CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 18 settembre 2020, n. 19450
Accertamento – Revoca della sentenza – Esclusione della decisione sull’originario ricorso -Inammissibilità
Fatti di causa
Con ricorso del 22.6.2015, l’Agenzia delle Entrate, ai sensi dell’art. 395, n. 4, c.p.c., ha chiesto alla C.T.R. del Lazio la revocazione della sentenza n. 7561/35/14, dalla stessa emessa il 26.11.2014 e pubblicata il 12.12.2014. La sentenza revocanda era stata resa nel giudizio d’appello, promosso dall’Agenzia, in relazione all’impugnazione di un avviso dì accertamento a suo tempo notificato a V. s.r.l. Con Il ricorso in revocazione, l’Agenzia delle Entrate ha sostenuto che la decisione della C.T.R. – che aveva rigettato il gravame da essa proposto – era fondato su un errore di fatto, consistente nell’erroneo presupposto secondo cui l’avviso di accertamento era stato notificato soltanto alla V. s.r.l. (quale società che aveva incorporato la R.T. s.a.s. di V. s.r.I.) in data anteriore al perfezionamento della fusione, emergendo invece dagli atti che l’avviso era stato notificato anche alla società incorporata.
Nel contraddittorio con V. s.r.I., con sentenza del 12.5.2016 la C.T.R. del Lazio ha però dichiarato il ricorso inammissibile, per non aver l’Agenzia espressamente chiesto anche la pronuncia sul giudizio rescissorio ed essersi invece limitata a chiedere la mera revocazione della decisione impugnata.
L’Agenzia delle Entrate ricorre ora per cassazione, sulla base di un unico motivo, cui resiste con controricorso V. s.r.l.
Ragioni della decisione
1.1 – Con l’unico motivo, si denuncia la nullità della sentenza per violazione dell’art. 395, n. 4, c.p.c., nonché dell’art. 65, comma 2, del d.lgs. n. 546/1992, in relazione all’art. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. La ricorrente lamenta l’erroneità della decisione impugnata, nella parte in cui s’è ritenuto indispensabile, ai fini dell’ammissibilità del ricorso per revocazione, la proposizione espressa della domanda di decisione della causa. Osserva, al contrario, che già più volte la giurisprudenza di legittimità, affrontando la questione in tema di revocazione di provvedimenti della S.C., ex art. 391-bis c.p.c., ha ritenuto sufficiente l’indicazione del motivo del ricorso per revocazione, ma non necessaria la riproposizione dei motivi originariamente fatti valere. Secondo la ricorrente, non v’è ragione di non applicare tale principio anche in relazione alla revocazione di una sentenza d’appello (giudizio caratterizzato da un minor formalismo), dato che un ricorso per revocazione non può che essere finalizzato alla rivalutazione dell’originaria impugnazione.
2.1 — Il ricorso è fondato.
La sentenza della C.T.R., qui impugnata, incorre in un evidente equivoco. Essa, infatti, si basa su un precedente (Cass. n. 24203/2006: “In tema di revocazione delle sentenze emesse dalla Corte di Cassazione, è inammissibile il ricorso che contenga solo la domanda di revocazione della sentenza, ma non quella di decisione sull’originario ricorso attraverso la riproposizione degli argomenti in esso riportati, non essendo siffatto ricorso idoneo ad attivare la eventuale, successiva fase rescissoria“) specificamente reso sul tema della revocazione della sentenza della Corte di cassazione, ma già a suo tempo in contrasto con almeno due pronunce rese a Sez. Unite (Cass., Sez. Un., n. 17631/2003 e n. 24170/2004: “La domanda di revocazione della sentenza della Corte di cassazione per errore di fatto … deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione del motivo della revocazione, prescritta dall’art. 398, secondo comma, cod. proc. civ., e la esposizione dei fatti di causa rilevanti, richiesta dall’art. 366, numero 3, cod. proc. civ., e non anche la ripro posizione dei motivi dell’originario ricorso per cassazione“). Ad ogni modo, la citata pronuncia del 2006, all’origine del contrasto, non muove specificamente dal problema della natura della domanda di revocazione, bensì da quello del contenuto del ricorso per cassazione, attenendo dunque alla diversa e ben nota questione dell’autosufficienza del ricorso: non v’è dubbio, pertanto, che essa sia stata evocata impropriamente dalla C.T.R., che ne ha tratto conseguenze erronee sulla questione demandatale. Peraltro, la citata giurisprudenza delle Sezioni Unite può dirsi ormai consolidata, ed è stata anche di recente ribadita da Cass. n. 14126/2018, ove si è confermato (in linea, tra l’altro, con Cass., Sez. Un., n. 13863/2015) che nel ricorso per revocazione ex art. 391-bis c.p.c., pur non essendo necessario riproporre i motivi dell’originario ricorso per cassazione, non può mancare la sufficiente esposizione dei fatti rilevanti, ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 3, c.p.c., necessaria per comprendere integralmente il senso della proposta impugnazione.
Se così è, dunque – non senza evidenziare che, riguardo alla revocazione delle sentenze d’appello in generale, non constano precedenti specifici circa il contenuto dell’atto introduttivo -, ritiene la Corte debba necessariamente muoversi dal disposto dell’art. 65, comma 2, e dell’art. 67, comma 1, d.lgs. n. 546/1992: il primo prescrive che il ricorso deve tra l’altro indicare, a pena d’inammissibilità, “l’esposizione sommaria dei fatti, l’oggetto della domanda ed i motivi specifici dell’impugnazione” (ciò mediante il rinvio all’art. 53, comma 1), nonché il motivo della revocazione e le prove (ove si tratti di revocazione per motivi diversi dall’errore di fatto, questione ultima che qui non interessa), mentre il secondo testualmente stabilisce che “Ove ricorrano í motivi di cui all’art. 395 del codice di procedura civile la commissione tributaria decide il merito della causa e detta ogni altro provvedimento conseguenziale”.
Pertanto, a fronte di un chiaro dettato normativo che, in tema di revocazione, prevede da un lato specifiche cause di inammissibilità dell’impugnazione, e dall’altro delinea il binomio “rescindente-rescissorio” in termini di immediata conseguenzialítà logico-temporale (“Ove ricorrano i motivi … decide il merito della causa …”), risulta evidente che – avuto riguardo al processo tributario, ma con considerazioni certamente valevoli anche per il giudizio di cognizione ordinario, al lume del disposto degli artt. 398, comma 2, e 402, comma 1, c.p.c. – nella domanda con cui la parte chieda la revocazione della sentenza d’appello non possa che ricomprendersi anche la richiesta di pronuncia sul merito della controversia, quand’anche tale ultima non sia formulata in modo esplicito. Ciò ove anche si consideri che il giudice della revocazione ha certamente a disposizione (o, comunque, non può esimersi dall’acquisire) il relativo fascicolo d’ufficio, non potendo certo porsi per detto giudice il problema della libera accessibilità agli atti, come invece avviene nel giudizio di legittimità (questione che costituisce la scaturigine della giurisprudenza erroneamente evocata dalla C.T.R.).
Nel caso di specie, può anche aggiungersi che la ricorrente ha comunque dimostrato (come evincibile dalla lettura del ricorso in esame) di aver opportunamente “vestito” il ricorso in revocazione, come previsto dallo stesso art. 65, comma 2, d.lgs. n. 546/1992, riportandovi l’esposizione dei fatti, l’oggetto del contendere e i motivi d’appello originariamente proposti, sicché neppure può dirsi che la domanda così avanzata difettasse dei requisiti specificamente previsti dal combinato disposto degli artt. 65, comma 2, e 53, comma 1, d.lgs. n. 546/1992.
3.1 — In definitiva, il ricorso è accolto. La sentenza impugnata è dunque cassata in relazione, con rinvio alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, che si pronuncerà sulla spiegata impugnazione e provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il ricorso, cassa in relazione e rinvia alla C.T.R. del Lazio, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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