CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 giugno 2020, n. 11612
Tributi – ICI – Omesse dichiarazioni su più annualità – Irrogazione sanzioni – Continuazione delle sanzioni
Svolgimento del processo
I ricorrenti hanno impugnato con separati atti davanti alla CTP di Treviso alcuni avvisi di accertamento concernenti l’ICI 2006-2007 e 2008 con i quali il Comune di Treviso ha assoggettato ad ICI, quale area edificabile, un terreno di loro proprietà.
La CTP di Treviso, riuniti i ricorsi, con sentenza n. 23/04/13, li ha respinti.
F. e R.G. hanno proposto appello.
La CTR di Venezia-Mestre, nel contraddittorio delle parti, con sentenza n. 403/30/14, ha respinto l’appello.
I contribuenti hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi.
II Comune di Treviso ha resistito con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo, il secondo ed il terzo motivo che, stante la stretta connessione, possono essere trattati congiuntamente, i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 2, lettere b) e c), e 9 del d.lgs. n. 504 del 1992, nonché 3 della legge n. 241 del 1990, 7 della legge n. 212 del 2000 e 2697 c.c. poiché la CTR avrebbe errato nel negare loro l’esenzione dall’ICI prevista dalla vigente normativa per i fondi posseduti da coltivatori diretti, dovendosi tenere conto che la relativa qualifica va attribuita in relazione alla prevalenza del tempo dedicato all’attività agricola.
Inoltre, essi contestano la mancata allegazione degli atti ai quali gli avvisi in questione fanno riferimento, non essendo stati rispettati, nella specie, i requisiti che rendevano ammissibile la motivazione per relationem ed i principi concernenti l’onere della prova.
In particolare, non sarebbero state indicate negli avvisi di accertamento le modalità di valutazione dei terreni effettivamente seguite.
Le doglianze sono infondate.
Infatti, in tema di ICI, il trattamento agevolato di cui all’articolo 9 del d.lgs. n. 504 del 1992, per i terreni agricoli posseduti da coltivatori diretti o da imprenditori agricoli a titolo principale, spetta solo a quanti traggono dal lavoro agricolo la loro prevalente fonte di reddito e non va, quindi, riconosciuto al contribuente che, pur lavorando il fondo come coltivatore diretto, sia proprietario di numerosi immobili condotti in locazione, il cui reddito complessivo sia superiore a quello derivante dal fondo (Cass., Sez. 5, n. 13391 del 30 giugno 2016).
Nel caso in esame, il giudice del merito ha accertato proprio la prevalenza dei redditi derivanti da altre fonti su quelli provenienti dall’agricoltura.
In ordine alla mancata allegazione degli atti menzionati negli avvisi di accertamento ed alla loro incidenza sulla ripartizione dell’onere della prova, la contestazione è inammissibile.
Infatti, nel regime introdotto dall’articolo 7 della legge n. 212 del 2000, l’obbligo di motivazione degli atti tributari può essere adempiuto anche per relationem, ovverosia mediante il riferimento ad elementi di fatto risultanti da altri atti o documenti, che siano collegati all’atto notificato, quando lo stesso ne riproduca il contenuto essenziale, cioè l’insieme di quelle parti (oggetto, contenuto e destinatari) dell’atto o del documento necessarie e sufficienti per sostenere il provvedimento adottato, la cui indicazione consente al contribuente – ed al giudice in sede di eventuale sindacato giurisdizionale – di individuare i luoghi specifici dell’atto richiamato nei quali risiedono le parti del discorso che formano gli elementi della motivazione del provvedimento (Cass., Sez. 6-5, n. 9032 del 15 aprile 2013).
Nella specie, i ricorrenti non lamentano la mancata riproduzione del contenuto essenziale degli atti menzionati, ma la loro semplice non allegazione, circostanza che non può assumere rilievo ai fini della legittimità del procedimento.
Quanto alla valutazione dei beni in esame, si rileva l’estrema genericità della doglianza e, comunque, la sua infondatezza, considerato che gli stessi ricorrenti hanno precisato che negli avvisi di accertamento era riportato che la metodologia di valutazione delle aree era fondata sugli “oneri di edificazione ed altro”.
2. Con il quarto motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli articoli 7, 12, 16 e 17 del d.lgs. n. n. 472 del 1997 perché la CTR avrebbe omesso di considerare che gli avvisi di accertamento non erano motivati in ordine alle sanzioni inflitte, non avrebbe valutato che la sanzione più equa da infliggere sarebbe stata quella per infedele dichiarazione o per omesso versamento e non avrebbe valutato che la P.A. non aveva applicato l’istituto della continuazione.
La doglianza concernente la motivazione dei citati avvisi è inammissibile.
Infatti, la CTR spiega il rigetto dell’appello sul punto con il richiamo della decisione di primo grado, la quale, come riportano i ricorrenti, aveva rilevato il carattere fisso della sanzione inflitta, circostanza che escludeva ogni possibilità di graduazione della stessa.
Questa affermazione del giudice di primo grado non è stata specificamente contestata dai ricorrenti in appello, con la conseguenza che la questione non può più essere oggetto di discussione.
Il profilo relativo all’individuazione della sanzione più equa da infliggere, invece, è inammissibile, non risultando che sia stato sollevato in grado di appello.
Infine, la contestazione che interessa la continuazione merita accoglimento.
La CTR, nel motivare il rigetto della doglianza, ha fatto riferimento (come si evince dal testo della sentenza di primo grado, trascritto nel ricorso) a quanto esposto dalla CTP al riguardo che, per disattendere la doglianza, si era basata sul carattere fisso delle sanzioni medesime.
Questa considerazione non può essere condivisa, poiché il fatto che l’omessa dichiarazione ICI vada sanzionata per ogni anno in cui si verifica in maniera fissa non comporta automaticamente l’inapplicabilità dell’istituto della continuazione.
Innanzitutto, si sottolinea che, in mancanza di ogni precisazione ad opera dei ricorrenti, si ritiene che essi abbiano domandato l’applicazione del comma 5 dell’articolo 12 del d.lgs. n. 472 del 1997, che si occupa delle violazioni della stessa indole commesse in periodi di imposta diversi.
Ai sensi dei commi 5 e 6 dell’articolo 12 del d.lgs. n. 472 del 1997 (nella versione che qui interessa):
“5. Quando violazioni della stessa indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo.
Se l’ufficio non contesta tutte le violazioni o non irroga la sanzione contemporaneamente rispetto a tutte, quando in seguito vi provvede determina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni oggetto del precedente provvedimento. Se più atti di irrogazione danno luogo a processi non riuniti o comunque introdotti avanti a giudici diversi, il giudice che prende cognizione dell’ultimo di essi ridetermina la sanzione complessiva tenendo conto delle violazioni risultanti dalle sentenze precedentemente emanate.
6. Il concorso e la continuazione sono interrotti dalla constatazione della violazione”.
La giurisprudenza ha affermato che, in tema di sanzioni amministrative tributarie, le previsioni dell’articolo 12 del d.lgs. n. 472 del 1997, secondo cui, quando violazioni della medesima indole vengono commesse in periodi di imposta diversi, si applica la continuazione e la stessa viene interrotta dalla contestazione (il testo del citato articolo 12 applicabile nella specie, come modificato dall’articolo 2 del d.lgs. n. 203 del 1998, contiene il termine “constatazione” in luogo di quello “contestazione”, ma questa circostanza non ha conseguenze pratiche nel caso de quo) opera anche in caso di violazioni della stessa disposizione in materia di ICI poste in essere in periodi di imposta diversi, non rilevando la natura periodica del tributo, rapportato all’anno solare. Ne consegue che, quando le sanzioni per le diverse annualità siano state irrogate con avvisi notificati contemporaneamente al contribuente, la continuazione si applica per tutte le violazioni antecedenti a tale contestazione, operando l’interruzione solo per quelle successive (Cass., Sez. 5, n. 16051 del 7 luglio 2010).
Conferma l’invocabilità della continuazione in materia la più recente giurisprudenza, per la quale, in tema di ICI, l’omessa denuncia dell’immobile deve essere sanzionata per tutte le annualità per cui si protrae in quanto, ai sensi dell’articolo 10, comma 1, del d.lgs. n. 504 del 1992, a ciascuno degli anni solari corrisponde un’autonoma obbligazione che rimane inadempiuta non solo per il versamento dell’imposta, ma anche per l’adempimento dichiarativo, fermo restando che, trattandosi di violazioni della stessa indole commesse in periodi d’imposta diversi, si applica la sanzione base aumentata dalla metà al triplo, secondo l’istituto della continuazione ex articolo 12, comma 5, del d. Igs. n. 472 del 1997 (Cass., Sez. 5, n. 13391 del 30 giugno 2016).
Pertanto, deve ritenersi che, in generale, la continuazione possa trovare spazio con riguardo all’ICI e che, in presenza di più violazioni della stessa indole reiterate negli anni (come l’omessa dichiarazione), si applichi l’articolo 12, comma 5, del d.lgs. n. 472 del 1997.
A questo punto, però, occorre valutare un ulteriore profilo che concerne la presente controversia.
Infatti, i contribuenti hanno affermato che altri avvisi erano stati notificati in precedenza per identica infrazione (per le annualità dal 2003 al 2005), con la conseguenza che la continuazione era stata interrotta ai sensi del comma 6 del citato articolo 12 per le omissioni successive (nella specie, vengono in rilievo le annualità 2006, 2007 e 2008).
Sorge la questione, allora, se l’interruzione della continuazione, sicuramente avvenuta in passato per la medesima violazione per gli anni dal 2003 al 2005, non impedisca di applicare l’istituto alle inosservanze commesse dopo la comunicazione dell’atto interruttivo o se, invece, detta continuazione non debba essere riconosciuta per i periodi successivi a quelli per i quali la detta interruzione si è verificata.
In concreto, bisogna decidere se, cessata la continuazione per gli anni dal 2003 al 2005, questa non possa riprendere ad operare per il 2006, il 2007 ed il 2008, le cui sanzioni andrebbero, allora, unificate e ridotte, nel rispetto dell’istituto in esame, o se, venuta meno la continuazione per la stessa violazione con le contestazioni inerenti gli anni dal 2003 al 2005, questa non possa più venire in rilievo per le epoche successive e, quindi, per ciò che rileva, negli anni 2006, 2007 e 2008.
Al riguardo, la giurisprudenza e la dottrina non hanno mai espresso una posizione definita.
Si contrappongono due esigenze.
Da un lato, ove si ritenesse di favorire il contribuente, dovrebbe essere accolta la tesi per la quale la continuazione ben può esservi per le annualità future rispetto al momento dell’interruzione.
Dall’altro, nell’ottica per la quale dovrebbe prevalere l’interesse pubblico erariale, si potrebbe sostenere che è compito del sistema sanzionatorio tributario di punire pienamente chi, pur avvisato, abbia reiterato la violazione in precedenza contestata.
La tesi contraria ai ricorrenti si fonderebbe su una interpretazione letterale della norma, che prevede l’interruzione, ma non un nuovo inizio della continuazione, e sul fatto che il legislatore, in ambito tributario, non sembra troppo favorevole ad estendere gli effetti della continuazione.
Quella a loro favore, invece, tiene conto che occorre garantire l’efficacia degli istituti premiali e contenere la sanzione entro limiti ragionevoli.
Non è possibile un parallelismo diretto con il diritto penale, settore nel quale la continuazione è nota, ma che non ne contempla l’interruzione.
Questa differenza di fonda sulla circostanza che, mentre in sede penale la continuazione è correlata alla sussistenza dell’elemento soggettivo del medesimo disegno criminoso, in ambito tributario detto elemento non emerge, essendo essa collegata, piuttosto, all’oggettivo perpetrarsi dell’illecito.
Se ne ricava che, per dare un termine all’effetto della continuazione, occorre individuare un ulteriore momento, oggettivamente individuabile, rappresentato dalla constatazione dell’infrazione ad opera della P.A.
Nonostante quanto osservato, la disciplina penale potrebbe assumere una valenza indiretta in modo da giungere ad una interpretazione che garantisca la complessiva coerenza del sistema.
A tale fine, occorre fare riferimento ai principi e criteri contenuti nella legge delega che ha portato all’approvazione dell’articolo 12, comma 6, del d.lgs. n. 472 del 1997.
Bisogna, soprattutto, tenere conto dell’articolo 3, comma 133, della legge n. 662 del 1996, recante delega al Governo per l’emanazione di uno o più decreti legislativi per la revisione organica ed il completamento della disciplina delle sanzioni tributarie non penali, delega che ha condotto all’adozione dell’articolo 12, comma 6, del d.lgs. n. 472 del 1997.
Il citato articolo 3, comma 133, stabilisce che “Il Governo è delegato ad emanare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi recanti disposizioni per la revisione organica e il completamento della disciplina delle sanzioni tributarie non penali, con l’osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi:…”.
In particolare, alla lettera h) detto articolo 3, comma 133, individua, fra i principi ed i criteri della delega, la “disciplina della continuazione e del concorso formale di violazioni sulla base dei criteri risultanti dall’articolo 81 del codice penale”.
Alla lettera f), inoltre, è presa in considerazione l’adozione di “criteri di determinazione della sanzione pecuniaria in relazione alla gravità della violazione, all’opera prestata per l’eliminazione o attenuazione delle sue conseguenze, alle condizioni economiche e sociali dell’autore e alla sua personalità desunta anche dalla precedente commissione di violazioni di natura fiscale”.
Da queste disposizioni, che contengono i principi che sono alla base dell’esercizio della delega in questione e che, quindi, possono essere utilizzati come fonte privilegiata per interpretare, nei casi dubbi, il contenuto delle disposizioni in esame, si evince che, comunque, pur con le diversità imposte dalla scelta di adottare una ricostruzione oggettiva e non soggettiva della continuazione la continuazione tributaria deve essere letta nell’ottica dei principi di diritto penale, al fine di adeguare la sanzione alle circostanze del caso e di impedire che possa essere determinata in misura eccessiva.
Dall’ordinamento penale si ricava che la continuazione è un istituto valutato positivamente dal legislatore e destinato ad essere interpretato in maniera estensiva in favore dell’interessato e, pertanto, per quel che qui rileva, del contribuente che, in questo specifico ambito, può beneficiare del principio del favor rei, che sarebbe alla base della volontà del legislatore delegante.
Inoltre, si deve tenere conto che l’operatività dell’istituto de quo consente di ridurre l’incidenza della sanzione tributaria che, altrimenti, rischierebbe di divenire eccessiva, pur in presenza di violazioni sempre identiche.
Tali considerazioni inducono ad affermare che la continuazione può continuare ad operare anche dopo la prima interruzione, ovviamente con riferimento ad infrazioni successive alla comunicazione delle contestazioni al contribuente.
Potrebbe obiettarsi che una interpretazione letterale della norma dovrebbe condurre ad opposte conclusioni, poiché la vigente legislazione prevede l’interruzione, ma non un nuovo inizio della continuazione.
Peraltro, deve osservarsi che, in ambito tributario, è ormai acquisito in giurisprudenza l’assunto che i singoli periodi di imposta sono fra loro autonomi (ex plurimis, sul punto, Cass., Sez. 5, n. 30378 del 21 novembre 2019).
A ciò consegue che, in astratto, per le violazioni di ogni periodo di imposta può prospettarsi una distinta e rinnovata operatività della continuazione, con l’effetto che non occorrerebbe una disposizione ad hoc per consentirne l’applicazione.
Ne deriva che deve accogliersi una interpretazione dell’articolo 12, comma 6, del d.lgs. n. 472 del 1997 per la quale, una volta interrotta la continuazione, questa riprende a decorrere per le violazioni relative ai periodi di imposta successivi all’interruzione.
3. Il ricorso va, quindi, accolto, limitatamente alla parte del IV motivo concernente l’applicazione dell’istituto della continuazione.
La decisione impugnata è cassata con rinvio alla CTR Veneto, in diversa composizione, la quale deciderà la causa nel merito, anche in ordine alle spese di legittimità, attenendosi al seguente principio:
in tema di continuazione nelle sanzioni tributarie, l’articolo 12, comma 6, del d.lgs. n. 472 del 1997 va interpretato nel senso che, con riferimento ad infrazioni che siano avvenute nel corso di diversi periodi di imposta, l’interruzione, una volta avvenuta, non impedisce che la detta continuazione possa nuovamente operare limitatamente alle violazioni della stessa indole perfezionatesi successivamente.
P.Q.M.
– respinti i motivi I, II e III, accoglie il ricorso limitatamente a parte del IV motivo, nei termini di cui in motivazione, rigettandolo per il resto;
– cassa la decisione impugnata con rinvio alla CTR Veneto, in diversa composizione, che deciderà la causa nel merito anche in ordine alle spese di lite.
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