CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 aprile 2022, n. 12452
Prestazioni assistenziali – Pensione d’inabilità – Domanda – Spettanza – Riconoscimento prima del compimento del 65° anno di età
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 1°.4.2016, la Corte d’appello di Lecce, in parziale accoglimento dell’appello principale proposto da A.D., ha dichiarato il suo diritto a percepire l’indennità di accompagnamento con decorrenza dal 1°.9.2011 e, in accoglimento dell’appello incidentale proposto dall’INPS, ha riformato la sentenza di primo grado, rigettando la sua domanda volta a conseguire la pensione d’inabilità civile.
La Corte, in particolare, ha ritenuto che già dagli accertamenti peritali eseguiti in prime cure potesse ricavarsi un quadro patologico utile a guadagnare all’appellante principale la retrodatazione del diritto all’indennità di accompagnamento, riconosciuto dal primo giudice solo a far data dal 1° settembre 2012, e ha invece rigettato la domanda volta al riconoscimento della pensione d’inabilità (parimenti accordata, e con eguale decorrenza, dal primo giudice) sul rilievo che, a tale data, l’appellante principale aveva già compiuto il 65° anno di età. Avverso tali statuizioni, A.D. ha proposto ricorso per cassazione, deducendo due motivi di censura, successivamente illustrati con memoria. L’INPS ha resistito con controricorso. La causa è stata rimessa all’udienza pubblica a seguito d’infruttuosa trattazione camerale con ordinanza interlocutoria n. 21904/2017 della Sesta sezione civile di questa Corte, in relazione della complessità delle questioni devolute con il primo motivo. Il Pubblico ministero ha depositato conclusioni scritte con le quali ha chiesto l’accoglimento del secondo motivo, previa declaratoria d’inammissibilità e comunque infondatezza del primo. In vista dell’udienza, parte ricorrente ha depositato ulteriore memoria.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di censura, parte ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 348, comma 2°, e 334 c.p.c., per non avere la Corte di merito dichiarato l’improcedibilità dell’appello principale per mancata comparizione dell’appellante e la conseguente inefficacia dell’appello incidentale: a suo avviso, infatti, la sua mancata comparizione all’udienza, protrattasi anche dopo il rinvio disposto ai sensi dell’art. 348 comma 1° c.p.c., avrebbe dovuto dar luogo non già alla decisione nel merito di entrambi gli appelli, ma alla declaratoria d’improcedibilità del suo appello principale e alla conseguente caducazione d’efficacia dell’appello incidentale tardivo proposto dall’INPS, con conseguente passaggio in giudicato della sentenza di prime cure nella parte in cui aveva dichiarato il suo diritto a conseguire la pensione d’inabilità civile.
Con il secondo motivo il ricorrente lamenta falsa applicazione dell’art. 12, l. n. 118/1971, per non avere la Corte territoriale considerato che, avendo riconosciuto la spettanza dell’indennità di accompagnamento con decorrenza dal 1°.9.2011, epoca in cui egli non aveva ancora compiuto il 65° anno di età (siccome nato il 28.10.1946), doveva ritenersi implicitamente accertato che alla medesima data egli possedesse anche il requisito sanitario utile per la pensione di inabilità civile, prevedendo l’art. 1, l. n. 18/1980, che l’indennità medesima sia concessa agli invalidi civili totalmente inabili che si trovino altresì nella condizione di non poter deambulare senza l’aiuto permanente di un accompagnatore o comunque abbisognino di assistenza continua, non essendo in grado di attendere agli atti quotidiani della vita.
Ciò posto, il primo motivo è inammissibile.
Al riguardo, va premesso che la Sesta sezione civile di questa Corte, nel rimettere la presente controversia all’udienza pubblica, ha anzitutto ricordato che, per costante giurisprudenza di legittimità, qualora l’impugnazione principale venga dichiarata improcedibile, l’eventuale impugnazione incidentale tardiva diviene inefficace: e ciò non già per via di applicazione analogica dell’art. 334 comma 2° c.p.c., che è dettato per la diversa ipotesi dell’inammissibilità dell’impugnazione principale, bensì in virtù di un’interpretazione logico-sistematica dell’ordinamento, che conduce a ritenere irrazionale che un’impugnazione anomala, qual è l’impugnazione incidentale tardiva, possa trovare tutela in caso di sopravvenuta mancanza del presupposto in funzione del quale è stata riconosciuta la sua proponibilità (così, con riferimento al ricorso per cassazione, Cass. S.U. n. 9741 del 2008, cui hanno dato continuità, tra le più recenti, Cass. nn. 2381 del 2014, 19188 del 2018 e 14497 del 2020, nonché, con specifico riguardo al giudizio di appello, Cass. n. 30782 del 2019).
Ha nondimeno aggiunto la Sesta sezione che, in forza di un principio altrettanto consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, le previsioni dell’art. 348 c.p.c. sono dirette esclusivamente ad evitare che l’appello venga dichiarato improcedibile senza che l’appellante sia posto in grado di comparire all’udienza successiva a quella disertata, ma non attribuiscono all’appellante il diritto di impedire, non comparendo, la decisione del gravame nel merito o anche solo in rito, ancorché per motivi diversi da tale comportamento in sé considerato (così, specialmente, Cass. n. 2973 del 1996, cui ha dato seguito Cass. n. 7586 del 2007, cit. dall’ordinanza di rimessione); e ha aggiunto che la vicenda per cui è causa richiederebbe di essere esaminata sotto il profilo della sussistenza, da parte dell’odierno ricorrente, di un interesse a far valere un vizio attinente alla statuizione sull’impugnazione incidentale in conseguenza del rilievo d’improcedibilità della sua impugnazione principale, considerato che questa Corte ha talora escluso l’interesse dell’appellante incidentale a ricorrere per cassazione contro la declaratoria di inammissibilità dell’appello principale che abbia comportato la caducazione d’efficacia del suo appello incidentale tardivo (così Cass. n. 14558 del 2012).
Va anzitutto rilevato che non appare pertinente, rispetto alla decisione della presente fattispecie, il principio costantemente affermato da questa Corte secondo cui, allorché l’improcedibilità del gravame non sia stata rilevata e dichiarata, l’appellante difetta d’interesse a ricorrere per cassazione avverso la sentenza d’appello che abbia esaminato e deciso il merito, ancorché in senso a lui sfavorevole: tale principio, affatto consolidato almeno fin dalla risalente Cass. n. 574 del 1966, è stato infatti affermato in fattispecie in cui con il ricorso per cassazione si lamentava che il giudice del gravame, nonostante la mancata costituzione o comparizione dell’appellante alla prima udienza, aveva deciso la causa nel merito, invece di rinviare la causa dandone comunicazione all’appellante stesso, così come prescritto dall’art. 348 c.p.c., e non ha nulla a che fare con l’odierna fattispecie, in cui parte ricorrente non lamenta che la Corte non abbia rinviato la causa, invece di deciderla nel merito, ma si duole precisamente che non abbia dichiarato l’improcedibilità del suo appello, all’evidente scopo di caducare l’impugnazione incidentale proposta dall’INPS.
Nemmeno appare pertinente il riferimento al principio secondo cui non è configurabile un interesse dell’appellante incidentale a ricorrere per cassazione contro la declaratoria di inammissibilità dell’appello principale, che pure abbia comportato la declaratoria di inammissibilità dell’appello incidentale: indipendentemente dal fatto che si tratta di principio affatto contrastato nella giurisprudenza di questa Corte (alla sua affermazione da parte di Cass. n. 14558 del 2012, cit. nell’ordinanza di rimessione, ha fatto seguito il contrario avviso espresso da Cass. n. 12947 del 2015), si tratta di un principio che è stato formulato in relazione al carattere sicuramente eccezionale dell’impugnazione incidentale tardiva e nulla può dire nel caso di specie, in cui è viceversa l’appellante principale a dolersi della mancata declaratoria d’improcedibilità del suo appello.
Reputa piuttosto il Collegio che la soluzione della questione prospettata – che, in estrema sintesi, concerne la possibilità per l’appellante principale di dolersi della mancata declaratoria d’improcedibilità del suo appello e della conseguente caducazione d’efficacia dell’appello incidentale, quando da tale omissione sia conseguito non solo l’accoglimento parziale del suo appello, ma altresì l’accoglimento dell’appello incidentale a lui sfavorevole – debba muovere da una considerazione di carattere preliminare e necessariamente generale.
Presupposto essenziale dell’impugnazione è la soccombenza: ossia la presenza, nel provvedimento impugnato, di statuizioni sfavorevoli alla parte che intende impugnarlo. Se il provvedimento contiene statuizioni favorevoli e statuizioni sfavorevoli, la soccombenza si determina esclusivamente in riferimento a quelle sfavorevoli, non potendo logicamente ammettersi l’impugnazione di statuizioni dalle quali la parte non ricavi pregiudizio: e proprio per ciò, è consolidato nella giurisprudenza di questa Corte il principio secondo cui l’impugnazione non tutela l’interesse all’astratta regolarità dell’attività giudiziaria, ma garantisce solo l’eliminazione del pregiudizio subito dal diritto di difesa della parte in conseguenza della violazione denunciata (così, da ult., Cass. n. 26419 del 2020).
Ciò premesso, appare decisivo rilevare che, nella specie, la mancata declaratoria d’improcedibilità, che parte ricorrente rimprovera alla sentenza impugnata, non ha determinato soltanto l’accoglimento dell’appello incidentale tardivo dell’INPS, ma altresì il parziale accoglimento dell’appello principale proposto dall’odierno ricorrente, con la declaratoria del suo diritto all’indennità di accompagnamento a far data dal 1°.9.2011. E così come s’è chiarito che la parte che utilizzi un mezzo d’impugnazione inammissibile, senza che il giudice lo rilevi, limitandosi invece a rigettarlo, non può successivamente dolersi della mancata declaratoria d’inammissibilità, difettando, sullo specifico punto dell’ammissibilità del mezzo, il requisito della soccombenza (cfr., in termini, Cass. n. 10139 del 2016), allo stesso modo deve affermarsi che la parte, che col proprio comportamento omissivo abbia dato causa all’improcedibilità dell’impugnazione, non può dolersi, nel caso in cui l’improcedibilità non sia stata dichiarata e la sua impugnazione sia stata parzialmente accolta, della mancata dichiarazione d’improcedibilità, nemmeno al fine di provocare la caducazione d’efficacia dell’impugnazione incidentale tardiva: tale dichiarazione implicherebbe infatti la caducazione anche delle statuizioni della sentenza ad essa favorevoli, rispetto alle quali difetta il presupposto della soccombenza.
Si può peraltro aggiungere che ulteriori considerazioni di tipo sistematico ostano in via generale all’ammissibilità di un gravame con il quale la parte pretenda di dolersi della mancata declaratoria d’improcedibilità del proprio appello principale cui abbia fatto seguito l’accoglimento dell’appello incidentale della controparte.
A partire da Cass. S.U. n. 4640 del 1989, questa Corte ha infatti consolidato il principio secondo cui l’art. 334 c.p.c., che consente alla parte contro cui è stata proposta impugnazione (o che è chiamata ad integrare il contraddittorio a norma dell’art. 331 c.p.c.) di esperire impugnazione incidentale tardiva, senza subire le conseguenze dello spirare del termine ordinario o della propria acquiescenza, è rivolto a rendere possibile l’accettazione della sentenza, in situazione di reciproca soccombenza, solo quando anche l’avversario tenga analogo comportamento, e proprio per ciò, in difetto di limitazioni oggettive, deve trovare applicazione con riguardo a qualsiasi capo della sentenza medesima, ancorché autonomo rispetto a quello investito dall’impugnazione principale (tra le numerose successive conformi si vedano Cass. S.U. nn. 652 del 1998 e 10977 del 2001).
Se dunque la ratio dell’impugnazione incidentale tardiva consiste nel dissuadere dall’impugnazione la parte parzialmente vittoriosa nell’ipotesi di soccombenza reciproca (di funzione “transattivo-ritorsiva” ha figuratamente parlato Cass. n. 14596 del 2020, nel ribadire che essa intende indurre la parte parzialmente vittoriosa a rinunciare all’impugnazione per non correre il rischio che l’appellato, attraverso l’impugnazione tardiva, possa rimettere in discussione anche le parti della sentenza favorevoli all’appellante principale), non può logicamente ammettersi che l’impugnante principale possa successivamente dolersi della mancata declaratoria d’improcedibilità cui sia seguito l’accoglimento dell’impugnazione incidentale tardiva: affermare il contrario, infatti, equivarrebbe a rendere l’impugnante principale arbitro, con il suo comportamento, della sorte non solo della sua impugnazione, ma altresì dell’impugnazione incidentale, realizzando così un effetto la cui ragionevolezza è stata esclusa dalle Sezioni Unite di questa Corte allorché hanno escluso che la rinuncia all’impugnazione principale possa comportare la caducazione d’efficacia dell’impugnazione incidentale (cfr. Cass. S.U. n. 8925 del 2011).
Vero è che, diversamente dall’inammissibilità, anche la sanzione dell’improcedibilità si ricollega ad un comportamento (omissivo) della parte impugnante, che – qualora l’improcedibilità venga effettivamente dichiarata – può nei fatti consentirle di conseguire un obiettivo analogo a quello che le Sezioni Unite di questa Corte hanno escluso che possa ricollegarsi alla rinuncia all’impugnazione: sotto questo profilo, anzi, potrebbe perfino apparire dubbia l’assimilazione operata da Cass. S.U. n. 9741 del 2008, cit., tra inammissibilità e improcedibilità ai fini della caducazione dell’impugnazione incidentale tardiva. Ma non è meno vero che mentre inammissibilità e improcedibilità sono conseguenze processuali che non appaiono direttamente riferibili alla volontà della parte, non essendo riconducibili all’espressione di un suo diritto potestativo (così Cass. S.U. n. 8925 del 2011, cit., in motivazione), altrettanto non può dirsi dell’impugnazione, che – esattamente come la rinuncia – è invece propriamente espressione di un diritto potestativo della parte (così, fra le numerose, Cass. nn. 18932 del 2016, 9244 del 2007, 379 del 2005, 10401 del 2001); e se così è, appare evidente che, consentendo all’appellante principale di dolersi della mancata declaratoria dell’improcedibilità del suo gravame, cui sia seguito l’accoglimento dell’impugnazione incidentale a sé sfavorevole, verrebbe meno quella funzione deterrente che l’impugnazione incidentale incontestabilmente svolge nei confronti della parte che intenda proporre l’impugnazione principale; e l’eliminazione di tale rischio finirebbe per determinare, anche in questo caso, quell’ingiustificato squilibrio fra la posizione delle parti in causa che ha indotto le Sezioni Unite di questa Corte a escludere, come più volte ricordato, che la rinuncia all’impugnazione principale possa caducare l’efficacia dell’impugnazione incidentale.
È invece fondato il secondo motivo.
Come ricordato in precedenza, la sentenza impugnata, in accoglimento dell’appello principale, ha riconosciuto il diritto dell’odierno ricorrente all’indennità di accompagnamento con decorrenza dal 1°.9.2011, ossia da prima che egli compisse il 65° anno di età, così implicitamente accertando che, a tale data, egli era totalmente inabile: e appare dunque inevitabilmente errata la statuizione con cui, in accoglimento dell’appello incidentale dell’INPS, gli ha negato il diritto alla pensione d’inabilità civile sul presupposto che lo stato d’invalidità si fosse perfezionato con decorrenza successiva al compimento dei sessantacinque anni, dal momento che, a tale data, egli, essendo nato il 28.10.1946, non aveva ancora compiuto il 65° anno di età e, a norma dell’art. 1, l. n. 18/1980 e succ. mod. e integraz., il presupposto per il riconoscimento dell’indennità di accompagnamento in favore degli infrasessantacinquenni è precisamente costituito dalla totale inabilità per affezioni fisiche o psichiche di cui agli artt. 2 e 12, l. n. 118/1971.
Pertanto, in accoglimento del secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata e la causa rinviata per nuovo esame alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiarato inammissibile il primo. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia la causa alla Corte d’appello di Lecce, in diversa composizione, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.
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