estranei ad essa.
5.1 Tali coefficienti, senza incidere sulla quota contributiva della pensione di anzianità, riducono progressivamente la misura della quota retributiva di essa, in ragione dell’età dell’interessato, andandosi da un massimo di riduzione del 45,9% per l’età di 57 anni, ad un minimo di riduzione del 7,3% per chi andasse in pensione con 64 anni di età.
I coefficienti in questione sono stati introdotti con la Delibera del 7 giugno 2003 (poi assorbita da analoghe previsioni delle successive Delibere del 2003 e del 2004) contestualmente alla previsione della possibilità, dapprima esclusa, che la pensione di anzianità venisse cumulata con lo svolgimento di altre attività, ivi compresa la prosecuzione di quella propria del ragioniere.
5.2 La modificazione trova fondamento, nel rispetto di un assetto regolamentare destinato a muoversi nell’ambito della legislazione che lo disciplina a meno che sia espressamente consentita la deroga alla normativa primaria (Cass. 30 ottobre 2013, n. 24534, ma anche Cass. 13 novembre 2014, n. 24221; Cass. 30 luglio 2012, n. 13607), nel potere attribuito alle Casse privatizzate dall’art. 44, comma 7, L. 289/2002. Secondo tale norma, «gli enti previdenziali privatizzati possono applicare le disposizioni di cui al presente articolo (ovverosia le disposizioni che consentono la cumulabilità tra pensione di anzianità e redditi da lavoro nell’ambito dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, n.d.r.) nel rispetto dei principi di autonomia previsti dal decreto legislativo 30 giugno 1994, n. 509, e dall’articolo 3, comma 12, della legge 8 agosto n. 335».
Si tratta dunque di una previsione di legge, fisiologica nel sistema di relazioni tra legge e potere regolamentare della Cassa, di favor per l’omogeneizzazione dei sistemi pensionistici, sotto il profilo della generalizzazione della compatibilità tra pensione di anzianità e prosecuzione dell’attività lavorativa.
Previsione peraltro in qualche misura anche doverosa, sulla base di quanto stabilito da Corte Costituzionale 7 novembre 2002 n. 437, con cui, essendosi dichiarata l’illegittimità costituzionale della normativa sulla Cassa dei Ragionieri che prevedeva l’incompatibilità della corresponsione della pensione di anzianità con l’iscrizione ad albi professionali o elenchi di lavoratori autonomi diversi dall’albo dei ragionieri e periti commerciali, si era fondata la decisione sulla lesione del diritto al lavoro (art. 4 Cost.) che ne derivava, sicché, stante l’evidente comunanza di presupposti, era in re ipsa desumerne l’illegittimità anche del divieto di compatibilità tra la pensione di anzianità e la prosecuzione propria dell’attività di ragioniere, secondo una dinamica che, poi, pur se in riferimento alle analoghe previsioni di altra cassa professionale, ha trovato conferma in Corte Costituzionale 7 aprile 2006, n. 137.
6. Ciò posto, si osserva che l’art. 3, co. 12, della L. 335/1995, nel testo che qui interessa, prevedeva l’introduzione ex lege di un arco temporale (pari a quindici anni) per i calcoli necessari ad assicurare gli equilibri di bilancio già più genericamente richiesti dall’art. 2, co. 2 L. 509/194.
«In esito alle risultanze» e in attuazione di quanto disposto dall’articolo 2, comma 2, cit. – aggiunge il secondo periodo della norma – «sono adottati dagli enti medesimi provvedimenti di variazione delle aliquote contributive, di riparametrazione dei coefficienti di rendimento o di ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico nel rispetto del principio del prò rata in relazione alle anzianità già maturate rispetto alla introduzione delle modifiche derivanti dai provvedimenti suddetti».
E’ chiara dunque la riconduzione dei poteri rideterminativi sopra detti («ogni altro criterio di determinazione del trattamento pensionistico») all’ambito di quanto necessario (v. l’inciso «in esito alle risultanze», evidentemente da riferire alle emergenze dell’orizzonte attuariale che veniva imposto dalla stessa norma) per adeguare i trattamenti pensionistici pregressi alle rigorose esigenze di previsione finanziaria cui si indirizzavano le gestioni privatizzate.
Il principio di cui sopra è stato declinato dagli arresti delle Sezioni Unite già sopra citati, nel senso che, rispetto alla vicenda di evoluzione delle pensioni – per ragioni di garanzia di quell’equilibrio finanziario – da un calcolo retributivo ad un calcolo contributivo, dovevano conservarsi, per le quote di pensione imputabili al periodo di attività anteriore alle modifiche del sistema, le redditualità che erano rilevanti secondo le pregresse discipline proprie del calcolo retributivo.
6.1 II tema dei coefficienti di neutralizzazione è però diverso, in quanto esso viene in evidenza nell’ambito di delibere che non si limitano a modificare una prestazione attesa, ma, più in profondità e in esercizio dell’autonomia riconosciuta dal d.lgs. 509/1994 e richiamata dall’art. 44 cit., il sistema pensionistico di anzianità pregresso, con introduzione di nuovi benefici (la facoltà di proseguire altre attività, nonostante il pensionamento) e di corrispondenti riequilibri (i coefficienti di neutralizzazione), destinati ad operare contestualmente ed indissolubilmente.
In altre parole, tale complessa regolamentazione non può essere ritenuta alla stregua di un semplice «criterio di determinazione del trattamento pensionistico», da adottarsi nel rispetto o tenuto conto del principio del prò rata, ai sensi delle successive formulazioni dell’art. 3, co. 12, L. 335/1995 e finalizzato al solo riequilibrio finanziario rispetto agli orizzonti di stabilità imposti dalla legge.
Essa costituisce invece una disciplina ex novo dell’accesso a tale tipologia di pensione, fondata sui menzionati poteri attribuiti specificamente in proposito alla Cassa dalla legge.
La regolazione del sistema delle pensioni di anzianità con prosecuzione dell’attività lavorativa non va dunque ad impattare sulla previsione dell’art. 3, co. 12 cit., se non per quanto attiene al necessario rispetto degli equilibri gestionali, cui va riferito il richiamo ad essa – con specifico riferimento ai «principi di autonomia», ma a discrezionalità temporalmente predeterminata – operato dalla norma di cui all’art. 44, co. 7, cit.
Inevitabilmente la disciplina regolamentare così introdotta va quindi considerata unitariamente; come misura composita che incide sul quantum ampliando Van e che è da ritenere pienamente legittima, stante la coerenza di essa con la norma (il citato art. 44) che consente all’autonomia della Cassa di disporre il relativo intervento modificativo, nel rispetto del fine, parimenti richiamato, di assicurare il mantenimento degli equilibri finanziari.
7. Le conclusioni di cui sopra non restano scalfite dai rilievi critici mossi nelle difese ampiamente articolate anche in sede di discussione, che anzi consentono una più ampia giustificazione del fenomeno normativo in esame.
7.1 Si deve intanto in generale ritenere che la posizione previdenziale non comporti di tempo in tempo la maturazione di diritti soggettivi, ma esprima una (tutelata) aspettativa rispetto all’utilizzabilità di quanto versato quale presupposto per il futuro accesso a pensione.
Certamente la regola del prò rata è una delle forme di più forte salvaguardia di quell’aspettativa, che può essere ove possibile auspicabile ed è stata in concreto prevista nell’ipotesi di cui all’art. 3, co. 12, sopra esaminata, ma non costituisce principio destinato ad incidere sempre e comunque su qualsiasi evoluzione dei sistemi pensionistici, a prescindere dalla loro natura (retributiva o contributiva) e dalla conformazione degli interventi di riforma, dovendosi ritenere che tale regola sia destinata ad operare allorquando e nei limiti in cui la legge lo preveda e ne moduli l’incidenza.
L’art. 38 Cost. fornisce copertura al diritto a pensione ma non, rigidamente e senza distinzioni, alla misura pronosticata di esso, dovendosi considerare l’esigenza di assicurare l’evoluzione dei sistemi pensionistici (come nel caso qui in esame, in cui si assiste all’eliminazione del divieto di cumulo tra pensione di anzianità e lavoro) come anche l’esigenza di assicurare equilibri finanziari, intrinseci al funzionamento dei diritti sociali e il cui rispetto è espressione dell’ancor più basilare principio di solidarietà di cui all’art. 2 Cost., destinato a manifestarsi attraverso la sostenibilità nel tempo dei costi e la salvaguardia degli equilibri intergenerazionali.
D’altra parte lo stesso sistema pensionistico dei ragionieri è un esempio concreto di applicazione modulata del prò rata, in quanto rispetto alle annualità di reddito da considerare, si è passati, tra il 1995 ed il 2007, da un sistema di rigido (art. 3, co. 12, nell’originaria formulazione, che prevedeva il “rispetto” del principio) ad un sistema flessibile (art. 3, co. 12, come modificato dall’art. 1, comma 763, della L. 296/2006, che ha previsto che del prò rata sia “tenuto conto”).
7.2 Si deve allora considerare come l’aspettativa quale delineabile anteriormente alla riforma qui in esame non poteva che fare riferimento all’insieme del sistema previgente, quale necessario combinarsi della pensione di anzianità con la cessazione dell’attività lavorativa.
Sicché le Casse, a ciò abilitate dalla normativa sopra richiamata, nell’intervenire sull’assetto previgente con l’introduzione del regime di compatibilità tra prosecuzione del lavoro e pensione di anzianità, legittimamente potevano regolare ex novo l’accesso alla predetta pensione, attraverso l’introduzione del meccanismo disincentivante dei coefficiente di neutralizzazione.
E’ poi chiaro che, nel disciplinare un sistema che avrebbe ragionevolmente comportato un aumento degli accessi a pensione, si sia tenuto presente, in una logica prudenziale, anche la necessità di assicurarne la sostenibilità finanziaria, in un difficile equilibrio tra tali maggiori costi ed ulteriori, ma parimenti incerte (anche nel quantum) entrate che sarebbero derivate dalla prosecuzione dell’attività lavorativa.
Essendo infine evidente che la necessità, indotta dalle citate pronunce della Corte Costituzionale, di consentire l’accesso alla pensione di anzianità nonostante la prosecuzione dell’attività lavorativa, non è ostativa alla potestà di ridefinire i regimi pensionistici in ragione della novità di sistema, con effetti plurimi sul piano organizzativo e finanziario, che ne derivavano.
7.3 Va da sé, su tali premesse, che non si possa in alcun modo fare riferimento al coefficiente di neutralizzazione come ad una prestazione patrimoniale soggetta alla riserva di legge (art. 23 Cost.).
I mutamenti dei sistemi pensionistici, come si è detto, incidono sul grado di concreta realizzazione di una situazione di aspettativa e non quindi su diritti già acquisiti, sicché non si può parlare di prestazione patrimoniale, ma solo di riduzione di una prestazione attesa, ma non garantita nella sua entità effettiva, se ricorrano esigenze diverse che ne impongano la rimodulazione.
7.4 Sulla stessa linea, non vi è luogo a sollevare questione di legittimità costituzionale, ai sensi dell’art. 117 Cost., per l’ipotesi di violazione dell’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà, secondo cui «ogni persona fisica o giuridica ha diritto al rispetto dei suoi beni» e «nessuno può essere privato della sua proprietà se non per causa di utilità pubblica e nelle condizioni previste dalla legge e dai principi generali del diritto internazionale».
Può anche essere che un’aspettativa costituisca un bene giuridico che si possa riportare alla ampia nozione di “beni” che è fatta propria dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nell’interpretare l’art. 1 cit. Tuttavia, premesso che, nel caso di specie, non viene in gioco l’abolizione delle pensioni di anzianità, ma soltanto una loro rimodulazione quantitativa in ragione dell’età di accesso a tale pensione, è chiaro che la contrazione delle modalità di consolidamento dell’aspettativa in diritto pieno rientra nella struttura giuridica stessa della situazione che è appunto, di aspettativa e non di diritto soggettivo, proprio perché potenzialmente destinata a maturare solo in futuro ed a poter subire le conseguenze delle evoluzioni fattuali e giuridiche: sicché non si può ipotizzare, nei limiti di cui subito si va a dire, l’illegittimità della lesione di una situazione giuridica che ha proprio l’incertezza come elemento strutturale.
7.5 Venendo in proposito ad un altro degli argomenti sviluppati nelle difese finali, non si può parlare di irragionevolezza, in ipotesi tale da comportare dubbi sotto il diverso versante dell’art. 3, co. 1, Cost., degli abbattimenti.
In effetti, trattandosi di una aspettativa da ritenere tutelata, quale situazione giuridica minore e non di una situazione di mero fatto, deve ritenersi che gli interventi normativi che ne modificano l’assetto siano soggetti a regole, tra cui, quando previsto, quella del rispetto, più o meno rigoroso, del pro rata o, in assenza di altre previsioni specifiche, del principio di ragionevolezza.
Ma tale principio non può dirsi violato, perché la maggiore aliquota 45,9 % riguarda età significativamente basse di età (57 anni), mentre per le età di pensionamento più elevate (64 anni) la detrazione è assai più contenuta (7,3%).
Così come vi è ragionevolezza del sistema, ove si consideri che quella del pensionamento per anzianità è una scelta per la quale l’interessato può decidere di optare oppure no (mentre il diritto a pensione è comunque garantito dalla pensione di vecchiaia), come anche può decidere di calibrare la scelta pensionistica in ragione dell’opportunità data dallo scalare delle percentuali di abbattimento al trascorrere degli anni.
D’altra parte, dalle delibere prodotte, emerge che l’introduzione del nuovo regime è stata accompagnata, in relazione anche agli altri mutamenti delle regole pensionistiche contestualmente stabiliti, da un periodo di sospensione dei pensionamenti di anzianità (onde evitare che chi vi si accingesse potesse incorrere in mutamenti sopravvenuti e non prevedibili) e comunque con salvaguardia, per chi avesse fatto domanda prima della sospensione, delle regole previgenti.
Mentre il raffronto con i minori abbattimenti che l’introduzione del medesimo regime di compatibilità ha comportato nel sistema dell’a.g.o. è ininfluente, in quanto è palese la diversità di situazioni interessate e d’altra parte il citato art. 44, co. 7, L. 289/2002, ha al contempo espressamente salvaguardato l’autonomia delle casse.
7.6 Errato, per quanto occorrer possa, è infine l’argomento inerente la disparità di trattamento tra i pensionati di anzianità ante e post 1.1.2007. Infatti, il sistema come consolidato dalle pronunce delle Sezioni Unite (Cass. 17742/2015 e 18136/2015, citt.) è in sostanza tale per cui rispetto ai pensionati post 1.1.2007 le modifiche regolamentari apportate negli anni 2002-2004 sono pienamente efficaci.
Sicché, se ai pensionati ante 1.1.2007 non si applicasse il coefficiente di neutralizzazione, ne deriverebbe un ulteriore incremento nel dislivello dei trattamenti e quindi una ancora maggiore disparità.
7.7 Ed ancora infondata è la difesa, sviluppata nella discussione, secondo cui l’inserimento del coefficiente di neutralizzazione sarebbe contrario rispetto alle decisioni della Corte Costituzionale (già ricordate in precedenza) con cui sono stati rimossi i divieti di prosecuzione dell’attività lavorativa dopo il pensionamento.
Infatti, una cosa è la rimozione di tali divieti, attuata dalla Cassa subito dopo la prima sentenza della Consulta che manifestò il predetto orientamento; altra cosa è la strutturazione del proprio sistema in ragione di tale novità per l’accesso a pensione, del tutto legittima, sulla base dei richiamati principi di autonomia.
8. Va in definitiva confermato l’orientamento già espresso con sentenza 21 agosto 2018 n. 20877, i cui principi, frutto di una più articolata riflessione rispetto ad alcuni precedenti in cui la necessaria riconduzione al prò rata dei coefficienti di neutralizzazione era puramente affermata, vengono qui ribaditi ed approfonditi, nei termini di cui sopra.
Quanto appena detto fa ritenere che non ricorra l’esigenza di rimettere la questione alle Sezioni Unite.
9. La sentenza va quindi cassata, con rinvio alla medesima Corte d’Appello, in diversa composizione, la quale, fermo ogni altro criterio di calcolo già applicato nei pregressi gradi di merito nel calcolare la pensione, si atterrà al principio per cui «la previsione, di cui alle delibere della Cassa Nazionale di Previdenza ed Assistenza a favore dei Ragionieri e Periti Commerciali del 7 giugno 2003 e 20 dicembre 2003 e del Regolamento in vigore dal 1 gennaio 2004, di un coefficiente di abbattimento (c.d. coefficiente di neutralizzazione), progressivamente calante in ragione del crescere dell’età, per la quota retributiva delle pensioni di anzianità erogate dalla medesima Cassa di Previdenza, non è soggetta al principio del prò rata quale sancito dall’art. 3, co. 12, L. 335/1995 (nel testo vigente anteriormente alle modifiche apportate dall’art. 1, comma 763, della L. n. 296 del 2006) ed è legittima, risultando tale coefficiente introdotto con modalità non irragionevoli nell’ambito della modifica del sistema di accesso alla predetta pensione, reso contestualmente compatibile con la prosecuzione, nonostante il pensionamento, della medesima professione».
P.Q.M.
Accoglie il secondo e terzo motivo di ricorso, dichiara inammissibile il primo motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di decidere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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