CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 giugno 2019, n. 16421
Licenziamento – Addebiti disciplinari – Manomissione della contabilità aziendale – Mancata presentazione delle giustificazioni da parte del lavoratore
Fatti di causa
1. La Corte d’appello di Bari, con sentenza del 17.10.2017, respingeva il gravame proposto da C. V. avverso la decisione del Tribunale della stessa città che aveva rigettato l’impugnativa di licenziamento del predetto, intimato il 28.5.2002, nei confronti della Banca di Credito Cooperativo degli U., Terra di Bari.
2. Gli addebiti disciplinari si compendiavano nelle contestazioni concernenti a) l’omessa segnalazione su di un conto di corrispondenza R. Bank, di una insussistenza di credito (della Banca) per complessive originarie lire 1.199.902.000, rinveniente su di un conto ICCREA; b) l’errata iscrizione in bilancio, per originarie lire 10 milioni, di un titolo “Lehman Brothers”, il cui corretto valore avrebbe dovuto tener conto dell’esercitata put – option; c) lo svincolo di titoli (valore nominale 102714,60 euro) costituiti in pegno a garanzia di un affidamento a revoca concesso al cliente D. N. A., pari a lire 160 milioni, in assenza di delibera consiliare e della necessaria autorizzazione delle Segreteria Crediti; d) l’attività di raccolta di ordini, pur in assenza di formale disposizione della clientela; e) la manomissione della contabilità aziendale, ottenuta con artificiose e non autorizzate imputazioni contabili a danno del conto economico della Banca, rispettivamente per lire 300 milioni ed euro 77.468,00, somme poste a credito del c/c intestato a G. D. e B. di S., con causale “vendita titoli”. Gli addebiti disciplinari avevano trovato riscontro, secondo il Tribunale, nella prova testimoniale e giustificavano il recesso datoriale dal rapporto.
3. La Corte territoriale riteneva destituiti di fondamento i motivi di gravame e, premesso che il lavoratore non aveva presentato le proprie giustificazioni, né aveva richiesto di essere sentito a difesa, correttamente rilevata la natura ontologicamente disciplinare del licenziamento, osservava che non era stata dedotta, né provata, una qualche forma di incapacità naturale del C., che avesse menomato gravemente le sue facoltà volitive ed intellettive, così da impedire la formazione di una sua cosciente volontà con vizi della procedura di legge, e che lo stato di malattia non precludeva in alcun modo l’effetto immediato del recesso intimato per causa che non consentisse la prosecuzione, nemmeno provvisoria, del rapporto di lavoro.
4. La Corte rilevava che le ispezioni che avevano evidenziato responsabilità degli organi gestori della Banca non escludevano il livello gestorio riferibile alla posizione del responsabile dell’area Finanza, e dunque dell’appellante, né intaccavano la concludenza dimostrativa della prova orale assunta in primo grado, la quale aveva dimostrato come la falsa evidenziazione di poste creditorie nel bilancio di esercizio relativo all’anno 1997 aveva a sua volta determinato un maggior utile di esercizio e, a cascata, maggiori imposte per oltre lire 300 milioni, errore riconducibile all’operato del C., che l’avrebbe dovuto evitare attraverso il corretto esame degli estratti conto.
5. Anche per l’addebito sub b) era emerso che la Banca aveva esercitato il previsto diritto di opzione con un guadagno di almeno lire 1.200.000 annue che, però, non era stato contabilizzato, così che il titolo era stato valorizzato in contabilità al suo valore nominale; le ulteriori contestazioni addebitate avevano ugualmente trovato conforto nelle testimonianze (arbitrario svincolo di titoli, con irrilevanza della circostanza che alla Banca non fosse derivato alcun danno), senza che il dipendente avesse fornito valide giustificazioni alla alterazione della contabilità aziendale. Doveva aversi riguardo alla posizione del dipendente ed a tutte le circostanze quali il grado di affidabilità richiesto dalle specifiche mansioni del predetto, l’intensità dell’elemento intenzionale, a prescindere dalla sussistenza di un danno effettivo, circostanze che deponevano tutte per la idoneità lesiva del vincolo fiduciario da parte delle condotte ascritte al C..
6. Di tale decisione domanda la cassazione il C., affidando l’impugnazione a quattro motivi, cui resiste, con controricorso, la Banca.
7. Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Va, preliminarmente, disattesa l’eccezione di tardività del ricorso da proporsi nel termine breve decorrente dalla notifica della sentenza impugnata, dovendo aversi riguardo ai principi espressi da Cass. 19.9.2017 n. 21597, 5.10.2018 n. 24568, alla cui stregua “la notifica della sentenza effettuata alla controparte a mezzo PEC (ex art. 3 bis della l. n. 53 del 1994 nel testo, applicabile ratione temporis, modificato dall’art. 16 quater, comma 1, lett. d), del d.l. n. 179 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 228 del 2012) è idonea a far decorrere il termine breve d’impugnazione nei confronti del destinatario ove il notificante provi di aver allegato e prodotto la copia cartacea del messaggio di trasmissione a mezzo posta elettronica certificata, le ricevute di avvenuta consegna e accettazione e la relata di notificazione, sottoscritta digitalmente dal difensore, nonché la copia conforme della sentenza che, trattandosi di atto da notificare non consistente in documento informatico, sia stata effettuata mediante estrazione di copia informatica dell’atto formato su supporto analogico e attestazione di conformità ex art. 16 undecies del citato d.l. n. 179 del 2012.”
1.2. Nella specie la regolarità della notifica era stata, tuttavia, contestata dal difensore del C. con nota p.e.c. 31.10.2017 quanto alla regolarità della copia conforme della sentenza, asseritamente viziata quanto ad estrazione della copia informatica su supporto analogico. La BCCC degli U. Terra di Bari aveva proceduto alla seconda notifica – munita di attestazione di conformità della copia informatica dell’atto su supporto analogico, riguardante il file relativo alla sentenza 2256/2017 – in data 3.11.2017, come da relata di notifica a mezzo ufficiale giudiziario con consegna a mani di incaricato alla ricezione (cfr. al riguardo Cass. 28.11.2017 n. 28339, secondo cui, a fronte della documentazione depositata ex adverso attestante la notifica della sentenza impugnata a mezzo pec, rileva il comportamento del ricorrente che sollevi o meno contestazioni sulla regolarità della stessa).
1. 3. Alla stregua dei principi enunciati, tenuto conto dell’indicazione (nel corpo della relata, ma anche nel corpo del testo attestato) del fatto che l’atto giudiziale era originariamente a firma digitale e della contestazione mossa dal ricorrente anche in ordine alla mancanza di firma digitale del Presidente e del giudice relatore, oltre che di ulteriori dati della sentenza, deve ritenersi tempestiva la impugnazione effettuata nei termini di legge decorrenti dalla seconda notificazione del 3.11.2017;
2. Con il primo motivo, il C. denunzia nullità della sentenza per vizio di motivazione, ex art. 360, n. 5, c.p.c., sotto il profilo dell’omesso esame circa un fatto controverso e decisivo, risultante dalle due lettere di riscontro 3.05 – 22.5.2002, in relazione all’art. 2697 c.c., osservando che il fatto decisivo era rappresentato dalla formale richiesta, avanzata dal ricorrente, di essere sentito per fornire le giustificazioni (nota C. del 3.5.2002, in cui si richiedeva che documentate giustificazioni potessero essere offerte nel momento in cui fisicamente lo stesso potesse muoversi fisicamente e tornare al posto di lavoro e predisporre le richieste giustificazioni nei termini contenutistici adeguati, e nota C. del 22.5.2002, in cui si ribadiva che lo stato di inabilità non gli consentiva di tornare in servizio ed anche di formulare adeguate giustificazioni, ribadendo che, all’atto della riammissione in servizio certificata dalle competenti autorità sanitarie, sarebbe stato disponibile a fornire le più ampie giustificazioni).
2.1. Il ricorrente osserva che la Banca aveva liquidato l’indennità di euro 20.777,97 per inabilità temporanea assoluta certificata come continuativa dal 28.3 al 16.9.2002 che sorreggeva il contenuto delle missive. Ritiene che non ricorrano le ragioni di limitazione di una doppia conforme ai sensi dell’art. 348 ter, 5° co., c.p.c., per essere stata la pronuncia della Corte fondata su diverse argomentazioni in diritto.
3. Con il secondo motivo, il C. deduce la nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione dell’art. 7, co. 2, 3, 5, l. 300/70, in relazione all’art. 2119 c. c., ai sensi dell’art 360, n. 3, c.p.c., sostenendo che la giurisprudenza richiamata dalla Corte d’appello a sostegno della rilevazione della mancanza di ogni incapacità naturale era riferita all’ipotesi di dimissioni (Cass. 2500/17, 1070/2016, 17977/2011, 7292/2008 etc.) e che la Corte abbia mancato di distinguere le ipotesi previste dalla giurisprudenza di legittimità, per la quale rileva l’esistenza di uno stato di incapacità naturale che si collochi, come nella specie, in un momento antecedente all’invio delle contestazioni da parte del datore di lavoro, che comporta la necessaria posticipazione dei termini per il recesso, risultando quindi violata la norma in caso di irrogazione del provvedimento disciplinare prima di tale momento, in violazione della garanzia procedimentale prevista dall’art. 7 l. 300/70. Sostiene che la malattia che aveva determinato inabilità temporanea assoluta fino al 16.9.2002 era precedente all’intimazione del licenziamento e che da ciò derivava l’assoluta illegittimità del licenziamento in tronco irrogato dalla Banca in data 28.5.2002, in tal modo negandosi la posticipazione del termine previsto dalla legge per rendere le giustificazioni ed essere sentito oralmente. Rileva come al 30.4.2002 risalgano le contestazioni della società e che la prima nota del 2. 5. 2002 faccia riferimento alla richiesta che documentate giustificazioni possano essere offerte nel momento in cui il lavoratore avrebbe potuto muoversi fisicamente.
4. Con il terzo motivo, il C. denunzia la nullità della sentenza per violazione/falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., in relazione all’art. 2119 c.c., ai sensi dell’art. 360, n. 3, c.p.c., con riferimento alle prove legali della relazione della Banca d’Italia (nota 51712 del 12.3.2003) e della sentenza della Corte di appello di Bari n. 2257/2017 sez lav. R.G. 1896/2013, sostenendo che la Corte del merito abbia disatteso la prova legale della relazione della Banca d’Italia ritenendo erroneamente l’area coperta dagli addebiti disciplinari contestati dalla BBC al C. come diversa e più circoscritta rispetto a quella dei rilievi mossi dalla Banca d’Italia nei confronti degli organi societari di gestione e di controllo, distinguendola da quella del C.. Osserva che, in particolare, i rilievi contestati alla BCC dalla Banca d’Italia erano relativi a carenze nell’organizzazione e nei controlli interni da parte del c.d.a., tra l’altro anche omettendo di presidiare l’area finanza con l’istituzione di idonei strumenti di monitoraggio, a carenza di controlli interni da parte del collegio sindacale, a carenza di controlli interni da parte dell’ex direttore (che avevano determinato anche la mancata indicazione di rilevanti minusvalenze su titoli) con riferimento all’operatività in titoli non consentita da parte di componenti del c.d.a. e del collegio sindacale.
4.1. Assume che la Banca d’Italia solo con riguardo al quinto rilievo menzioni il C., ma indicandone il comportamento come conseguenza dell’omessa definizione del quadro regolamentare dell’area finanza, ricollegabile, dunque, direttamente alla responsabilità degli organi sociali, e richiamando un coinvolgimento del ricorrente con esclusione, però, della sua diretta responsabilità, con riferimento sia all’acquisto del titolo Lehman Brothers, sia con riguardo alla ristrutturazione attesa. Da ciò, secondo la difesa del ricorrente, deriverebbe la prova dell’esclusione della responsabilità disciplinare del C., con conseguente illegittimità del suo licenziamento.
4.2. Sostiene, ulteriormente, che si sia stata totalmente disattesa la prova legale della sentenza 2257/2017 della Corte d’appello di Bari, indicata nella rubrica del motivo con richiamo al doc. n. 5 dell’indice ed asseritamente richiamata nell’atto di gravame.
5. Con il quarto motivo, il ricorrente deduce nullità della sentenza per violazione/falsa applicazione dell’art. 1304, 1° co., c.c. in relazione all’art. 116 c.p.c., sotto il profilo del valore di prova legale dell’atto di transazione del 25.10.2006 registrato a Bari il 3.11.2006 al n. 12617, rilevando che la facoltà del consorte di avvalersi della transazione stipulata inter alios ha natura di diritto potestativo e che la sottoscrizione di separata scrittura da parte del C., di adesione alla transazione intervenuta tra BBC ed ex amministratori e sindaci, aveva determinato, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte d’appello, la consequenziale estensione degli effetti di estinzione dell’intero debito anche nei confronti di esso dipendente.
6. Con riguardo al primo motivo, vale osservare che, in tema di sanzioni disciplinari, non è necessario che la contestazione dell’addebito contenga un termine al lavoratore per esporre le proprie difese o la fissazione di un’audizione a difesa, in quanto il disposto di cui all’art. 7 comma 2 , l. n. 300/70 (secondo il quale il datore di lavoro non può adottare alcun provvedimento disciplinare nei confronti del lavoratore senza averlo sentito a sua difesa) va interpretato nel senso che, solo ove il dipendente lo richieda espressamente, il datore di lavoro è tenuto a sentirlo oralmente, salva in ogni caso la facoltà del lavoratore di inoltrare per iscritto le proprie difese (cfr. Cass. 7.1.1998, n. 67). A tal fine, tuttavia, ove il lavoratore intenda avvalersi di tale facoltà, è stato affermato da questa Corte che l’art. 7, comma quinto, della legge n. 300 del 1970 (per il quale i provvedimenti disciplinari più gravi del rimprovero verbale non possono essere applicati prima che siano trascorsi cinque giorni dalla contestazione per iscritto del fatto che vi ha dato causa) individua il termine entro il quale le eventuali controdeduzioni del lavoratore devono pervenire al datore di lavoro, termine che non può ritenersi rispettato quando, pur avendo il lavoratore predisposto le proprie difese prima del suo decorso, la ricezione dell’atto avvenga in data successiva (cfr, in tali termini, Cass. 19.11.1996 n. 10106).
6.1. Tanto premesso, nel caso esaminato è stato ritenuto che il ricorrente non abbia formulato una richiesta di audizione in termini univoci (cfr. Cass. 18.4.2018 n. 9596, con richiamo a Cass. n. 5864/2010, Cass. 1661 del 2008, Cass. 7848 del 2006, e Cass. 204 del 2017, nonché Cass. 16374 del 2012, sulla necessità che la richiesta non debba essere ambigua o priva di univocità, ma espressa ed inequivocabile). In ogni caso ed in maniera dirimente, l’apprezzamento del giudice del merito compiuto con riguardo alle note inviate dal C. ha condotto al rilievo che alcuna univoca richiesta di audizione era stata avanzata ed in tale operazione ermeneutica i giudici d’appello si sono attenuti al principio generale che impone l’interpretazione letterale degli atti unilaterali recettizi, interpretazione non fatta oggetto di specifica censura con richiamo alla violazione dei principi di cui agli artt. 1362 e ss. c.c.
6.2. In ordine al rilievo formulato con riguardo al vizio motivazionale ed alla sua deducibilità per mancanza di operatività del principio della “doppia conforme”, prevista dall’art. 348-ter, comma 5, c.p.c. (applicabile, ai sensi dell’art. 54, comma 2, del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, ai giudizi d’appello richiesta la notificazione dal giorno 11 settembre 2012), va evidenziato che il ricorrente in cassazione – per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’art. 360, n. 5, c.p.c. (nel testo riformulato dall’art. 54, comma 3, del d.l. n. 83 cit. ed applicabile alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012) – deve indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (cfr. Cass. 22.12.2016 n. 26774). Non risulta che tale prescrizione sia stata osservata nella specie.
7. Quanto al secondo motivo, è sufficiente osservare che la ratio deciderteli si fonda sulla inesistenza di un stato di incapacità naturale identificabile con uno stato di incapacità di intendere e volere che, pur se solo transitorio e parziale e non tale da annullare in modo assoluto le facoltà psichiche del soggetto, sia comunque idoneo a menomare gravemente, anche senza escluderle, facoltà volitive ed intellettive e così ad impedire la formazione di una volontà cosciente. Vero è che la giurisprudenza richiamata si riferisce alle dimissioni ovvero ad atto compiuto in stato di circonvenzione di incapace, ma il principio è trasponibile all’ipotesi in esame, tanto più che la questione si incentra sulla mancata dimostrazione dello stato di incapacità che avrebbe asseritamente precluso addirittura di fornire giustificazioni scritte.
7.1. Né giova il richiamo a Cass. 23510/2017 (secondo cui “ai sensi dell’art. 7 St. Lav., in caso di irrogazione di licenziamento disciplinare e salvo che la richiesta del lavoratore di differimento dell’audizione sia giustificata da una possibilità di presenziare meramente disagevole o sgradita, sussiste l’obbligo per il datore di lavoro di accogliere la predetta richiesta se essa risponda ad un’esigenza difensiva non altrimenti tutelabile, avendo il lavoratore diritto, qualora ne abbia fatto istanza, ad essere sentito oralmente dal datore, così intendendo il primo esercitare il proprio diritto di difesa e il secondo avendone l’obbligo correlativo”), in quanto le note inviate dal lavoratore non sono state intese come richiesta di differimento dell’audizione e tanto è sufficiente per disattendere la censura nei termini in cui risulta proposta. Si chiede, invero, come sopra precisato, soltanto una rivalutazione dell’accertamento già esaustivamente compiuto dal giudice del merito ed al riguardo il giudice d’appello evidenzia come il lavoratore non aveva censurato l’affermazione del primo giudice che l’audizione e riproposto “il tenore di parte delle missive, alla cui stregua (solo) può desumersi che il lavoratore subordinava e rinviava l’esercizio del diritto di difesa al suo (previo) rientro in servizio” (cfr., in tali termini, la sentenza impugnata, pag. 4).
8. Le contestazioni mosse alla sentenza con il terzo motivo tendono ad una diversa valutazione della relazione dell’indagine ispettiva, il cui contenuto è stato ritenuto dal giudice del gravame come riferito a responsabilità degli organi gestori della Banca che non escludono la sussistenza dei fatti riferiti al più basso livello gestorio della posizione del responsabile dell’Area Finanza, rispetto alla quale gli organi preposti al controllo avevano omesso di vigilare. Non si tratta di violazione dell’art. 116 c.p.c., in quanto una questione di malgoverno di tale norma può porsi solo allorché il ricorrente alleghi che il giudice di merito abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova che invece siano soggetti a valutazione (Cass., Sez. U, n. 11892/2016 cit.; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965). Nessuna di tali situazioni è rappresentata nei motivi anzi detti e, pertanto, le relative doglianze sono mal poste. Nella specie, la violazione delle norme denunciate è tratta, in maniera incongrua e apodittica, dal mero confronto con le conclusioni cui è pervenuto il giudice di merito, di tal che la stessa – ad onta dei richiami normativi in essi contenuti – si risolve nel sollecitare una generale rivisitazione del materiale di causa e nel chiederne un nuovo apprezzamento nel merito, operazione non consentita in sede di legittimità neppure sotto forma di denuncia di vizio di motivazione.
Peraltro, nella sentenza impugnata si fa riferimento alla esistenza anche di una questione di inammissibilità della prova documentale, rispetto alla quale il ricorrente nulla oppone.
8.1. Quanto alla censura riferita alla mancata considerazione della prova legale costituita dalla sentenza della Corte d’appello n. 2257/2017, non si trascrive il passaggio dell’atto di appello ove si sarebbe posto richiamo a tale pronuncia, onere che andava assolto in ragione della mancanza di ogni riferimento, nella sentenza impugnata, all’invocato precedente. Le condotte ascritte sono, poi, valutate sulla base dei risultati della prova per testi e sul punto la ricorrente si limita a sostenerne la genericità del vaglio operato dal giudice del gravame.
9. In ordine al quarto motivo, il richiamo al principio sancito dal primo comma dell’art. 1304, co. 1, c.c., secondo cui “la transazione fatta dal creditore con uno dei debitori in solido non produce effetto nei confronti degli altri, se questi non dichiarano di volerne profittare” non appare decisivo ai fini voluti. A prescindere dal rilievo che il C. era stato chiamato in garanzia dagli amministratori e che anche dal punto di vista dell’inquadramento giuridico la sua posizione non è quella delineata nel motivo di ricorso, la transazione è stata valutata ed interpretata nel senso che la stessa non era riferibile anche all’eventuale responsabilità disciplinare del personale della Banca. E l’accertamento, da parte del giudice di merito, della portata ed estensione di un atto transattivo non è censurabile in sede di legittimità se sorretto da motivazione congrua e scevra da vizi logico – giuridici. Tale proposizione, del resto, costituisce l’ineludibile corollario della natura di apprezzamento interpretativo della comune intenzione dei contraenti che è, a tale stregua, rimesso al giudice del merito: l’interpretazione di un contratto e, più in generale, di un atto di autonomia privata non è sindacabile in sede di legittimità se sorretta da motivazione congrua ed adeguata e se condotta in conformità alla regole ermeneutiche di legge (cfr., tra le altre, Cass. 4.10.2007 n. 20708, Cass. 26 gennaio 2002, n. 975; Id. 3 dicembre 2001, n. 15274; Id. 29 marzo 2001, n. 4667).
9.1. Va ulteriormente richiamato il principio, affermato da questa Corte, in forza del quale, qualora, rispetto ad un medesimo rapporto, siano sorte o possano sorgere tra le parti più liti, in relazione a numerose questioni tra loro controverse, l’avere dichiarato, nello stipulare una transazione, di non aver più nulla a pretendere in dipendenza del rapporto, non implica necessariamente che la transazione investa tutte le controversie potenziali o attuali, dal momento che a norma dell’art. 1364 c.c. le espressioni usate nel contratto per quanto generali, riguardano soltanto gli oggetti sui quali le parti si sono proposte di statuire. Ne consegue che, se il negozio transattivo concerne soltanto alcuna delle stesse, esso non si estende, malgrado l’ampiezza dell’espressione adoperata, a quelle rimaste estranee all’accordo, il cui oggetto va determinato attraverso una valutazione di tutti gli elementi di fatto, con apprezzamento che sfugge al controllo di legittimità qualora sorretto da congrua motivazione (cfr., da ultimo, Cass. 18.5.2018 n. 12367).
9.2. Alla interpretazione deiratto di transazione non si oppongono specifiche censure riferite all’erronea applicazione dei criteri ermeneutici validi in tema di interpretazione della portata dell’atto, essendo a tali fini peraltro necessario non solo l’astratto riferimento alle regole legali di interpretazione previste dal codice civile che si assumono violate (non indicate nella specie), ma anche la specificazione dei criteri in concreto non osservati dal giudice di merito e, soprattutto, il modo in cui questi si sia da essi discostato, non essendo sufficiente una semplice critica della decisione sfavorevole.
10. In conclusione, il ricorso va respinto.
11. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del C. e di liquidano come da dispositivo.
12. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi, euro 5000,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge, nonché al rimborso delle spese forfetarie in misura del 15%.
Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dell’art. 13, comma l bis, del citato D.P.R.
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