CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 novembre 2018, n. 29765
Licenziamento per giustificato motivo oggettivo – Effettiva ricorrenza di serie e documentate ragioni organizzative – Soppressione della posizione del lavoratore
Fatto
Con sentenza del 3 giugno 2016, la Corte d’appello di Brescia rigettava l’appello proposto da M.O.L. avverso la sentenza di primo grado, che ne aveva respinto le domande di accertamento dell’illegittimità del licenziamento intimatogli il 9 febbraio 2012 per giustificato motivo oggettivo dalla datrice C. Costruzioni s.p.a. e di conseguenti condanne reintegratoria e risarcitoria, nonché al pagamento di differenze retributive a titoli vari (permessi non goduti, indennità speciale stabilita dal CCNL, indennità per trasferte, differenze relative ai mesi da novembre 2011 a gennaio 2012, retribuzione del mese di febbraio 2012, di T.f.r. e indennità sostitutiva di preavviso), oltre che di contributi omessi in riferimento a due settimane dell’anno 2011.
Preliminarmente escluso il difetto di legittimazione passiva della società datrice per supposta mancanza di potere rappresentativo del soggetto conferente la procura alle liti, la Corte territoriale, in esito ad ampio percorso argomentativo radicato su un critico scrutinio delle risultanze istruttorie (in particolare delle relazioni di gestione degli esercizi da 2010 a 2012 e delle deposizioni dei testi assunti), riteneva la legittimità del licenziamento intimato, nella effettiva ricorrenza di serie e documentate ragioni organizzative, giudizialmente insindacabili, giustificanti la soppressione della posizione del lavoratore, non diversamente ricollocabile nell’impresa.
Essa ribadiva quindi le ragioni del Tribunale di negazione della spettanza delle voci retributive richieste da M.O.L., a titolo di mancato godimento di premessi retributivi (in assenza di prova, a suo carico, di aver lavorato nelle ore ad essi destinate), di indennità speciale a norma dell’art. 47 CCNL imprese edili e affini 20 maggio 2004 (assorbita dal superminimo e dall’indennità di funzione mensilmente corrispostigli), di indennità di trasferta (compensatone il disagio dalla voce “integrazione retribuzione”, regolarmente percepita) e di differenze retributive da novembre 2011 a febbraio 2012, non dovute in ragione dell’indennità di CIG corrisposta dall’Inps. Infine, la Corte bresciana escludeva, come già il primo giudice, la legittimazione del lavoratore alla domanda di condanna datoriale a prestazione (versamento contributivo) esigibile solo dall’Inps, neppure egli avendo formulato una domanda generica di condanna di C. s.p.a. per danno previdenziale (verificantesi solo alla maturazione del diritto alla prestazione previdenziale, con possibilità della relativa determinazione).
Con atto notificato il 20 settembre 2016, M.O.L. ricorreva per cassazione con sei motivi, illustrati da memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c., cui la società resisteva con controricorso.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 3, 5 I. 604/1966, 5 I. 223/1991, 1175, 2697 c.c., 115, 246, 420, 421 c.p.c. e motivazione omessa, contraddittoria e insufficiente su fatti decisivi, per erronea assunzione dell’esistenza di una crisi aziendale, in difetto di prova (pure valorizzate dichiarazioni anche di testi incapaci o comunque inattendibili), ma per mera presunzione (nonostante la deduzione di prove orali al riguardo non ammesse) di assenza di nuovi cantieri e di non transitorietà della crisi stessa, in contrasto con le richiamate risultanze dei bilanci degli ultimi esercizi, con l’accesso (in realtà neppure dimostrato) alla CIG, per la sua previsione di concessione “sempre che … certa la riammissione degli operai nell’attività produttiva dell’impresa” e “per situazioni aziendali dovute ad eventi transitori” e con la riduzione di personale (con erronea indicazione dei dati occupazionali, anche perchè computati sull’insieme delle società del gruppo C.), nonché per violazione dell’obbligo di repechage, non essendo stata soppressa la posizione lavorativa del ricorrente ma le sue mansioni svolte da consulenti esterni o da altri dipendenti, né essendo stati applicati i criteri di scelta integranti l’obbligo datoriale di buona fede, secondo i principi di diritto regolanti il licenziamento per riduzione di personale, anche considerata la fungibilità di posizioni lavorative potenzialmente eliminabili.
2. Con il secondo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 2697 c.c., 43, lett. b) settimo comma CCNL, 115, 116 c.p.c. e motivazione contraddittoria su un punto decisivo della controversia, per mancato riconoscimento del godimento dei permessi retribuiti (convenzionalmente stabiliti in ottantotto ore annue o, in difetto, nella relativa indennità sostitutiva), sull’erroneo rilievo della carenza di prova in ordine al lavoro prestato nelle ore ad essi riservate, per l’inesistenza di “ore riservate ai permessi” e risultando comunque dalle buste paga il numero di ore lavorate mensilmente, pari a quelle dovute.
3. Con il terzo, il ricorrente deduce violazione degli artt. 47 CCNL, 2697 c.c., 115 c.p.c. e motivazione erronea, contraddittoria e insufficiente su un punto decisivo della controversia, per esclusione del diritto all’indennità speciale in favore del personale non soggetto a limitazioni di orario, stabilita dalla norma collettiva denunciata, sull’erroneo presupposto di suo assorbimento dal superminimo, in difetto di accordo tra le parti, né di alternatività tra essa e l’indennità di funzione.
4. Con il quarto, il ricorrente deduce violazione degli artt. 47 CCNL, 2697 c.c., 115, 246, 420 c.p.c. e motivazione erronea, contraddittoria e insufficiente su un punto decisivo della controversia, per difetto di prova di esistenza di un accordo economico sostitutivo dell’indennità di trasferta spettante al lavoratore (per documentazione prodotta con offerta di prova orale a conferma), erroneamente ricavata da inattendibili dichiarazioni testimoniali per giunta sulla base di un capitolo contrario al contratto di lavoro (che non ne reca traccia) e generico.
5. Con il quinto, il ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., per omessa pronuncia dalla Corte territoriale di condanna datoriale al pagamento della retribuzione non percepita dal lavoratore per i primi nove giorni del mese di febbraio 2012, nonostante l’affermazione del suo diritto alla spettanza.
6. Con il sesto, il ricorrente deduce violazione degli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c., 12 dlg. 788/1945 e motivazione erronea, contraddittoria e insufficiente sul punto decisivo della controversia del difetto di prova di ammissione della società datrice alla CIG (che, se autorizzata, contempla il pagamento a conguaglio del datore con suo recupero delle somme anticipate tramite meccanismo di compensazione con i contributi assistenziali successivamente versati), a fondamento del rigetto della domanda di pagamento della retribuzione ordinaria dei mesi da novembre 2011 a gennaio 2012 non corrisposta, in base alla mail datoriale 14 novembre 2011 (di collocazione del lavoratore in CIG “fino ad esaurimento”) e all’annotazione in buste paga di “c.i.g. non anticipata”.
7. Il primo motivo, relativo a violazione di norme di diritto e vizio di motivazione su fatti decisivi per erronea assunzione di una crisi aziendale giustificante il licenziamento e per violazione dell’obbligo di repechage, è infondato.
7.1. Non sussiste la violazione di norme di legge denunciata, in difetto dei requisiti propri (Cass. 26 giugno 2013, n. 16038; Cass. 28 febbraio 2012, n. 3010; Cass. 28 novembre 2007, n. 24756; Cass. 31 maggio 2006, n. 12984), neppure trattandosi di vizi di sussunzione dei fatti accertati dal giudice di merito nelle ipotesi normative denunciate (Cass. 28 novembre 2007, n. 24756); né parimenti dei vizi di motivazione, nemmeno più contemplati dai rigorosi limiti introdotti dal novellato testo dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), applicabile ratione temporis.
7.2. La Corte territoriale ha anzi esattamente applicato i principi regolanti la materia (così come dall’esposizione a pgg. da 11 a 13 della sentenza), sulla base dell’accertamento in fatto dell’effettiva ricorrenza di un processo di riassetto organizzativo comportante la soppressione del posto del lavoratore ricorrente e della verificata impossibilità di una ricollocazione nell’impresa del dipendente, con assoluzione pertanto anche dell’obbligo di repechage (per le ragioni illustrate da pg. 14 a pg. 30 della sentenza).
7.3. Secondo il più recente e condivisibile insegnamento di questa Corte, ai fini della legittimità del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo, l’andamento economico negativo dell’azienda non costituisce un presupposto fattuale che il datore di lavoro debba necessariamente provare, essendo sufficiente che le ragioni inerenti all’attività produttiva e all’organizzazione del lavoro, comprese quelle dirette ad una migliore efficienza gestionale ovvero ad un incremento della redditività, determinino un effettivo mutamento dell’assetto organizzativo attraverso la soppressione di un’individuata posizione lavorativa, non essendo la scelta imprenditoriale che abbia comportato la soppressione del posto di lavoro sindacabile nei suoi profili di congruità ed opportunità, in ossequio al disposto dell’art. 41 Cost. (Cass. 7 dicembre 2016, n. 25201; Cass. 3 maggio 2017, n. 10699).
7.4. Né, qualora la riorganizzazione imprenditoriale sia modulata (come appunto nel caso di specie) sulla soppressione tout court della posizione lavorativa piuttosto che sulla riduzione di personale in una porzione dell’ambito organizzativo (reparto), con riferimento immediato pertanto ad una funzione o a un ruolo individuati come non più utili o produttivi nel nuovo assetto imprenditoriale ristrutturato, si pone alcuna questione di valutazione comparativa tra lavoratori interessati dalla soppressione, che afferisce esclusivamente a quelli impiegati nella posizione da sopprimere. E’, infatti, inconferente una valutazione comparativa con lavoratori di pari livello (ed eventualmente inferiore), siccome riguardante la diversa ipotesi del licenziamento individuale per giustificato motivo oggettivo a causa di riduzione del personale (Cass. 7 giugno 2017, n. 14178): soltanto in questa seconda ipotesi rilevando invece una valutazione comparativa con i lavoratori di pari livello occupati in posizione di piena fungibilità (Cass. 21 dicembre 2016, n. 26467; Cass. 14 giugno 2007 n. 13876; Cass. 3 aprile 2006, n. 7752), nel rispetto del principio di correttezza e buona fede nell’individuazione del dipendente da licenziare (Cass. 13 ottobre 2015, n. 20508; Cass. 11 giugno 2004 n. 11124).
8. Il secondo motivo, relativo a violazione degli artt. 2697 c.c., 43, lett. b) settimo comma CCNL, 115, 116 c.p.c. e motivazione contraddittoria sul punto decisivo di mancato riconoscimento del godimento dei permessi retribuiti, è inammissibile.
8.1. Esso è generico, in violazione della prescrizione di specificità, a pena appunto di inammissibilità, dell’art. 366, primo comma n. 4 e n. 6 c.p.c., sotto il profilo di inosservanza del principio di autosufficienza, per omessa trascrizione delle buste paga (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915, con principio affermato ai sensi dell’art. 360bis, n. 1 c.p.c.; Cass. 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 7 giugno 2017, n. 14107), così da precludere a questa Corte l’esame della prova allegata, a confutazione dell’accertata mancanza di prova della prestazione di attività lavorativa anche avendo diritto alla fruizione di permessi retribuiti (al primo capoverso di pg. 33 della sentenza).
9. Anche il terzo motivo, relativo a violazione degli artt. 47 CCNL, 2697 c.c., 115 c.p.c. e vizio di motivazione sul punto decisivo di esclusione del diritto all’indennità speciale in favore del personale non soggetto a limitazioni di orario sull’erroneo presupposto di suo assorbimento dal superminimo è inammissibile.
9.1. Esso viola la prescrizione di specificità dell’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202). E ciò per omessa specifica confutazione, anche con profili di violazione del principio di autosufficienza per difetto di trascrizione del contratto individuale di lavoro (Cass. 30 luglio 2010, n. 17915, con principio affermato ai sensi dell’art. 360bis, n. 1 c.p.c.; Cass. 31 luglio 2012, n. 13677; Cass. 3 gennaio 2014, n. 48; Cass. 7 giugno 2017, n. 14107), dell’argomentato accertamento in fatto della percezione dell’indennità in questione attraverso quella del superminimo, in quanto “definito dalle parti come assorbibile” (così in particolare al primo periodo di pg. 34 della sentenza).
9.2. Infine, occorre ribadire l’inconfigurabilità del vizio di motivazione, non più previsto nella modulazione denunciata dai rigorosi limiti introdotti dal novellato testo dell’art. 360, primo comma n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), applicabile ratione temporis.
10. Il quarto motivo, relativo a violazione degli artt. 47 CCNL, 2697 c.c., 115, 246, 420 c.p.c. e vizio di motivazione sul punto decisivo del difetto di prova di un accordo economico sostitutivo dell’indennità di trasferta, è inammissibile.
10.1. Pure esso è generico, in violazione della prescrizione di specificità dell’art. 366, primo comma, n. 4 c.p.c., che ne esige l’illustrazione, con esposizione degli argomenti invocati a sostegno della decisione assunta con la sentenza impugnata Corte di Cassazione – copia non ufficiale e l’analitica precisazione delle considerazioni che, in relazione al motivo come espressamente indicato nella rubrica, giustificano la cassazione della sentenza (Cass. 22 settembre 2014, n. 19959; Cass. 19 agosto 2009, n. 18421; Cass. 3 luglio 2008, n. 18202).
10.2. La genericità deriva qui dall’assenza di confutazione delle argomentate ragioni (dal penultimo capoverso di pg. 34 al primo di pg. 35 della sentenza) della Corte territoriale, con sostanziale sollecitazione ad una inammissibile rivisitazione del merito, insindacabile in sede di legittimità, nell’inconfigurabilità del denunciato vizio motivo, alla luce del novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c., che non prevede più una tale sua modulazione (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439), applicabile ratione temporis.
11. Il quinto motivo (violazione dell’art. 112 c.p.c. per omessa pronuncia dalla Corte territoriale di condanna datoriale al pagamento della retribuzione non percepita dal lavoratore per i primi nove giorni del mese di febbraio 2012), può essere congiuntamente esaminato con il sesto (violazione degli artt. 2697 c.c., 115 c.p.c., 12 d.Ig. lgt. 788/1945 e vizio di motivazione sul punto decisivo del difetto di prova dell’ammissione della società datrice alla CIG, a fondamento del rigetto della domanda di pagamento della retribuzione ordinaria da novembre 2011 a gennaio 2012 non corrisposta), per ragioni di stretta connessione.
11.1. Essi sono infondati.
11.2. Gli estremi del vizio di omessa pronuncia non sono integrati neppure dalla mancanza di un’espressa statuizione del giudice, essendo piuttosto necessario che sia stato completamente omesso il provvedimento indispensabile alla soluzione del caso concreto. Ma ciò non si verifica quando la decisione adottata comporti la reiezione della pretesa fatta valere dalla parte, anche se in assenza di una specifica argomentazione, dovendo ravvisarsi una statuizione implicita di rigetto, quando la pretesa avanzata col capo di domanda non espressamente esaminato risulti incompatibile con l’impostazione logico-giuridica della pronuncia (Cass. 4 ottobre 2011, n. 20311; Cass. 20 settembre 2013, n. 21612; Cass. 13 ottobre 2017, n. 24155).
11.3. Nel caso di specie, la Corte territoriale, al di là dell’affermazione del “diritto dell’appellante alla corresponsione della retribuzione dei giorni di febbraio sino alla cessazione del rapporto” (preceduto da un “oltre”, in collegamento con pari diritto a quella dei ratei di fine rapporto, di indennità sostitutiva di preavviso e di T.f.r. risultanti dai relativi cedolini finali, all’atto della costituzione in primo grado ancora “in corso di elaborazione”, ma da ritenere corrisposti in difetto di alcuna formulazione di pretesa dal lavoratore, “salvo che per la retribuzione dei giorni di febbraio” : così ai primi due capoversi di pg. 36 della sentenza), ha rigettato sostanzialmente anche questa domanda: avendo accertato la percezione dell’emolumento relativo, così come di quelli relativi alle retribuzioni decorrenti dal precedente mese di novembre dall’Inps, a seguito della collocazione in CIG (come da mail del 14 novembre 2014, prodotta dal medesimo lavoratore), disattendendone la contestazione di mancata prova di una tale collocazione, anche in riferimento all’ultimo periodo di retribuzione maturato (così ai tre ultimi capoversi di pg. 35 della sentenza).
11.4. Lo stesso ragionamento probatorio, retto sulla valorizzazione dei listini paga e della mail citata, a fondamento dell’accertamento in fatto della Corte, territoriale, vale evidentemente, in riferimento all’ultimo motivo, per la ravvisata infondatezza della domanda di pagamento della retribuzione ordinaria dei mesi da novembre 2011 a gennaio 2012.
Inoltre, la censura del lavoratore si risolve, con evidente riflesso sulla sua (in)ammissibilità, nella contestazione, in funzione di una diversa ricostruzione del fatto, del concreto accertamento e della valutazione probatoria compiuti dalla Corte territoriale, pure sorretti da un ragionamento argomentativo corretto.
Sicchè, la sottesa ma evidente sollecitazione di un riesame del merito è insindacabile in sede di legittimità (Cass. 16 dicembre 2011, n. 27197; Cass. 18 marzo 2011, n. 6288; Cass. 19 marzo 2009, n. 6694), tanto più per il più rigoroso ambito devolutivo introdotto dal novellato testo dell’art. 360, primo comma, n. 5 c.p.c. (Cass. s.u. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. 10 febbraio 2015, n. 2498; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21439).
12. Dalle superiori argomentazioni discende coerente il rigetto del ricorso e la regolazione delle spese del giudizio di legittimità secondo il regime di soccombenza.
P.Q.M.
rigetta il ricorso e condanna M.O.L. alla rifusione, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio, che liquida in € 200,00 per esborsi e € 4.500,00 per compensi professionali, oltre rimborso per spese generali 15% accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1quater del d.p.r. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13.
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