CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 17 giugno 2020, n. 11700
Trasferimento di ramo di azienda – Nullità della cessione dei contratti di lavoro – Accertamento
Fatti di causa
1. Con sentenza n. 5924/2015 la Corte d’appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado che aveva dichiarato la nullità della cessione dei contratti di lavoro degli originari ricorrenti, da E. s.p.a. ad A. s.r.l, avvenuta nell’ambito di trasferimento di ramo di azienda dalla prima alla seconda società, ed ordinato ad E. s.p.a. in amministrazione straordinaria di reintegrare i lavoratori nel posto di lavoro in precedenza occupato, dovendo gli stessi essere considerati, anche per il periodo successivo al 15 settembre 2009, dipendenti di E. s.p.a.
1.1. Per quel che ancora rileva, la Corte di merito ha confermato la improcedibilità – per difetto temporaneo di giurisdizione per tutta la durata della fase amministrativa di accertamento dello stato passivo dinanzi ai competenti organi della procedura di amministrazione straordinaria alla quale era sottoposta E. s.p.a. – della sola domanda diretta alla condanna della società al pagamento di somme e ritenuto la perdurante competenza del giudice del lavoro in relazione alla domanda di accertamento della inefficacia della cessione nei confronti dei lavoratori e del persistere del rapporto di lavoro con la società E.. Nel merito ha condiviso la lettura di prime cure del quadro probatorio emerso, ritenuto concludente nel senso che la cessione alla società A. s.r.l. del ramo di azienda denominato I.T. non poteva riguardare gli originari ricorrenti che risultavano stabilmente assegnati al diverso settore delle Telecomunicazioni rimasto sotto la diretta gestione della società cedente.
2. Per la cassazione della decisione ha proposto ricorso E. s.p.a. in amministrazione straordinaria sulla base di due motivi; gli intimati D.C., F.C., S.M., G.P., A.S. e M.V., hanno resistito con controricorso. A. s.r.l. in amministrazione straordinaria non ha svolto attività difensiva.
3. E’ stato depositato verbale di conciliazione in sede sindacale in data 13.7.2017 intervenuta tra E. s.p.a. in amministrazione straordinaria e D.C., F.C., S.M., e M.V..
3.1. E. s.p.a. in amministrazione straordinaria ha depositato atto di rinunzia ai motivi di ricorso nei confronti dei suindicati lavoratori i quali hanno sottoscritto per accettazione.
4. E. s.p.a. in amministrazione straordinaria e G.P. e A.S. hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 cod. proc. civ.
Ragioni della decisione
1. Preliminarmente, rilevato che E. s.p.a. in amministrazione straordinaria ha depositato atto di rinunzia, ai sensi dell’art. 390 cod. proc. civ., ai motivi di ricorso proposti nei confronti di D.C., F.C., S.M., e M.V. i quali hanno accettato, dichiara la estinzione del processo tra le dette parti.
1.1. L’adesione alla rinunzia dei controricorrenti esclude, ai sensi dell’art. 391, comma 4, cod. proc. civ., la condanna alle spese di lite.
2. In relazione alla posizione dei controricorrenti G.P. e A.S., si osserva quanto segue.
3. Con il primo motivo di ricorso parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 24 RD n. 267 del 1942 e dell’art. 13 d. Igs n. 270 del 1999, censura la sentenza impugnata per avere ritenuto procedibile la domanda di accertamento della inefficacia della cessione laddove questa, come evincibile dalle conclusioni spiegate nel ricorso di primo grado, era da considerare strumentale alla domanda di condanna di E. s.p.a. al pagamento di somme di danaro ed, in definitiva, destinata ad incidere sugli assetti patrimoniali garantiti dalla procedura concorsuale; analogamente a quanto previsto dall’art. 24 Legge fall, in tema di fallimento, anche in caso di amministrazione straordinaria, infatti, si poneva la esigenza di concentrazione presso un unico foro delle domande destinate ad innestarsi sul tronco del procedimento amministrativo di verificazione dello stato passivo dinanzi ai competenti organi della procedura.
4. Con il secondo motivo parte ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 2112 e 1406 cod. civ., censura la sentenza impugnata per avere escluso che il ramo di azienda ceduto – denominato “I.T.”- riguardasse i lavoratori ricorrenti per essere gli stessi stati stabilmente assegnati al diverso settore Telecomunicazioni rimasto in E.. Assume che la decisione sul punto è frutto della errata interpretazione della nozione di <<ramo d’azienda>> la quale doveva essere rivisitata alla luce della modifica introdotta dall’art. 32 d. Igs n. 276 del 2003 all’art. 2112 cod. civ., modifica la quale richiedeva, al fine della configurabilità della cessione, solo che il ramo oggetto della stessa fosse dotato di autonomia funzionale ma non anche che lo stesso fosse preesistente, potendo essere costituito ed identificato anche al momento della cessione. Assume, inoltre, che dalle risultanze processuali, sia orali che documentali, non emergeva in modo assoluto ed intellegibile che i lavoratori si fossero, sia prima che dopo la cessione occupati, del settore delle telecomunicazioni e non anche di quello di pertinenza di I.T.; evidenzia a riguardo che gli originari ricorrenti, per loro stessa ammissione, appartenevano al personale di staff con funzioni amministrative di addetti al marketing.
5. Il primo motivo di ricorso è infondato.
Il tema della individuazione dell’ambito della competenza funzionale inderogabile del tribunale fallimentare, prevista dall’art. 24 della legge fall, e dall’art. 13 del d.lgs. n. 270 del 1999, suo omologo nell’amministrazione straordinaria, è stato ripetutamente affrontato da questa Corte la quale è pervenuta ad approdi che possono ritenersi consolidati.
Premessa di ordine generale è costituita dall’affermazione che in materia di procedure concorsuali la competenza funzionale inderogabile del tribunale fallimentare, prevista dalle norme sopra richiamate opera con riferimento non solo alle controversie che traggono origine e fondamento dalla dichiarazione dello stato d’insolvenza ma anche a quelle destinate ad incidere sulla procedura concorsuale in quanto l’accertamento del credito verso il fallito costituisca premessa di una pretesa nei confronti della massa, tale da doversi dirimere necessariamente in seno alla procedura stessa, onde assicurarne l’unità e garantire la “par condicio creditorum” ( Cass. 18/06/2018 n. 15982; Cass. 20/07/200 n. 13496; Cass. 21/12/2001, n. 16183).
5.1. Con specifico riferimento alle controversie di lavoro il discrimen tra le sfere di cognizione del giudice del lavoro e del giudice fallimentare è stato individuato nelle rispettive speciali prerogative: del primo, quale giudice del rapporto e del secondo, quale giudice del concorso (Cass. 30/03/ 2018, n. 7990 Cass. 16/10/2017, n. 24363).
In questa prospettiva è stato precisato che il fatto << che il giudice del lavoro sia giudice del rapporto sta a significare che ad esso spetti la cognizione di ogni controversia avente ad oggetto lo status del lavoratore, essenzialmente radicato nei principi affermati dagli artt. 4, 35, 36 e 37 Cost., in riferimento al diritto ad una legittima e regolare instaurazione, vigenza e cessazione del rapporto e alla sua corretta qualificazione e qualità. E ciò per effetto dell’esercizio di azioni sia di accertamento mero, come in particolare di esistenza del rapporto di lavoro (Cass. 30 marzo 1994, n. 3151; Cass. 18 agosto 1999, n. 8708; Cass. 18 giugno 2004, n. 11439) o di riconoscimento della qualifica della prestazione (Cass. 20 agosto 2009, n. 18557;Cass. 6 ottobre 2017, n. 23418), ovvero di azioni costitutive, principalmente di impugnazione del licenziamento (Cass. 2 febbraio 2010, n. 2411), anche quando comprensive della domanda di condanna alla reintegrazione nel posto di lavoro (Cass. 3 marzo 2003, n. 3129; Cass. 27 febbraio 2004, n. 4051; Cass. 25 febbraio 2009, n. 4547; Cass. 29 settembre 2016, n. 19308), pure qualora conseguente all’accertamento di nullità, invalidità o inefficacia di atti di cessione di ramo d’azienda, in funzione del ripristino del rapporto di lavoro con la parte cedente, in caso di fallimento della cessionaria (Cass. 23 gennaio 2018, n. 1646). 6.2. Al giudice fallimentare, che è invece giudice del concorso, è invece riservato l’accertamento, con la relativa qualificazione, dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione al concorso>> (Cass. 21/06/2018, n. 16443, in motivazione).
In definitiva, per quanto riguarda i rapporti di lavoro, occorre distinguere fra le azioni promosse dal dipendente all’unico scopo di conseguire la soddisfazione di una pretesa meramente economica, dalle azioni finalizzate ad ottenere una pronuncia di mero accertamento o costitutive (ad es. l’accertamento della nullità o l’annullamento del licenziamento). Ciò in considerazione della particolarità della disciplina lavoristica che è diretta ad una finalità di tutela del lavoro che, per il suo specifico contenuto e per il suo rilievo costituzionale, prevale sulle pur importanti finalità alle quali è diretta la disciplina del fallimento.
Nel primo caso, infatti, viene in rilievo la strumentalità dell’accertamento di diritti patrimoniali alla partecipazione al concorso sul patrimonio del fallito laddove nel secondo caso viene in rilievo un interesse del lavoratore alla tutela della propria posizione all’interno della impresa sia in funzione di una possibile ripresa dell’attività, sia per la coesistenza di diritti non patrimoniali e previdenziali, estranei alla realizzazione della par condicio creditorum (Cass. 16/10/2017, n. 24363, in motivazione; Cass. 3/2/2017, n. 2975, Cass. 29/9/2016 n. 19308, Cass. 29/3/2011 n. 7129).
5.2. In continuità con tale condivisibile indirizzo deve ritenersi che la domanda volta a far dichiarare la nullità, l’invalidità o l’inefficacia degli atti di cessione del ramo di azienda e la conseguente domanda di condanna al ripristino del rapporto di lavoro con la cedente appartengono, anche in caso di sottoposizione di questa a procedura concorsuale, alla cognizione del giudice del lavoro quale giudice del rapporto e delle controversie relative allo status del lavoratore, in quanto l’accertamento richiesto in tali ipotesi non costituisce premessa di una pretesa economica nei confronti della massa fallimentare e dunque non richiede la cognizione del giudice fallimentare, chiamato soltanto alla qualificazione dei diritti di credito dipendenti dal rapporto di lavoro, in funzione della partecipazione paritaria al concorso tra creditori e con effetti esclusivamente endoconcorsuali (Cass. 23/01/2018, n. 1646).
5.3. La sentenza impugnata ha fatto corretta applicazione di tale insegnamento sulla base della -implicita- qualificazione di una parte della domanda come non esclusivamente strumentale al pagamento di somme; tale qualificazione, come è noto, costituisce accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimità qualora sorretto da una motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici (Cass. 18/05/2012, n. 7932; Cass. 07/07/2006 n. 15603; Cass. 20/08/2002 n. 12259).
5.3. L’accertamento in oggetto non risulta inficiato dalle deduzioni della odierna ricorrente in quanto affidate esclusivamente alla trascrizione delle conclusioni formulate nel ricorso di primo grado, nelle quali i lavoratori chiedevano, oltre all’accertamento della illegittimità, nullità e inefficacia e, comunque, l’annullamento della cessione di azienda, ordinarsi il ripristino e/o la reintegra nel posto di lavoro alle dipendenze di E. s.p.a. e la condanna della predetta società al pagamento delle retribuzioni a decorrere dal 15 giugno 2009.
Le richiamate conclusioni, tuttavia, anche a prescindere da un profilo di inammissibilità della censura per mancata trascrizione dell’intero ricorso di primo grado – posto che la individuazione del contenuto della domanda deve essere condotta alla luce della interpretazione complessiva dell’atto introduttivo (Cass. 15/12/2003, n. 19188; Cass. 19/12/2002, n. 18096; Cass. 07/07/1997 n. 6100) – non dimostrano la esclusiva strumentalità della domanda di accertamento e ripristino del rapporto di lavoro al pagamento delle retribuzioni maturate a decorrere dal 15 giugno 2009, venendo in rilievo nelle richieste formulate un innegabile e più ampio interesse connesso all’accertamento dello status di dipendente della società datrice.
6. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile.
La specifica questione, implicante accertamento di fatto, della non preesistenza del ramo di azienda ceduto e, quindi, della individuazione, solo all’atto della cessione, delle relative componenti destinate a conferire al complesso ceduto la necessaria autonomia funzionale alla stregua dell’art. 2112 cod. civ. nel testo novellato dall’art. 32 d. lgs n. 276 del 2003, non è stata specificamente affrontata dalla Corte di merito di talché costituiva onere della parte ricorrente, onere in concreto non assolto, allegare e dimostrarne la avvenuta rituale deduzione nelle fasi del giudizio di merito, della questione e denunziare la omessa pronunzia a riguardo da parte del giudice di appello (Cass. 09/08/2018 n. 20694; Cass. 28/01/2013 n. 1435; Cass. 28/07/2008 n. 20518; Cass. 20/10/2006 n. 22540).
7. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto.
8. Le spese di lite sono liquidate secondo soccombenza.
9. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto (Cass. Sez. Un. n. 23535 del 2019).
P.Q.M.
Dichiara l’estinzione del processo fra E. s.p.a. in amministrazione straordinaria e D.C., F.C., S.V. e M.V..
Compensa le spese di lite fra le dette parti.
Rigetta il ricorso nei confronti di G.P. e A.S.
Condanna parte ricorrente alla rifusione a G.P. e ad A.S., in solido, delle spese di lite che liquida in € 6.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori, come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115 dei 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art.13, se dovuto.