CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 agosto 2022, n. 24979
Pensione di inabilità civile – Assegno di invalidità – Riconoscimento – Presupposti – Redditi superiori ai limiti fissati per legge – Requisito sanitario
Fatti di causa
Con sentenza n. 1368 del 2016, la Corte d’appello di Lecce ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa sede, che aveva rigettato la domanda proposta da A.R.P. per ottenere il riconoscimento del diritto alla pensione di inabilità civile di cui alla L. n. 118 del 1971, art. 12 o, in subordine, all’assegno mensile previsto dal successivo art. 13.
La decisione della Corte territoriale si fonda sul rilievo che i redditi percepiti dal coniuge dell’invalida superavano i limiti fissati per legge e quindi doveva negarsi il diritto all’assegno, pur essendo la P. in possesso, per il periodo compreso tra il luglio 2012 (data di raggiungimento della soglia di invalidità del 74%) ed il 18.11.2012 (data di compimento del sessantacinquesimo anno di età), del requisito sanitario necessario per beneficiare dell’assegno di invalidità civile, come aveva dimostrato la consulenza tecnica d’ufficio espletata nel corso del giudizio d’appello.
Ad avviso della Corte d’appello, posta la necessità di accertare la contemporanea sussistenza anche del requisito reddituale, veniva in rilievo il disposto dell’art. 1, comma 35, I. n. 247/2007 che aveva equiparato tale requisito a quello necessario ad ottenere la pensione d’inabilità, con la conseguenza che doveva tenersi conto anche del reddito percepito dal coniuge dei richiedente, secondo quanto stabilito dall’art. 14 i. n. 33 dei 1980 e come aveva stabilito la sentenza della Corte di cassazione n. 7320 del 2013, mentre la successiva Cass. n. 2436 del 20:14 non aveva contraddetto tale affermazione, essendo riferita a fattispecie anteriore. Peraltro, neanche le successive Cass. n. 24361 del 2015 e n. 7698 del 2016, si erano espresse in senso contrario al principio sopra indicato.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso A.R.P., sulla base di un motivo.
L’Inps resiste con controricorso.
Ragioni della decisione
Con l’unico motivo di ricorso, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione della L. n. 118 del 1971, art. 13, nel testo modificato dalla L. n. 247 del 2007. In particolare, la ricorrente evidenzia che, contrariamente all’assunto fatto proprio dalla sentenza impugnata, la giurisprudenza prevalente di legittimità ha rimarcato la differenza tra pensione ed assegno di invalidità civile, quanto al reddito da prendere in considerazione, alla luce dell’art. 14 septies, comma 5, (Il. n. 663 dei 1979 conv. con modif. in i. n. 33 del 1980, che aveva elevato i limiti di reddito precedenti. Si era così riequilibrata la posizione degli invalidi civili a seguito dell’innalzamento dei limiti reddituali previsti per i soli inabili assoluti dalla legge n. 29 del 1977 (così Cass. n. 5003 del 2011 ed altre conformi). Ulteriore conferma di tale ricostruzione, era stata offerta dall’art. 12 della I. n. 412 de 1991 che aveva mantenuto la distinzione tra le due prestazioni.
Il motivo è fondato.
La questione oggetto del ricorso è stata esaminata in varie occasioni da questa Corte di legittimità (da ultimo Cass. n. 14415/2019; Cass. n. 4038 del 2021, Cass. n. 9562 del 2021) e si è consolidato il principio secondo cui, in tema di assegno di invalidità civile, ai fini della verifica della sussistenza del requisito reddituale previsto per il riconoscimento del beneficio, anche nel periodo successivo alla entrata in vigore della L. n. 247 del 2007, occorre fare riferimento al reddito personale dell’assistito, con esclusione del reddito percepito dagli altri componenti del nucleo familiare.
Nel dettare una nuova disciplina delle provvidenze a favore dei mutilati e invalidi civili, la L. 30 marzo 1971, n. 118 previde la concessione a carico dello Stato ed a cura del Ministero dell’Interno – di una pensione di inabilità, per i soggetti maggiori di 18 anni nei cui confronti fosse stata accertata una totale inabilità lavorativa (art. 12) e la corresponsione, per i periodi di incollocamento al lavoro, di un assegno mensile ai soggetti di età compresa fra il diciottesimo e il sessantaquattresimo anno, con capacità lavorativa ridotta in misura superiore a due terzi (art. 13).
Le condizioni economiche richieste dalla legge per l’assegnazione di entrambe le descritte prestazioni erano le medesime: invero l’art. 12, comma 2 fa riferimento a quelle stabilite dalla L. n. 153 del 1969 e, a sua volta, l’art. 13, comma 1 prevede che l’assegno mensile è concesso “con le stesse condizioni e modalità previste per l’assegnazione della pensione di cui all’articolo precedente”.
Pertanto, considerando quanto previsto dalla L. n. 153 del 1969, art. 26 (norma, quest’ultima che stabilisce le condizioni economiche richieste per la pensione sociale), l’invalido, per aver diritto alla pensione di inabilità come pure all’assegno mensile, non doveva essere “titolare di redditi, a qualsiasi titolo, di importo pari o superiore a Lire 156.000 annue” (così il testo originario dell’art. 26 Legge citata).
Successivamente il D.L. 2 marzo 1974, n. 30 (convertito nella L. 16 aprile 1974, n. 114) interviene per elevare l’importo annuo della pensione di inabilità e quello mensile dell’assegno (art. 7) ribadendo (art. 8) che le condizioni economiche per le provvidenze ai mutilati e invalidi civili – si tratti della pensione di inabilità ovvero dell’assegno mensile – “sono quelle previste nel precedente art. 3 per la concessione della pensione sociale” e, nel contempo, stabilendo (appunto nell’art. 3 dettato in parziale sostituzione; della L. n. 153 del 1969 cit., art. 26) che le condizioni economiche necessarie per la concessione della pensione sociale consistono nei possesso di redditi propri per un ammontare non superiore a Lire 336.050 annue, ovvero, in caso di soggetto coniugato, di un reddito, cumulato con quello del coniuge non superiore a Lire 1.320.000 annue.
Con il successivo intervento di cui alla L. 21 febbraio 1977 n. 29, art. unico (di conversione, con modificazioni, del D.L. n. 23 dicembre 1976, n. 850) i limiti di reddito di cui al D.L. n. 30 del 1974, art. 8 (che come già detto, richiama quelli previsti dall’art. 3 dello stesso Decreto Legge per la concessione della pensione sociale, a loro volta aumentati, per effetto della L. 3 giugno 1975 n. 160, art. 3 a Lire 1.560.000 per il reddito cumulato e a Lire 505.050 per il reddito personale) sono elevati a Lire 3.120.000 annui, ma esclusivamente per la pensione di inabilità: testuale è invero, il riferimento fatto dal legislatore “agli invalidi civili assoluti di cui alla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 12″ mentre nessuna menzione la norma contiene degli invalidi parziali di cui al successivo art. 13. Per questi ultimi devono quindi, per il momento, ritenersi ancora vigenti i limiti reddituali previsti dal ripetuto D.L. n. 30 del 1974, art. 3 come modificati dalla L. n. 160 del 1975, art. 3. E nel contempo, in difetto di una qualsiasi esplicita previsione in tal senso, o, quantomeno, di un sia pure implicito riferimento al D.L. n. 30 del 1974, art. 3 non vi è neppure spazio per una interpretazione del testo normativo che porti ad argomentarne l’intento del legislatore di modificare, per la pensione di inabilità, la disciplina previgente, adottando come parametro di verifica del superamento del limite reddituale il (solo) reddito personale dell’invalido assoluto, ancorché coniugato.
In definitiva, anche l’intervento legislativo in parola non incide sul principio di sistema, per cui il limite reddituale va determinato tenendosi conto del cumulo del reddito dei coniugi sia per la pensione che per l’assegno, mutando soltanto ed esclusivamente per la pensione di inabilità – l’importo massimo da considerare ai fini della verifica del superamento (o meno) del suddetto limite. Evidentemente resosi conto dei limiti di ragionevolezza di una scelta che portava d raddoppiare, per questa soia prestazione assistenziale, il limite di reddito da prendere a riferimento, il legislatore, nel convertire il D.L. n. 30 dicembre 1979, n. 663 con la L. 29 febbraio 1980, n. 33 ha aggiunto la disposizione dell’art. 14 septies (secondo cui: con decorrenza 1 luglio 1980 “il limite di reddito per il diritto all’assegno mensile in favore dei mutilati e degli invalidi civili, di cui alla L. 30 marzo 1971, n. 118, artt. 13 e 17 e successive modificazioni ed integrazioni, è fissato in lire 2.500.000 annui, calcolati agii effetti dell’IRPEF con esclusione dei reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte) con la quale, nel mentre vengono ancor più elevati i limiti di reddito di cui al il D.L. n. 30 del 1974, art. 8 (portati a Lire 5.200.000 annui rivalutabili annualmente) (comma 4), contestualmente (comma 5), si stabilisce che, per l’assegno mensile in favore dei mutilati e invalidi civili di cui alla L. n. 118 del 1971, artt. 13 e 17 (l’art. 17, poi abrogato dalla L. 21 novembre 1988, n. 508, art. 6 disciplinava l’assegno di accompagnamento per gli invalidi minori di 18 anni), il limite di reddito da considerare è fissato nell’importo di Lire 2.500.000 annue, anch’esso rivalutabile annualmente e “da calcolare con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte”.
E’ stato innanzitutto rilevato che l’intervento attuato dal legislatore con l’art. 14 septies, comma 5 cit., tendeva a riequilibrare le posizioni dei mutilati e invalidi civili, a seguito dell’innalzamento del limite reddituale previsto – ma esclusivamente per gli invalidi civili assoluti – dalla L. n. 29 del 1977.
Significativo di tale intento è che per l’attribuzione dell’assegno è, bensì, preso a riferimento il solo reddito individuale dell’assistito, ma l’importo da non superare per la pensione di inabilità (comma 4) corrisponde a più del doppio di quello stabilito per l’assegno (Lire 5.200.000 annue a fronte di Lire 2.500.000 annue). In questa prospettiva è stato ritenuto che l’art. 14 septies, comma 5 costituisse deroga all’orientamento generale della legislazione in tema di pensioni di invalidità e di pensione sociale, in base al quale il limite reddituale va determinato tenendosi conto del cumulo dei reddito dei coniugi (vedi Corte Cost. sent n. 769 dei 1988 e n. 75 del 1991; vedi anche Corte Cost. n. 454 del 1992, in tema di insorgenza dello stato di invalidità dopo compimento del 65 anno) e, di conseguenza, non esprimesse alcun principio generale con il quale dovrebbero essere coerenti disposizioni particolari.
Si è quindi ribadito che la formulazione letterale della norma che fa menzione del solo assegno – fino a quel momento equiparato alla pensione di inabilità quanto alla regola del cumulo con i redditi del coniuge – non può che far concludere nel senso che la prestazione prevista per gli invalidi civili assoluti sia rimasta assoggettata a questa regola.
Una conferma a livello sistematico della esistenza di una disciplina differenziata, quanto al requisito reddituale, per la pensione di inabilità e per l’assegno di assistenza, è stata ravvisata nella L. 30 dicembre 1991, n. 412, ari. 12 (da titolo “requisiti reddituali delle prestazioni ai minorati civili”) nella quale la distinzione tra le due prestazioni continua ad essere mantenuta, disponendo la norma che con effetto dal 1 gennaio 1992 ai fini dell’accertamento, da parte del Ministero dell’Interno della condizione reddituale per la concessione delle pensioni assistenziali agli invalidi civili si applica il limite di reddito individuale stabilito per la pensione sociale, con esclusione, tuttavia, degli invalidi totali.
Con riferimento alla sostituzione della L. n. 118 del 1971, art. 13 ad opera della L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 1, comma 35, è stato osservato che “si tratta, all’evidenza, di un intervento con il quale viene ripristinato il collegamento tra le due prestazioni assistenziali quanto alle “condizioni” richieste per la loro assegnazione. Ma il prendere a riferimento, a tal fine, le “condizioni” stabilite per l’assegnazione della “pensione di cui all’art. 12”, determinare cioè una equiparazione che si vuole modulata sulla disciplina propria della prestazione prevista per gli invalidi civili assoluti, è di per sé, indicativo del fatto che tale disciplina – anche per quanto riguarda le condizioni reddituali rilevanti – è diversa da quella nel frattempo dettata (con la L. n. 33 del 1980, art. 14 septies, comma 5) per l’assegno mensile – non avendo senso, invero, una simile formulazione normativa ove le condizioni reddituali richieste per la pensione di inabilità fossero le stesse previste per l’assegno e, dunque, si dovesse dar rilievo al solo reddito personale dell’invalido, ancorché coniugato, piuttosto che al reddito di entrambi i coniugi” (Cass. n. 5003 del 2011).
Tuttavia tale ultima affermazione va chiarita in quanto, la norma di cui alla L. 24 dicembre 2007, n. 247, art. 1, comma 35, contiene più che una unificazione delle “condizioni” previste per le due prestazioni assistenziali una mera riproduzione dell’originaria dizione dell’art. 13 e non ha inteso abrogare la disposizione speciale dettata per l’assegno di invalidità, con riferimento al limite reddituale per accedere alla prestazione, introdotta dall’art. l’art. 14 septies, comma 5 cit. Del resto che il Legislatore abbia sempre ritenuto che, anche dopo la L. n. 247 del 2007, art. 1, comma 35, per l’assegno di invalidità si dovesse far riferimento solo al reddito personale dell’invalido è chiaramente dimostrato dalla lettera del successivo intervento di cui al D.L. n. 28 giugno 2013, n. 76, conv. nella L. 9 agosto 2013, n. 99, che all’art. 10, comma 5 ha inserito dopo il D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 14-septies, comma 6 convertito, con modificazioni, dalla L. 29 febbraio 1980, n. 33, una ulteriore disposizione con la quale si specifica che “Il limite di reddito per il diritto alla pensione di inabilità in favore dei mutilati e degli invalidi civili, di (sui Alla L. 30 marzo 1971, n. 118, art. 12 è calcolato con riferimento al reddito agli effetti dell’IRPEF con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il soggetto interessato fa parte”. La disposizione si completa con il successivo comma 6 il quale stabilisce che “La disposizione del D.L. 30 dicembre 1979, n. 663, art. 14-septies, comma 7 convertito, con modificazioni, dalla L. 29 febbraio 1980, n. 33, introdotta dal comma 5, si applica anche alle domande di pensione di inabilità in relazione alle quali non sia intervenuto provvedimento definitivo e ai procedimenti giurisdizionali non conclusi con sentenza definitiva alla data di entrata in vigore della presente disposizione, limitatamente al riconoscimento del diritto a pensione a decorrere dalla medesima data, senza il pagamento di importi arretrati. Non si fa comunque luogo al recupero degli importi erogati prima della data di entrata in vigore della presente disposizione, laddove conformi con i criteri di cui ai comma 5.”.
Come chiarito in varie pronunzie di questa Corte (ord. n. 27812 del 2013, n. 28565 del 2013 cui ne sono succedute numerose altre), con tale previsione il legislatore ha inteso definire un nuovo regime reddituale senza, tuttavia, pregiudicare le posizioni di tutti quei soggetti che avendo presentato domanda nella vigenza della precedente normativa (da interpretarsi nei termini più sopra riportati) non avessero ancora visto la definizione in sede amministrativa del procedimento ovvero fossero parti di un procedimento giudiziario ancora sub iudice. Quasi a ribadire il suo carattere innovativo, poi, la norma precisa che il diritto alla pensione, sulla base dei nuovi requisiti stabiliti, decorrerà solo dalla data di entrata in vigore della nuova disposizione (28.6.2013) e soggiunge che non possono essere pagati importi arretrati sulle prestazioni riconosciute precisando quindi che, ove tale pagamento sia già intervenuto, le somme erogate non sono comunque recuperabili purché il loro riconoscimento sia intervenuto prima della data di entrata in vigore del nuovo requisito reddituale e risulti comunque rispettoso dello stesso. In sostanza, resta confermato anche alla luce del D.L. n. 76 del 2013 conv. in L. n. 99 del 2013 che per l’assegno di invalidità, anche nel periodo successivo alla entrata in vigore della L. n. 247 del 2007, occorre fa riferimento al reddito personale dell’assistito con esclusione del reddito percepito da altri componenti del nucleo familiare di cui il predetto fa parte.
Consegue, con riferimento al caso di specie, che il diritto al beneficio in controversia poteva essere riconosciuto previa verifica che i redditi personali della ricorrente non superassero la soglia di legge.
Dunque, la sentenza impugnata, che non si è attenuta a tale principio, va cassata e rinviata alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione affinché esamini la fattispecie mediante considerazione del reddito personale della ricorrente e provveda a regolare anche le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Lecce in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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