CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 11 aprile 2019, n. 10126

Tributi – ICI – Immobili non iscritti in catasto posseduti da imprese – Determinazione della base imponibile

Rilevato che

1. La società “E.P.” propone tre motivi di ricorso per la cassazione della sentenza n. 45/01/2014 del 12.06.2014 con la quale la commissione tributaria di secondo grado di Trento, nel riformare la prima decisione, ha accolto l’appello principale del Comune di Avio, respingendo quello incidentale proposto dalla società.

In particolare, la Commissione di secondo grado affermava l’assoggettabilità ad ICI delle “paratorie e del canale di derivazione Ala”, che nel 2004 non risultavano accatastati presso l’ufficio provinciale di Trento, con conseguente legittima determinazione dell’imponibile sulla base del valore venale determinato dal comune. Statuiva la commissione, per quanto riguarda la Centrale di Avio, che il contribuente poteva ricorrere alla procedura Docfa – secondo quanto stabilito dal d.lgs. n. 280/2001 relativo alle norme di attuazione dello statuto speciale della regione Trentino Alto Adige – solo per dichiarare le caratteristiche intrinseche dei fabbricati, senza alcun effetto fiscale, non essendo consentito attraverso detta dichiarazione, proporre una rendita provvisoria; con la conseguenza che l’amministrazione comunale aveva operato legittimamente calcolando l’imponibile sulla base del valore venale degli immobili rivalutati con coefficiente correttamente individuato e vigente nel 1982, anno in cui aveva avuto inizio il possesso da parte della società E…

Mentre per le altre aree edificabili non era stata fornita la prova, il cui onere incombeva sul contribuente, della pertinenzialità che consente l’esenzione dall’imposta comunale. Tant’è che nemmeno nella dichiarazione Docfa risultava evidenziata detta pertinenzialità, la quale non poteva essere dedotta per la prima volta nell’ambito del giudizio per contestare la fondatezza dell’avviso. Anche dette aree, secondo la Commissione, dovevano essere assoggettate ad Ici sulla base del valore venale, ex art. 5 comma 3 d.lgs. n. 504/92, escludendo poi, per l’assenza di incertezza normativa, la debenza delle sanzioni contestate dall’appellante incidentale.

Si costituisce il Comune di Avio con controricorso, illustrato nelle memorie difensive.

Il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

Esposizione dei motivi di diritto

2. Con il primo motivo di ricorso si lamenta violazione degli art. 5 del d.lgs. n. 504/92 e dell’art. 7 L. n. 342/2000, ex art. 360 n. 3 c.p.c., per avere i giudici regionali affermato l’irretroattività della rendita catastale attribuita dal servizio catasto della provincia Autonoma di Trento in data primo dicembre 2011, come allegato alle pagine 7 e 8 dell’atto di appello; a tal fine l’ente ricorrente invoca il disposto dell’art. 5 commi 2 e 3 del citato decreto legislativo, a mente del quale, l’imposta deve essere determinata applicando l’aliquota comunale sui valori catastali (che per i fabbricati iscritti in catasto è costituito da quello che risulta applicando all’ammontare delle rendite risultanti dal catasto vigenti al primo gennaio dell’anno di imposizione) e in subordine (in caso di omesso accatastamento) utilizzando il criterio di determinazione della base imponibile sulla base dei valori di bilancio (cd. valore di libro), in quanto il successivo comma 3 prevede solo per i fabbricati non iscritti in catasto, posseduti da imprese, la determinazione del valore secondo i criteri di cui all’art. 7 comma 3 “valore costituito dall’ammontare al lordo delle quote di ammortamento, che risulta dalle scritture contabili”.

Deduce, indi, la ricorrente, che l’ente comunale avrebbe potuto applicare detto criterio fino all’anno nel quale i beni non erano iscritti in catasto con attribuzione di rendita. E, poiché, all’attribuzione di rendita deve essere equiparata la presentazione della dichiarazione Docfa, nella fattispecie proposta già nell’anno 1998 dalla precedente proprietaria E. spa, la base imponibile dell’imposta comunale poteva essere commisurata solo alle rendite risultanti in catasto.

Ciò in quanto l’attribuzione della rendita catastale spiega efficacia retroattiva anche per le annualità di imposta sospese ovvero suscettibili di accertamento e liquidazione, atteso che l’iscrizione catastale determina ipso iure il passaggio dal criterio contabile a quello catastale.

3. Con la seconda censura si lamenta la violazione dell’art. 5 comma 3 d.lsg. n. 504/1992 ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere i giudici regionali determinato la base imponibile Ici applicando il coefficiente del 2,43 dell’anno 1982 per i costi di acquisizione sostenuti ante 1982, nonostante l’iscrizione del cespite in contestazione nei bilanci della società ricorrente solo nell’anno 1999, anno in cui la centrale di Avio venne conferita dalla società E. s.p.a. alla società E.P. s.p.a.

4. Con la terza censura, si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 6 del d.lgs n. 472/97, 8 del d.lgs 546/92 e 10 comma 3 L. n. 212/2000 ex art. 360 n. 3 c.p.c., per avere il decidente confermato, con riferimento al primo e al terzo immobile, l’applicazione delle sanzioni irrogate dal comune di Avio, nonostante l’oggettiva incertezza sulla portata applicativa dei commi 2 e 3 dell’art. 5 cit.

5. La prima censura è parzialmente fondata.

All’epoca della notifica degli avvisi di accertamento, il Comune non aveva ancora attribuito la rendita catastale agli immobili de quibus, tant’è che l’impugnazione dell’atto impositivo si fondava sul carattere pertinenziale delle aree edificabili (questione non più controversa), sulla illegittimità della imposizione ICI anche per le opere idrauliche, nonché sull’erronea identificazione del coefficiente di rivalutazione applicato agli immobili in relazione all’atto originario di acquisizione dei cespiti e non con riferimento all’atto di conferimento (anno 1999) dei cespiti alla società ricorrente.

La rendita è stata attribuita ai cespiti de quibus in data primo dicembre 2011, tanto che, con la proposizione dei rispettivi atti di gravame, entrambe le parti chiedevano l’applicazione retroattiva della rendita catastale, che, prima della attribuzione, veniva corrisposta sulla base dei criteri provvisori.

Ciò premesso, vale osservare che le dichiarazioni Docfa presentate dalla società E. hanno avuto ad oggetto la centrale di Avio e la centrale di Bussolengo, con esclusione delle paratoie e del canale di derivazione Ala – Bussolengo Biffis nonché delle aree ritenute pertinenziali, immobili mai denunciati dall’ente proprietario.

Con la censura in esame, la ricorrente invoca l’applicazione del principio di retroattività della rendita catastale attribuita dal servizio catasto della provincia autonoma di Trento in data primo dicembre 2011.

6. La questione è stata risolta dalle S.U. che, con sentenza n. 3160 del 2011, ha affermato:”In tema di ICI, il metodo di determinazione della base imponibile collegato alle iscrizioni contabili, previsto dall’art. 5, comma 3, del d.lgs. 30 dicembre 1992, n. 504, per i fabbricati classificabili nel gruppo catastale D, non iscritti in catasto, interamente posseduti da imprese e distintamente contabilizzati, fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita, vale sino a che la richiesta di attribuzione della rendita non viene formulata, mentre, dal momento in cui fa la richiesta, il proprietario, pur applicando ormai in via precaria il metodo contabile, diventa titolare di una situazione giuridica nuova derivante dall’adesione al sistema generale della rendita catastale, sicché può essere tenuto a pagare una somma maggiore (ove intervenga un accertamento in tali sensi), o avere diritto di pagare una somma minore, potendo, quindi, chiedere il relativo rimborso nei termini di legge“.

Le Sezioni Unite hanno, inoltre, precisato che l’espressione « sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione» vada intesa nel senso che la notifica degli atti attributivi è soltanto condizione della loro efficacia (“indica”, cioè, “inequivocabilmente l’impossibilità giuridica di utilizzare una rendita se non notificata”) senza che vi sia alcuna volontà legislativa di attribuire alla notifica «ai soggetti intestatari della partita» del provvedimento attributivo della rendita una qualche forza costitutiva e non meramente accertativa della concreta «situazione catastale» dell’immobile. Non si esclude, quindi, l’utilizzabilità della rendita (una volta) notificata a fini impositivi anche per annualità d’imposta per così dire “sospese”, ovverosia suscettibili di accertamento e/o di liquidazione e/o di rimborso”.

Ai principi di diritto sopra enunciati si è uniformata la successiva giurisprudenza di legittimità (cfr. tra le tante le più recenti Cass. n. 11472/2018; n. 4613/2018; n. 7652/2018; n. 2918/2017; Cass. n. 14402/2017).

In particolare in base all’art. 5, comma 3, del d.lgs. n. 504 del 1992, per i “fabbricati classificabili nel gruppo catastale D”, il criterio “contabile” (ovvero quello subordinato di cui al n. 4) deve essere applicato “fino all’anno nel quale i medesimi sono iscritti in catasto con attribuzione di rendita”: per la norma, quindi, l’iscrizione in catasto di detti “fabbricati” determina, ipso iure, il passaggio dal criterio (di determinazione del valore) “contabile” a quello “catastale”.

7. L’attribuzione della rendita, pertanto, fa sorgere (in capo ad entrambi i soggetti del rapporto obbligazionario) il diritto – dovere di determinare (e, quindi, corrispondere) l’imposta sulla (sola) “base imponibile” individuata, come per tutti i “fabbricati iscritti in catasto”, ai sensi del art. 5, comma 2. Stabilendo, infatti, con il citato art. 74, che dal primo gennaio 2000 gli atti attributivi o modificativi delle rendite catastali sono efficaci solo a decorrere dalla loro notificazione, il legislatore non ha voluto restringere il potere di accertamento tributario al periodo successivo alla notificazione del classamento, ma piuttosto segnare il momento a partire dal quale l’amministrazione comunale può richiedere l’applicazione della nuova rendita ed il contribuente può tutelare le sue ragioni contro di essa, non potendosi confondere l’efficacia della modifica della rendita catastale – coincidente con la notificazione dell’atto – con la sua applicabilità, che va riferita invece all’epoca della dichiarazione (Cass. n. 9595/2016).

In conclusione, la comunicazione di attribuzione della rendita impone alle parti del rapporto tributario concernente l’ICI (pure nel vigore del citato art. 74) di determinare l’imposta effettivamente dovuta, anche per le annualità pregresse, in base alla “rendita attribuita” (Cass., S.U., 9 febbraio 2011, n. 3160, cit.; Cass. 9 giugno 2017, n. 14402, cit.).

8. Va quindi affermato il seguente principio di diritto secondo il quale la successiva attribuzione della rendita costituisce la base imponibile dell’Ici anche per le annualità sospese, come quelle sub iudice, con riferimento agli immobili denunciati dalla società E. con procedura Docfa, in relazione ai quali il Comune di Avio aveva rettificato la base imponibile, applicando un coefficiente di rivalutazione diverso da quello utilizzato dalla società E..

Diversamente, per le aree edificabili e gli impianti non denunciati dall’ente ricorrente con la dichiarazione Docfa, l’avviso di accertamento è legittimo nella parte in cui ha recuperato l’Ici applicando il valore venale in comune commercio per le prime ed i criteri contabili per i canali e le dighe.

9. Con riferimento a detti ultimi cespiti (impianti, canali e dighe), vige la regola generale, in tema di Ici, ricavabile dal d.lgs 1997/504 art. 5 comma 2, secondo la quale le risultanze catastali divenute definitive per mancata impugnazione hanno efficacia a decorrere dall’anno di imposta successivo a quello nel corso del quale sono state annotate negli atti catastali (cd. messa in atti).

10. La seconda censura è fondata.

In assenza di rendita attribuita, sia pure provvisoriamente ai beni non denunciati (con riferimento agli immobili appartenenti al gruppo D), trova applicazione, ex art. 5 cit., il criterio contabile per la determinazione della base imponibile, da rivalutarsi in base al coefficiente dell’anno di acquisto e non dell’anno di costruzione come accertato dall’ente comunale. In sostanza, il periodo che va dall’ultimazione o dall’acquisto del fabbricato sino alla domanda di accatastamento è soggetto a imposta sulla base del valore contabile.

Ebbene, rispetto al dedotto conferimento della centrale di Avio da parte della società “E.” alla società “E.P.”, con effetti dal primo ottobre 1999 (all. 5 all’atto di appello), l’amministrazione comunale risulta aver prospettato, per la prima volta, nel presente giudizio – in mancanza di qualsiasi riferimento a detta allegazione sia nella sentenza impugnata, sia negli atti del giudizio di merito – la circostanza che nell’anno 1999 si ebbe solo “una scissione effettuata in regime di neutralità fiscale”, i cui effetti, ai fini Ici, decorrevano dall’originaria iscrizione dei beni in bilancio nell’anno 1982.

Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, difatti, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio (v. Cass. Sez. 3, 09/01/2002 n. 194; più di recente, v. Cass. Sez. 6 – 1, 09/07/2013 n. 17041; n. 25319/2017; n. 907/2018).

La parte non può mutare – salvo che tale esigenza origini dalla sentenza impugnata – la posizione assunta nel giudizio di appello, attraverso il proprio atto introduttivo o difensivo, per sostenere un motivo di ricorso, giacché, diversamente, si consentirebbe tanto all’appellante di modificare, in un successivo grado di giudizio, il contenuto dell’atto di gravame ed i relativi motivi, con manifesta contraddizione rispetto alla logica che presiede l’esercizio stesso del diritto di impugnazione in appello, le cui ragioni e conclusioni vanno esposte in detta fase processuale, quanto, correlativamente, all’appellato, di mutare le proprie difese rispetto a quelle svolte nell’atto di costituzione (Cass. 2033/2017).

11. La terza censura è del pari fondata, in quanto l’art. 1 quinques del d.l. 44/2005, norma di interpretazione autentica, ha chiarito la questione della assoggettabilità ad lci delle componenti elettromeccaniche stabilmente infisse al suolo, ponendo fine ai dubbi interpretativi in materia.

In tema di sanzioni amministrative per violazione di norme tributarie, la Corte ha già avuto modo di affermare il principio di diritto in virtù del quale: «l’incertezza normativa oggettiva che – ai sensi degli artt. 8 d.lgs. n. 546 del 1992; 6, comma 2, d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 472; 10, comma 3, legge 2 luglio 2000, n. 212 – costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, richiede una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull’oggetto e sui destinatari della norma tributaria, ovverosia l’insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento d’interpretazione normativa, riferibile non già ad un generico contribuente, o a quei contribuenti che per la loro perizia professionale siano capaci di interpretazione normativa qualificata (studiosi, professionisti legali, operatori giuridici di elevato livello professionale), e tanto meno all’Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell’ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata interpretazione (cfr. Cass. 28/11/2007, n. 24670; 16/02/2012, n. 2192; 26/10/2012, n. 18434; 11/02/2013, n. 3245; 22/02/2013, n. 4522).

In altre parole, come è stato detto, «l’incertezza normativa oggettiva tributaria», che consente di non applicare le sanzioni, «è la situazione giuridica oggettiva, che si crea nella normazione per effetto dell’azione di tutti i formanti del diritto, tra cui in primo luogo, ma non esclusivamente, la produzione normativa, e che è caratterizzata dall’impossibilità, esistente in sé ed accertala dal giudice, d’individuare con sicurezza ed univocamente, al termine di un procedimento interpretativo metodicamente corretto, la norma giuridica sotto la quale effettuare la sussunzione di un caso di specie ultima o, se si tratta del giudice di legittimità, del fatto di genere già categorizzato dal giudice di merito», quindi in «senso oggettivo» (con conseguente esclusione di «qualsiasi rilevanza sia delle condizioni soggettive individuali sia delle condizioni soggettive categoriali» atteso che «l’incertezza normativa, in quanto esiste in sé, opera nei confronti di tutti»): «l’incertezza normativa oggettiva», pertanto, «non ha il suo fondamento nell’ignoranza giustificata, ma nell’impossibilità, abbandonato lo stato d’ignoranza, di pervenire comunque allo stato di conoscenza sicura della norma giuridica tributaria» (Cass. 11/09/2009, n. 19638).

12. Nella fattispecie è ravvisabile una simile incertezza normativa oggettiva derivante dalla indeterminatezza relativa alla individuazione dei beni da assoggettare ad Ici anche dopo l’entrata in vigore della menzionata normativa, tenuto conto che, con la Circolare dell’agenzia del territorio n. 6/T del 30.11.2012, l’amministrazione finanziaria aveva risolto i dubbi interpretativi solo successivamente all’entrata in vigore dell’art. 1 quinques citato.

13. Il ricorso va dunque accolto, con conseguente cassazione della sentenza impugnata.

In particolare, il ricorso va accolto parzialmente con riferimento al primo motivo, dichiarando che la rendita attribuita dall’ente locale nell’anno 2011 retroagisce all’anno 2004 limitatamente ai cespiti denunciati con la dichiarazione Docfa, con esclusione degli altri immobili ed impianti non denunciati; va accolto con riferimento alla seconda censura, rispetto alla quale la sentenza va cassata con rinvio alla Commissione di secondo grado di Trento per determinare la base imponibile dell’Ici per i cespiti non denunciati con la dichiarazione Docfa, calcolando la rivalutazione sulla base imponibile, secondo i coefficienti vigenti nell’anno 1999; va accolto con riferimento alla terza censura, con conseguente cassazione della sentenza impugnata; e, poiché non sono necessari ulteriori accertamenti in fatto, dichiara non dovute le sanzioni applicate relativamente agli impianti e agli immobili non dichiarate nella procedura Docfa.

P.Q.M.

– Accoglie parzialmente la prima censura: cassa la sentenza impugnata e dichiara che la rendita attribuita dall’ente locale nell’anno 2011 retroagisce all’anno 2004 limitatamente ai cespiti denunciati con la dichiarazione Docfa del 1998, con esclusione degli altri immobili ed impianti non denunciati dall’ente contribuente;

– accoglie il secondo motivo; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione di secondo grado di Trento per determinare la base imponibile dell’Ici per i cespiti non denunciati con la dichiarazione Docfa, calcolando la rivalutazione sulla base imponibile, secondo i coefficienti vigenti nell’anno 1999 (anno di acquisto del cespite mediante conferimento da parte dell’odierna ricorrente);

accoglie il terzo motivo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, dichiara non dovute le sanzioni applicate relativamente agli impianti e agli immobili non dichiarati nella procedura Docfa.

La Commissione di secondo grado di Trento statuirà anche in ordine alla regolamentazione delle spese di legittimità.