CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 16 marzo 2018, n. 6486

Tributi – Imposte sui redditi ed IVA – Valutazione rimanenze finali di titoli – Vendita totale dei titoli nel corso dell’esercizio e del successivo riacquisto nello stesso esercizio – Metodo LIFO a scatti – Esclusione. – Operazioni attive esenti da IVA – Carattere occasionale – Applicazione pro rata di detraibilità dell’IVA – Legittimità

Fatti di causa

L’Agenzia delle Entrate ricorre con cinque motivi per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo che, con la sentenza n. 37/10/10, depositata il 28.01.2010 e notificata il 10.06.2010, in parziale riforma della prima decisione, ha annullato gran parte dei rilievi contenuti nell’avviso di accertamento emesso nei confronti della società F. SRL in liquidazione per IVA, IRPEG ed IRAP, relative all’anno di imposta 2003.

Il giudice di appello, per quanto interessa il presente giudizio, contrariamente a quanto propugnato dall’Agenzia, ha ritenuto infondata la ripresa in merito ai costi per addebito di spese legali, perché intervenuto tra società residenti in Italia e non soggetto alla disciplina del transfer pricing; ha valutato legittima l’applicazione del metodo LIFO a scatti al fine della valutazione delle rimanenze finali di beni fungibili costituiti da titoli; ha ritenuto correttamente applicata la disciplina del pro-rata dalla società in merito alle operazioni esenti, sulla considerazione che si trattava di operazioni eseguite nell’ambito di attività occasionali; di contro ha confermato l’accertamento in merito al “Fondo indennità suppletiva di clientela” ed alla ritenuta indeducibilità della sopravvenienza passiva a fronte della sopravvenuta inesigibilità del credito.

La società replica con controricorso e propone ricorso incidentale fondato su due motivi, corroborato da memoria ex art. 378 cod. proc. civ.

Ragioni della decisione

1.1. I motivi di ricorso possono essere trattati congiuntamente, per connessione, ove concernano la medesima ripresa.

2.1. I motivi primo e secondo riguardano la rettifica del valore delle rimanenze dei titoli non immobilizzati per €.120.206,00, che la CTR ha ritenuto essere stata correttamente eseguita dalla società mediante la valorizzazione secondo il metodo LIFO a scatti.

La Agenzia sostiene, invece, che la valorizzazione avrebbe dovuto essere compiuta al costo specifico di acquisizione dei titoli confluiti nelle rimanenze.

Secondo la ricorrente (primo motivo: omessa ed insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi ex art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.) la CTR, nel pervenire alle sue conclusioni ha ignorato un fatto decisivo e cioè la circostanza che i titoli in questione – rimanenze iniziali al 2003 – erano stati interamente venduti nell’anno in verifica e, quindi, nuovamente acquistati nel corso dello stesso anno, con la conseguenza che la vendita intervenuta aveva comportato un azzeramento dei conti, rendendo impossibile l’applicazione del metodo LIFO ed il riferimento ai prezzi di acquisto iniziali, essendo invece necessario di tener conto esclusivamente del prezzo dei nuovi acquisti.

In particolare la società, ricorrendo all’applicazione del metodo LI.FO a scatti, aveva svalutato i titoli in giacenza per € 122.506,00, laddove – qualora fosse stato applicato il criterio del costo di acquisto, come ritenuto dall’Agenzia – l’importo della svalutazione si sarebbe ridotto ad €.2.300,00, con il conseguente recupero a tassazione della differenza pari ad €.120.206,00.

Ciò ha comportato anche (secondo motivo) la violazione e falsa applicazione dell’art. 59, comma 4, del T.U.I.R., atteso che, nella prospettazione dell’Ufficio il metodo LIFO non sarebbe applicabile nel caso in cui tutte le partite inizialmente esistenti siano state vendute nel corso dell’anno, di guisa che non sarebbe ravvisabile nessuna scorta residua di esse, rimanendo irrilevante la circostanza che siano state acquistate successivamente altre merci della stesso tipo (art. 360, primo comma, n.3, cod. proc. civ.).

2.2. I motivi sono fondati e vanno accolti.

2.3. La valutazione delle rimanenze (cd. “giacenze di magazzino”), come noto, è un’operazione tecnico-contabile necessitata dall’esigenza di determinare periodicamente i risultati di una attività imprenditoriale e si risolve nella attribuzione di un valore alle stesse, previa rilevazione (conta fisica) delle giacenze effettive, che può essere compiuta utilizzando una pluralità di metodi tra loro alternativi.

Giova premettere che il quadro normativo di riferimento, che si evince, per quanto interessa in relazione al bene “titoli” dal combinato disposto degli artt. 53, 59 e 61 del T.U.I.R., è quello desumibile dal testo vigente ratione temporis anteriormente alla riforma del 2004, trattandosi di accertamento riferito all’anno di imposta 2003.

2.4. L’art. 53, in tema di “Ricavi”, stabilisce:

«1. Sono considerati ricavi: (…) c) i corrispettivi delle cessioni di azioni o quote di partecipazione in società ed enti indicati nelle lettere a), b) e d) del comma 1 dell’articolo 87, comprese quelle non rappresentate da titoli, nonché di obbligazioni e di altri titoli in serie o di massa, che non costituiscono immobilizzazioni finanziarie, anche se non rientrano tra i beni al cui scambio è diretta l’attività dell’impresa; (…)».

L’art. 59, in tema di “Rimanenze finali”, prevede:

«1. Le variazioni delle rimanenze finali dei beni indicati alle lettere a) e b) del comma 1 dell’articolo 53, rispetto alle esistenze iniziali, concorrono a formare il i reddito dell’esercizio. A tal fine le rimanenze finali, la cui valutazione non sia effettuata a costi specifici o a norma dell’articolo 60, sono assunte per un valore non inferiore a quello che risulta raggruppando i beni in categorie omogenee per natura e per valore e attribuendo a ciascun gruppo un valore non inferiore a quello determinato a norma delle disposizioni che seguono.

2. Nel primo esercizio in cui si verificano, le rimanenze sono valutate attribuendo ad ogni unità il valore risultante dalla divisione del costo complessivo dei beni prodotti e acquistati nell’esercizio stesso per la loro quantità.

3. Negli esercizi successivi, se la quantità delle rimanenze è aumentata rispetto all’esercizio precedente, le maggiori quantità, valutate a norma del comma 2, costituiscono voci distinte per esercizi di formazione. Se la quantità è diminuita, la diminuzione si imputa agli incrementi formati nei precedenti esercizi, a partire dal più recente.

3-bis. Per le imprese che valutano in bilancio le rimanenze finali con il metodo della media ponderata o del “primo entrato, primo uscito” o con varianti di quello di cui al comma 3, le rimanenze finali sono assunte per il valore che risulta dall’applicazione del metodo adottato.

4. Se in un esercizio il valore unitario medio dei beni, determinato a norma dei commi 2, 3 e 3-bis, è superiore al valore normale medio di essi nell’ultimo mese dell’esercizio, il valore minimo di cui al comma 1, è determinato moltiplicando l’intera quantità dei beni, indipendentemente dall’esercizio di formazione, per il valore normale. Per le valute estere si assume come valore normale il valore secondo il cambio alla data di chiusura dell’esercizio. Il minor valore attribuito alle rimanenze in conformità alle disposizioni del presente comma vale anche per gli esercizi successivi sempre che le rimanenze non risultino iscritte nello stato patrimoniale per un valore superiore.

(…)

6. Le rimanenze finali di un esercizio nell’ammontare indicato dal contribuente costituiscono le esistenze iniziali dell’esercizio successivo»

L’art. 61, in tema di “Valutazione dei titoli”, stabilisce:

«1. I titoli indicati alla lett. c) del comma 1 dell’articolo 53, esistenti al termine di un esercizio, sono valutati applicando le disposizioni dei commi 1, 2, 3, 3-bis, 4 e 6 dell’articolo 59, salvo quanto stabilito nei seguenti commi.

1-bis. Le cessioni di titoli, derivanti da contratti di riporto o di “pronti contro termine” che prevedono per il cessionario l’obbligo di rivendita a termine dei titoli, non determinano variazioni delle rimanenze dei titoli.

2. Ai fini del raggruppamento in categorie omogenee non si tiene conto del valore e si considerano della stessa natura i titoli emessi dallo stesso soggetto ed aventi uguali caratteristiche.

3. Ai fini dell’applicazione del comma 4 dell’articolo 59, il valore minimo è determinato: a) per i titoli negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell’ultimo mese; b) per le azioni e titoli similari non negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, riducendo il valore unitario determinato a norma dei commi 2, 3 e 3-bis dello stesso articolo in misura proporzionalmente corrispondente alle diminuzioni patrimoniali risultanti dal confronto fra l’ultimo bilancio regolarmente approvato dalle società o enti emittenti anteriormente alla data in cui le azioni vennero acquistate e l’ultimo bilancio o, se successive, le deliberazioni di riduzione del capitale per perdite;

c) per gli altri titoli, secondo le disposizioni della lettera c) del comma 4 dell’articolo 9.

(…)».

L’art. 9, comma 4, in tema di “Determinazione dei redditi e delle perdite”, prevede:

«4. Il valore normale è determinato:

a) per le azioni, obbligazioni e altri titoli negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri, in base alla media aritmetica dei prezzi rilevati nell’ultimo mese;

b) per le altre azioni, per le quote di società non azionarie e per i titoli o quote di partecipazione al capitale di enti diversi dalle soci età, in proporzione al valore del patrimonio netto della società o ente, ovvero, per le società o enti di nuova costituzione, all’ammontare complessivo dei conferimenti;

c) per le obbligazioni e gli altri titoli diversi da quelli indicati alle lettere a) e b), comparativamente al valore normale dei titoli aventi analoghe caratteristiche negoziati in mercati regolamentati italiani o esteri e, in mancanza, in base ad altri elementi determinabili in modo obiettivo»

2.5. Osserva la Corte che il metodo di valorizzazione delle rimanenze LI.FO. (last in – first out) ipotizza che le ultime produzioni e gli ultimi acquisti in linea temporale, siano i primi beni ad essere venduti: con tale metodo si scaricano le rimanenze più recenti e restano quindi in magazzino le quantità relative agli acquisti o produzioni dei beni entrati per primi.

Nel caso in esame la società ha applicato un particolare metodo LI.FO.: il c.d. metodo “LI.FO. a scatti”. Secondo tale sistema la valutazione non viene fatta gradualmente, in base ad ogni movimento di entrata e di uscita, ma soltanto a fine periodo. Nel primo esercizio la valutazione della quantità in rimanenza viene effettuata applicando il costo medio ponderato di acquisto (o fabbricazione); negli esercizi successivi è necessario verificare la quantità di rimanenza e confrontarla con quello dell’esercizio precedente: se è aumentata, la quantità preesistente viene valutata come l’esercizio precedente mentre l’incremento (“scatto”) si valuta al costo medio ponderato dell’esercizio; se è diminuita, il decremento si imputa agli strati formatisi negli esercizi precedenti, a partire dal più recente.

2.6. Orbene, a fronte della specifica emergenza fattuale costituita dalla vendita totale dei titoli nel corso dell’esercizio e del successivo riacquisto nello stesso esercizio, caratterizzato da un rilevante mutamento del prezzo, la CTR effettivamente non ha proceduto a considerare espressamente tale circostanza ed a valutarne la rilevanza, rispetto alla adeguatezza, nel caso concreto, del criterio utilizzato per la valorizzazione delle rimanenze, alla luce del ricordato quadro normativo, ma si è limitata a condividere la scelta della contribuente considerando il dettato del solo art. 59 del T.U.I.R.

2.7. Vieppiù non ha considerato le ricadute sul caso di specie del dettato dell’art. 61, comma 3, del T.U.I.R. che stabilisce i criteri secondo i quali, in relazione alle differenti tipologie di titoli, va determinato il “valore minimo” (cfr. Cass. n. 12670/2002).

2.8. La statuizione sul punto appare pertanto insufficientemente motivata ed errata per falsa applicazione di legge, poiché non ha valutato fatti rilevanti per la decisione, non ha espressamente considerato le implicazioni connesse all’applicazione del combinato disposto che disciplina la valutazione delle rimanenze costituite da titoli, e neppure ha illustrato adeguatamente il ragionamento logico/giuridico seguito.

3.1. I motivi terzo – sotto il profilo della insufficiente motivazione (art. 360, primo comma, n.5, cod. proc. civ.) – e quarto – sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell’art. 75 del T.U.I.R.

(art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) riguardano il rilievo concernente la deduzione delle spese legali oggetto di riaddebito da parte della società controllante A.F. SPA nei confronti della società verificata.

Secondo la ricorrente, la CTR erroneamente avrebbe ritenuto che la ripresa si sarebbe basata sulla indebita applicazione della disciplina del transfer pricing, senza tener conto delle effettive ragioni dell’accertamento, e per contro avrebbe ritenuto deducibili costi per asserite spese legali senza nessuna effettiva dimostrazione dell’effettiva inerenza di tali costi all’attività esercitata dalla contribuente, sulla quale gravava l’onere della prova.

3.2. I motivi sono inammissibili e vanno rigettati.

Invero, la motivazione impugnata effettivamente si fonda, per escluderne la legittimità, sulla ritenuta applicazione della disciplina del transfer pricing da parte dell’amministrazione; tuttavia la ricorrente nel sostenere che l’accertamento sui costi non era fondato sull’applicazione di tale disciplina, ma sulla mancata prova dell’inerenza dei costi in esame, non illustra i motivi con sufficiente chiarezza ex art. 366 cod. proc. civ., poiché non trascrive alcun passo dell’avviso di accertamento a conferma della sua prospettazione formulata in ricorso, ma solo stralci delle difese svolte in giudizio, con evidenti ricadute anche sul piano dell’autosufficienza;

4.1. Con il quinto motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 19 bis del d.P.R. n. 633/1972 (art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.) in merito alla ripresa relativa all’applicazione del pro rata.

Secondo la ricorrente la CTR ha errato nel ritenere inapplicabile il pro rata in ragione del carattere occasionale delle operazioni attive esenti, sostenendo che – al contrario – la normativa dispone che non si tiene conto nel calcolo della percentuale di detraibilità delle operazioni che non formano oggetto dell’attività propria dell’impresa, e quindi di quelle estranee all’oggetto sociale e non invece di quelle operazioni che, pur rientrando nell’oggetto sciale, siano compiute occasionalmente.

4.2. Il motivo è infondato.

4.3. L’art. 19 del DPR n. 633/1972, nel testo vigente ratione temporis, al comma 5 stabilisce i criteri di determinazione della percentuale di indetraibilità (c.d. pro rata):

«5. Ai contribuenti che esercitano sia attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione sia attività che danno luogo ad operazioni esenti ai sensi dell’articolo 10, il diritto alla detrazione dell’imposta spetta in misura proporzionale alla prima categoria di operazioni e il relativo ammontare è determinato applicando la percentuale di detrazione di cui all’articolo 19-bis».

Di seguito l’art. 19 bis del DPR n. 633/1972, definisce al comma 1 le modalità di calcolo ed al comma 2 alcune deroghe:

«1. La percentuale di detrazione di cui all’articolo 19, comma 5, è determinata in base al rapporto tra l’ammontare delle operazioni che danno diritto a detrazione, effettuate nell’anno, e lo stesso ammontare aumentato delle operazioni esenti effettuate nell’anno medesimo. La percentuale di detrazione è arrotondata all’unità superiore o inferiore a seconda che la parte decimale superi o meno i cinque decimi.

2. Per il calcolo della percentuale di detrazione di cui al comma 1 non si tiene conto (….), quando non formano oggetto dell’attività propria del soggetto passivo o siano accessorie alle operazioni imponibili, delle altre operazioni esenti indicate ai numeri da 1) a 9) del predetto articolo 10, ferma restando la indetraibilità dell’imposta relativa ai beni e servizi utilizzati esclusivamente per effettuare queste ultime operazioni».

4.4. Ciò premesso sul piano normativo, va ricordato – in via di principio – che ai fini della determinazione dell’imposta a carico dell’impresa, nel sistema IVA della rivalsa e della detrazione, ciò che rileva è l’effettivo volume di affari del contribuente, costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi dallo stesso effettuate nell’esercizio dell’attività imprenditoriale (D.P.R. 633 del 1972, art. 1). Ne discende che, così come le operazioni passive che abbiano comportato il pagamento dell’IVA in rivalsa non danno diritto a detrazione se non rientrano nell’attività propria dell’impresa, poiché non hanno contribuito a determinare l’entità delle cessioni di beni o delle prestazioni di servizi che costituiscono l’oggetto dell’attività imprenditoriale, per la medesima ragione – a contrario – le operazioni attive esenti estranee a quell’oggetto non possono rientrare nel calcolo del pro rata di riduzione dell’IVA detraibile (Cass. n. 10528/1998). Ciò in quanto – com’è del tutto evidente – la determinazione dell’effettivo volume di affari del contribuente, sul quale è destinata ad incidere l’imposta, non può essere effettuata se non sulla base dell’attività in concreto dal medesimo esercitata.

In tale prospettiva il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19 bis, comma 2, impone quindi di tenere conto anche delle operazioni esenti al fine della determinazione della percentuale di indetraibilità (c.d. pro rata), quando queste costituiscano oggetto “dell’attività propria dell’impresa” (Cass. 11085/2008). L’esigenza, ai fini della determinazione dell’imposta, di tenere conto del coacervo delle operazioni di cessione e di prestazione di servizi effettuate nell’esercizio effettivo dell’impresa, comporta, infatti, la necessità di avere riguardo, non già all’attività previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, bensì a quella realmente svolta dal contribuente nell’esercizio dell’impresa.

Come questa Corte ha già avuto modo di affermare con principio a cui intende darsi continuità, “In tema di IVA, per verificare se una determinata operazione attiva rientri o meno nell’attività propria di una società, ai fini dell’inclusione nel calcolo della percentuale d’imposta detraibile in relazione al compimento di operazioni esenti (cosiddetto “pro rata”), occorre avere riguardo non già all’attività previamente definita dall’atto costitutivo come oggetto sociale, ma a quella effettivamente svolta dall’impresa: ai fini dell’imposta, rileva infatti il volume d’affari del contribuente, costituito dall’ammontare complessivo delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi dallo stesso effettuate, e quindi l’attività in concreto esercitata.” (Cass. n. 6574/2008; cfr. anche nn. 912/2006, 17226/2006, 19484/2009, 22243/2009).

A tal fine, pertanto, oltre agli atti che tipicamente esprimono il raggiungimento del fine produttivo enunciato nell’atto costitutivo dell’ente, occorre avere riguardo anche a quelle attività ulteriori che si raccordino con detto fine secondo parametri di regolarità causale, o che siano comunque ad esso legate da un nesso di carattere funzionale non meramente occasionale (Cass. 6194/01, 9762/03, 11073/06, 6574/08, 5970/2014) (precedenti specifici Cass. n. 4613/2016, 7654/2017).

4.5. Nel caso in esame, la Commissione Regionale, facendo corretta applicazione dei su esposti principi, ha accertato, nella ricostruzione della fattispecie concreta, la occasionalità delle operazioni di compravendita titoli esenti posto che nei bilanci della società risultava che prima dell’esercizio 2002 non erano stati iscritti titoli nell’attivo circolante di guisa che la società non aveva effettuato operazioni di compravendita titoli prima di tale esercizio.

4.6. La censura, incardinata come violazione di legge sulla rilevanza della previsione statutaria, piuttosto che sulla concreta attività svolta, risulta pertanto infondata.

4.7. Ne consegue il rigetto del motivo.

5.1. Con il ricorso incidentale, condizionato all’eventuale accoglimento del ricorso principale, la società denuncia, con il primo motivo, la illegittimità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 75 del T.U.I.R. (ora 109) ed insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio (art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod. proc. civ.) per la parte relativa alla ripresa sul “Fondo indennità suppletiva di clientela”; quindi, con il secondo motivo denuncia la violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato (art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.) in merito al motivo di appello riferito al disconoscimento della deducibilità della sopravvenienza passiva di €.4.738,00, ascritta dalla contribuente ad un mancato rimborso INPS, già respinto in primo grado per mancato assolvimento dell’onere probatorio da parte della società (fol. quarto della sentenza imp.).

5.2. Il primo motivo va dichiarato inammissibile.

Va osservato che non coglie la ratio decidendi, centrata sulla inapplicabilità al caso in esame della disciplina dettata dall’art. 1751 cod. civ. e per nulla formalistica; inoltre la società sostiene apoditticamente, in quanto avvalorata solo da quanto esposto nei suoi stessi motivi di appello in maniera ugualmente apodittica (trascritti a fol. 12/13 del ric. inc.), che i presupposti di deducibilità del Fondo erano maturati solo nell’esercizio 2003, ciò nonostante la cessione del ramo di azienda al quale si riferivano le indennità suppletive di clientela fosse avvenuta nel 1992, senza indicare alcun elemento specifico che consenta di recuperare un’attività di approfondimento da parte del giudice di merito.

5.3. Il secondo motivo va accolto, atteso che la statuizione risulta evidentemente riferita ad altra ripresa (applicazione del pro rata) e non entra nel merito della doglianza, come articolata con l’atto di appello, trascritto in parte qua per autosufficienza.

6.1. In conclusione il ricorso principale va accolto sui motivi primo e secondo, inammissibili i motivi terzo e quarto, infondato il quinto; il ricorso incidentale va accolto sul secondo motivo, inammissibile il primo; la sentenza impugnata va cassata e rinviata alla CTR dell’Abruzzo in diversa composizione per il riesame nei limiti dei motivi accolti, alla luce dei principi espressi, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso principale sui motivi primo e secondo, inammissibili i motivi terzo e quarto, infondato il quinto;

Accoglie il ricorso incidentale sul secondo motivo, inammissibile il primo;

Cassa la sentenza impugnata, nei limiti dei motivi accolti, e rinvia alla CTR dell’Abruzzo in diversa composizione per il riesame alla luce dei principi espressi, oltre che per la liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.