CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 febbraio 2019, n. 4687
Rapporto di lavoro – Superiore inquadramento – Differenze retributive – TFR
Fatti di causa
Il Tribunale di Potenza, in accoglimento dell’eccezione di prescrizione presuntiva sollevata ai sensi del combinato disposto di cui agli artt. 2955 n. 2 e 2956 n. l c.c. dalla s.r.l. F. S., rigettava le domande nei confronti di quest’ultima proposte da A. G. G., intese a conseguire differenze retributive – comprensive di TFR – connesse al rivendicato superiore inquadramento di responsabile delle vendite, in relazione al rapporto di lavoro subordinato intercorso fra le parti dal 1/1/1998 al 31/1/2000.
Detta pronuncia veniva parzialmente riformata dalla Corte distrettuale che, in estrema sintesi, ritenendo inapplicabile le soprarichiamate disposizioni codicistiche ai crediti azionati in relazione al TFR, mensilità aggiuntive, indennità sostitutiva delle ferie e festività, espletata ctu contabile, condannava la società al pagamento in favore del G., della somma di euro 14.089,34 oltre accessori di legge.
Avverso tale decisione interpone ricorso per cassazione la s.r.l. F. S., sostenuto da due motivi. Resiste con controricorso la parte intimata.
La ricorrente ha depositato memoria illustrativa oltre i termini di legge.
Ragioni della decisione
1. Deve in via pregiudiziale respingersi l’eccezione di inammissibilità del ricorso sollevata dal controricorrente, per violazione del termine di impugnazione ai sensi del novellato art. 327 c.p.c.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, in tema di impugnazioni, la modifica dell’art. 327 c.p.c., introdotta dalla legge n. 69 del 2009, che ha sostituito il termine di decadenza di sei mesi dalla pubblicazione della sentenza all’originario termine annuale, è applicabile, ai sensi dell’art. 58, comma 1 della predetta legge, ai soli giudizi instaurati dopo la sua entrata in vigore e, quindi, dal 4 luglio 2009, restando irrilevante il momento dell’instaurazione di una successiva fase o di un successivo grado di giudizio, (vedi ex plurimis Cass. 6/10/2016 n. 20102, Cass. 6/10/2015 n. 19969).
Nello specifico è dato incontroverso che il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado sia stato depositato in data 22/5/2009, anteriormente, quindi, alla entrata in vigore della novella del 2009, onde, sotto tale profilo, il presente ricorso deve ritenersi tempestivo perché notificato il 4/6/2014 entro il termine annuale sancito dall’art. 327 c.p.c. comma 1 (nel testo, applicabile ratione temporis, anteriore alla modifica introdottavi dalla L. n. 69 del 2009, art.46, comma 17) dal deposito della sentenza d’appello intervenuto in data 6/6/2013.
2. Con il primo motivo si denunzia nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c.
Ci si duole che la Corte di merito abbia pronunciato ultra petita, giacché in atto introduttivo il ricorrente aveva chiesto il pagamento della somma di euro 34.454,85 senza indicare in dettaglio le voci in cui si sostanziava il credito azionato laddove, nei conteggi allegati, mancava alcun riferimento alle indennità sostitutive di ferie e festività che, di conseguenza, andavano espunte dal quantum liquidato in sentenza.
3. Il motivo non è ammissibile per presentare un difetto di specificità ex art. 366 n.6 c.p.c., non essendo riportato il tenore degli atti processuali sui quali la censura si fonda.
Secondo l’insegnamento di questa Corte, il riconoscere al giudice di legittimità il potere di cognizione piena e diretta del fatto processuale, non comporta certo il venir meno della necessità di rispettare le regole poste dal codice di rito per la proposizione e lo svolgimento di qualsiasi ricorso per cassazione, ivi compreso quello con cui si denuncino errores in procedendo quale quello di cui si discute, mediante il quale indubbiamente, si intende far valere un vizio del processo che si sostanzia nel compimento di un’attività deviante rispetto alla regola processuale prescritta dal legislatore.
Ciò vuol dire non solo che i vizi del processo non rilevabili d’ufficio possono esser conosciuti dalla Corte di cassazione solo se, e nei limiti in cui, la parte interessata ne abbia fatto oggetto di specifico motivo di ricorso, ma anche che la proposizione di quel motivo resta soggetta alle regole di ammissibilità e di procedibilità stabilite dal codice di rito, in nulla derogate dall’estensione ai profili di fatto del potere cognitivo della corte.
Nemmeno in quest’ipotesi viene meno, in altri termini, l’onere per la parte di rispettare il principio di specificità dei motivi d’impugnazione, ora tradotto nelle più definite e puntuali disposizioni contenute nell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, e art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (vedi in motivazione, Cass. S.U. 22/5/2012 n. 8077).
Nella fattispecie scrutinata, s’impone l’evidenza del difetto di specificità del motivo, non avendo la ricorrente riportato il tenore dell’atto processuale (segnatamente, il ricorso introduttivo del giudizio) sui quali la censura si fonda; onde la pronuncia resiste alla censura all’esame.
4. Con la seconda critica si prospetta nullità della pronuncia per violazione e falsa applicazione degli artt. 2948 nn. 4 e 5 c.c., 2955 n. 2 c.c. e 2956 n. l c.c.
Si argomenta essenzialmente in ordine alla applicabilità anche ai crediti relativi a periodi superiori al mese – quali il T.F.R., 13° e 14° mensilità – della prescrizione presuntiva, vertendosi in ipotesi di crediti di natura retributiva corrisposti per periodi superiori al mese.
5. Il motivo è solo in parte fondato, entro i termini che si vanno ad esporre.
Occorre premettere che con riguardo alle retribuzioni periodiche (salari, stipendi, ma anche mensilità aggiuntive, gratifiche annuali) vale il richiamo a tutto ciò che deve pagarsi periodicamente ad anno o in termini più brevi contenuto nell’art. 2948 c.c.
E’ bene altresì rimarcare che i crediti di lavoro relativi ai singoli emolumenti retributivi periodici, soggetti alla prescrizione quinquennale ai sensi dell’art. 2948 n.4 e n.5 c.c. (riferito quest’ultimo alle indennità spettanti per la cessazione del rapporto di lavoro), sono sottoposti anche , alla concorrente prescrizione presuntiva prevista dagli artt. 2955 c.c. n.2 (un anno per le retribuzioni corrisposte a periodi non superiori al mese) e n. 2956 c.c. (tre anni per le retribuzioni corrisposte per periodi superiori al mese).
Tale istituto, incontestabilmente ritenuto applicabile, anche se . decisamente in via residuale, ai crediti di lavoro, non costituisce prescrizione in senso proprio, non comportando l’estinzione del diritto, giacché si limita ad integrare – a fronte del decorso del tempo stabilito ex lege – una presunzione legale del suo soddisfacimento, che può essere superata fornendo in giudizio la prova contraria nei limiti ammessi dallo stesso codice civile. La presunzione può essere infatti, vinta sia attraverso la confessione giudiziale del datore di lavoro, sia attraverso il deferimento al medesimo datore di lavoro del giuramento decisorio (ex artt. 2959 e 2960 c.c., ferme restando le implicazioni di carattere penale ed anche risarcitorio a carico del datore che abbia giurato il falso (ex art. 2738 c.c.).
Ed in tal senso rinviene, quindi, ragione la coesistenza fra le due tipologie di prescrizione dei diritti di credito scaturenti dal contratto di lavoro.
6. Sulla scia di tali principi, è stato quindi osservato (vedi Cass. 9/4/2003 n. 5535) come le prescrizioni contemplate dagli artt. 2954 e ss. c.c. trovino il loro fondamento sul presupposto che in numerosi rapporti della vita quotidiana il pagamento suole avvenire con una certa immediatezza sicché il decorso di un breve periodo di tempo (sei mesi, un anno o tre anni) fa presumere l’estinzione del debito, determinando una inversione dell’onere della prova con la possibilità che tale presunzione sia vinta mediante gli strumenti processuali descritti (confessione giudiziale del datore di lavoro o deferimento allo stesso del giuramento decisorio).
Proprio in ragione della ripetitività dei pagamenti, e della ratio che sottende la norma, volta a risolvere questioni attinenti a rapporti commerciali, professionali o di lavoro, mediante la predisposizione del descritto meccanismo processuale, deve escludersi che il T.F.R. possa ritenersi assoggettato alla invocata prescrizione presuntiva.
Si tratta, infatti, di pagamento che si esaurisce in un unico atto al momento di cessazione del rapporto, non ha natura periodica e non è strettamente connesso all’esecuzione della prestazione, in quanto tale.
L’emolumento considerato non appare, pertanto, assoggettabile alla disciplina invocata dalla ricorrente, come del resto anche affermato in recenti approdi da questa Corte, secondo cui non è ammissibile l’eccezione di prescrizione presuntiva del credito al trattamento di fine rapporto di lavoro (vedi Cass. 14/3/2017 n. 6522, ed in motivazione, Cass. n. 9509/2012).
7. A non conformi conclusioni è dato, invece, addivenire, in ordine al riconoscimento delle cd. mensilità aggiuntive.
Ricorrendo la medesima ratio enunciata in precedenza come sottesa all’istituto della prescrizione presuntiva, deve ritenersi che l’ordinamento anche con riferimento a tale categoria di crediti – onde assicurare una fondamentale esigenza di certezza nella gestione dei rapporti commerciali e di lavoro fra privati – abbia inteso consentire l’applicazione dei termini prescrizionali sanciti dall’art. 2956 c.c.. Si versa, infatti, in ipotesi di pagamenti, connessi all’espletamento della prestazione lavorativa, che vengono calcolati su periodi superiori al mese ed erogati sempre con cadenza superiore al mese.
Deve, quindi, concludersi che la prescrizione presuntiva triennale disciplinata dalla disposizione da ultimo richiamata, può essere invocata anche in relazione alle mensilità aggiuntive, fermo restando che resta escluso che da ciò possa derivare un pregiudizio per il lavoratore, la cui posizione resta garantita dalla declaratoria di incostituzionalità della norma operata con la sentenza n. 63 del 1966 della Corte Costituzionale nella parte in cui consentiva che la prescrizione del diritto alla retribuzione decorresse durante il rapporto di lavoro (secondo cui “Il precetto costituzionale ammette la prescrizione del diritto al salario, ma non ne consente il decorso finché permane il rapporto di lavoro durante il quale essa maschera spesso una rinunzia ad una parte dei propri diritti nel timore del recesso”).
Al lume delle superiori argomentazioni detto secondo motivo di ricorso è, dunque, meritevole di accoglimento entro i termini descritti.
La sentenza impugnata deve, quindi, essere cassata in relazione al motivo accolto con rinvio alla Corte designata in dispositivo la quale, néllo scrutinare la vicenda delibata e provvedendo anche in ordine alle spese del presente giudizio di legittimità, si atterrà ai principi di diritto innanzi enunciati.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso nei sensi di cui in motivazione, e dichiara inammissibile il primo; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’Appello di Potenza in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche in ordine alle spese del presente giudizio.