CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 ottobre 2022, n. 30639
Esposizione qualificata all’amianto – Rivalutazione contributiva – Domanda – Calcolo dell’anzianità contributiva
Fatti di causa
Il Tribunale di Venezia su ricorso di A.S., che aveva fatto valere il giudicato relativo al riconoscimento del proprio diritto alla rivalutazione contributiva dei periodi di esposizione qualificata all’amianto (ai sensi dell’art. 13, comma 8, l. n. 257 del 1992) per periodi compresi tra il giugno 1969 ed il 31 dicembre 1992, aveva accolto in parte la domanda dello stesso tesa ad ottenere la ricostituzione della pensione mediante la considerazione di tutti i 929 contributi settimanali corrispondenti alla esposizione qualificata al fine di neutralizzare i 302 contributi settimanali meno favorevoli accreditati. In particolare, era stato ritenuto pacifico il dato che il monte contributivo complessivo non poteva superare 2080 settimane e che la maggiorazione contributiva per l’esposizione all’amianto doveva essere collocata in quota A, essendo riferita al periodo anteriore al 31.12.1992; dunque, gli accrediti contributivi dovevano essere computati nella loro successione cronologica comprendendo in quota A tutti i contributi con maggiorazione, oltre quelli già accreditati per detta quota, mentre andavano collocati in quota B i restanti fino al raggiungimento di 2080.
Con sentenza n. 79/2017, la Corte d’appello di Venezia, riunite le impugnazioni proposte da S.A. e dall’INPS avverso la sentenza del Tribunale di Venezia, ha accolto l’appello proposto dall’INPS e rigettato quello del S. ed in riforma della sentenza impugnata ha rigettato la domanda proposta dal pensionato.
La Corte d’appello ha osservato che, ai fini della liquidazione originaria della pensione, l’INPS con provvedimento del 30 aprile 2004 aveva calcolato quale anzianità contributiva maturata dal S. n. 1267 settimane sino al 31 dicembre 1992 e n. 571 settimane per il periodo successivo al 31 dicembre 1992, per un totale di 1838 settimane, necessarie per beneficiare della pensione di anzianità. La contribuzione maggiorata per esposizione all’amianto non riguardava la quota B, per cui la quota A poteva avere una capienza massima di 1509 settimane; dunque il numero massimo di settimane da accreditare per effetto della sentenza di riconoscimento della maggiorazione era pari a 242.
Avverso tale sentenza, propone ricorso per cassazione, con due motivi, illustrati da successiva memoria, A.S..
l’INPS ha depositato tempestivo controricorso e memoria.
Il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo, si deduce la violazione dell’art. 345 c.p.c. per affermazione di principi giuridici non devoluti alla Corte d’appello. Il ricorrente sintetizza i punti dell’atto d’appello proposto dall’INPS e non vi ravvisa alcuna connessione con la motivazione addotta.
Con il secondo motivo, il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del comma 8 dell’art. 13 della I. 257/1992. Rileva la non pertinenza delle decisioni richiamate che riguardavano i limiti esterni di applicazione dei benefici amianto e la loro utilizzazione dopo l’avvenuto raggiungimento della massima anzianità contributiva. Al contrario il ricorrente afferma la fondatezza della propria pretesa alla neutralizzazione di “contributi nocivi” in applicazione del principio per cui l’anzianità contributiva deve essere applicata nell’ordine, secondo il periodo cronologico di maturazione (che in questo caso coinciderebbe con i contributi più favorevoli).
Il primo motivo è infondato.
La sentenza, dopo aver riferito i contenuti degli atti di parte e della sentenza di primo grado, ha individuato nella questione posta dall’appello dell’INPS quella da affrontare in via di logica priorità, in quanto l’accertamento della correttezza del calcolo posto in essere dall’Istituto, non poteva che comportare l’infondatezza della pretesa del S. di ottenere una considerazione della maggiorazione da amianto capace di neutralizzare la contribuzione figurativa anche successiva all’ambito temporale della quota A e cioè al 31 dicembre 1992.
Dunque, la Corte territoriale ha giudicato sulla pretesa di ottenere la ricostituzione della pensione interpretando il dato normativo applicabile e non ha oltrepassato i limiti del devolutum.
Infatti, l’oggetto della causa di primo grado, integralmente devoluto al grado d’appello per effetto delle impugnazioni proposte da entrambe le parti avverso la sentenza di primo grado di parziale accoglimento, era la corretta applicazione del beneficio di cui all’art. 13 l. n. 257 del 1992 riconosciuto dalla sentenza n. 414 del 2011 del Tribunale di Venezia e di ciò si è occupata la sentenza ora impugnata.
Il secondo motivo è pure infondato.
Per la giurisprudenza di legittimità il periodo oggetto di rivalutazione corrisponde con i periodi di effettiva esposizione che, nel caso di specie, si colloca tutto all’interno della fascia A. Dunque, tenuto conto che il limite dei 2080 contributi settimanali è esterno al beneficio e va rispettato, l’operato dell’INPS è corretto.
Si è precisato (Cass. n. 26923 del 23/12/2016) che il disposto dell’art. 13, comma 8, della l. n. 257 del 1992 va interpretato nel senso che anche per i lavoratori che siano stati esposti al rischio dell’amianto per un periodo ultradecennale sia rivalutabile il solo periodo di lavoro di effettiva e provata esposizione al rischio e non già l’intero periodo coperto da assicurazione obbligatoria contro l’amianto (cioè, in pratica, l’intero periodo di assicurazione all’INAIL, nel quale è rícompreso, fra i tanti, anche il rischio dell’amianto), atteso che, da un lato, tale estensione comporterebbe un’ingiustificata discriminazione nei confronti dei lavoratori delle cave e delle miniere di amianto e di quelli colpiti da malattie causate dallo stesso materiale, e, dall’altro, che l'”intero periodo lavorativo” deve essere inteso – alla luce delle finalità della l. n. 257 del 1992, evidenziate anche da Corte cost, nella sentenza n. 5 del 12 gennaio 2000 – come periodo caratterizzato dal rischio di contrarre malattie, qual è soltanto il periodo in cui vi sia stata esposizione qualificata al rischio di asbestosi.
Inoltre, quanto al limite delle 2080 settimane, Cass. n. 5419 del 2020 ha avuto modo di precisare che, fermo il riconoscimento del diritto all’incremento dell’anzianità contributiva per il periodo di esposizione all’amianto, il giudicato formatosi sul relativo beneficio non contiene di per sé anche l’indicazione delle modalità con le quali tale provvista contributiva, unitamente a quella derivante dal cumulo di altra gestione, può generare una diversa misura della pensione di anzianità.
In particolare, la maturazione del diritto alla rivalutazione non comporta che la pensione debba essere riliquidata sulla base di una contribuzione che vada oltre il limite di legge, estraneo a quell’oggetto del contendere; anche la condanna dell’Istituto nel pregresso contenzioso ha un contenuto generico limitato all’ “an”, per cui l’accertamento del “quantum” rimane autonomo rispetto al primo, con la conseguenza che il passaggio in giudicato della sentenza di condanna generica non determina effetti vincolanti, per il giudice del “quantum”, sulla effettiva misura del credito (cfr. Cass. n. 9290 del 2014; Cass. n. 19453 dei 2008).
Applicando tale principio al caso di specie, deve dunque rilevarsi che il beneficio di cui all’art. 13 l. n. 257 del 1992, riconosciuto al ricorrente per periodi compresi tra il 1969 ed il 1992, non può che operare per il periodo compreso sino al 31 dicembre 1992 e dunque non può che incidere sul calcolo della quota A della pensione, così come in effetti ritenuto dall’Istituto, senza che dal riconoscimento di una maggiorazione eccedente rispetto alle 1509 settimane possa determinarsi un effetto espansivo nei periodi successivi al 31 dicembre 1992.
Neppure a tale risultato potrebbe giungersi in applicazione del principio della cd. neutralizzazione. Infatti, questa Corte di legittimità (Cass. n. 28205 del 2018) ha avuto modo di precisare che i trattamenti pensionistici liquidati successivamente al primo gennaio 1993 sono determinati, avuto riguardo alla disciplina di cui alla l. n. 421 del 1992 e al d.lgs. n. 503 del 1992, sulla base di una progressiva estensione del periodo di calcolo della retribuzione pensionabile, che risponde alla finalità di rendere l’importo della pensione il più possibile aderente all’effettiva consistenza di quanto percepito dal lavoratore nel corso della sua vita lavorativa. Da ciò consegue che, rispetto ad essi, non opera, anche con riferimento ai lavoratori che, alla predetta data, abbiano maturato un’anzianità superiore a 15 anni, il rimedio, elaborato dalla giurisprudenza della Corte costituzionale, della cd. neutralizzazione dei periodi a retribuzione ridotta. Tale rimedio infatti consente di evitare un impoverimento della prestazione previdenziale nell’assetto legislativo delineato dall’art. 3 della l. n. 287 del 1982, incentrato sulla valorizzazione del maggior livello retributivo tendenzialmente raggiunto negli ultimi anni di lavoro.
In definitiva, il ricorso va rigettato. Le spese seguono la soccombenza nella misura liquidata in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in complessivi Euro 3.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre a spese generali e ad accessori di legge.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.
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