CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 19 novembre 2021, n. 35642
Tributi – Rettifica dichiarazioni dei redditi di società di persone – Pretesa impositiva nei confronti del socio – Litisconsorzio necessario – Mancata instaurazione – Nullità dell’intero giudizio
Fatti di causa
1. L’Agenzia delle Entrate propose appello avverso la sentenza n. 32/02/2012 con cui la Commissione tributaria di L’Aquila aveva accolto il ricorso proposto da M.C.I. e F.S., in qualità di eredi di N.I., avverso l’avviso di accertamento di maggior reddito di partecipazione, per l’anno 2002, scaturito dall’accertamento a carico della società M. di S.F. e C. s.a.s.
2. Il giudice di primo grado, in particolare, aveva così motivato: «Il ricorso si rivela fondato e, come tale, meritevole di accoglimento. Infatti, rileva la Commissione come si sia pronunciata in merito la Commissione Regionale di Roma, sez. I, con sentenza n. 11/2012 di accoglimento del ricorso per revocazione proposto dalle stesse ricorrenti. Osserva questa CTP che la CTR di Roma nella sentenza suddetta è entrata nel merito della causa dichiarando che: La rettifica presuntiva del reddito così come determinata dall’Ufficio, sia in capo alla società che alla contribuente, appare infatti del tutto illegittima in mancanza di una dimostrazione da parte di questo, a fronte delle deduzioni e della documentazione in atti, di un ragionamento presuntivo qualificato, in palese violazione degli artt. 38, 39, comma 2, 41 e 42 del D.P.R. 600/73, oltre che dell’art. 56, comma 3, D.P.R. 633/72, dell’art. 2697 codice civile e dell’art. 53 Costituzione. Condividendo le argomentazioni della CTR di Roma, questa CTP decide per l’accoglimento del proposto ricorso».
3. La Commissione tributaria regionale, con la sentenza in questa sede impugnata, rigettò l’appello dell’Ufficio finanziario, osservando che:
a) nella sentenza di primo grado il giudice aveva dichiarato di «condividere» le argomentazioni della sentenza n. 1/1/2012 pronunciata dalla C.T.R. del Lazio, che erano stano riprodotte nel corpo della stessa motivazione;
b) in sostanza la C.T.P. aveva accolto il ricorso così motivando: «La rettifica presuntiva del reddito così come determinata dall’Ufficio, sia in capo alla società che alla contribuente, appare infatti del tutto illegittima in mancanza di una dimostrazione da parte di questo, a fronte delle deduzioni e della documentazione in atti, di un ragionamento presuntivo “qualificato”, in palese violazione degli artt. 38, 39, comma 2, 41 e 42 DPR n. 600/73, oltre che dell’art. 56, comma 3, DPR n. 633/72, dell’art. 2697 c.c. e dell’art. 53 Cost.»;
c) nell’appello dell’Ufficio non vi era traccia di eccezioni che potessero attingere la suesposta motivazione, dato che veniva confutata solo la sentenza di revocazione della C.T.R. di Roma, che esulava dall’oggetto del giudizio.
4. Avverso la suddetta decisione d’appello l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, con due motivi.
M.C.I. e F.S. resistono mediante controricorso e propongono ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.
Le contribuenti hanno depositato memoria ex art. 378 cod. proc. civ., in difetto di istanza di discussione orale.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso principale la difesa erariale deduce violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 36, comma 2, n. 4, del d.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., per avere i giudici di appello motivato la decisione unicamente con richiamo alla sentenza resa nei confronti della società, non ancora passata in giudicato, e senza valutare le censure formulate dall’Ufficio finanziario.
Sottolinea che, sebbene sia ammessa la motivazione per relationem, il dovere di motivazione del giudice del gravame impone che egli dia conto di avere valutato criticamente sia il provvedimento censurato che le doglianze proposte, dovendo rendere esplicito il percorso logico seguito nel rendere la sentenza; assume, quindi, che pur essendo materialmente individuabile nel testo scritto una motivazione, questa sarebbe meramente apparente perché non consentirebbe di rilevare quale sia stata la ratio decidendi.
2. Con il secondo motivo censura la decisione gravata per violazione dell’art. 5 del d.P.R. n. 917 del 1986, laddove la C.T.R. ha affermato che «nell’appello dell’Ufficio non vi è traccia di eccezioni che avversino la suesposta motivazione ma solo ed esclusivamente viene confutata la sentenza di revocazione della CTR di Roma che non può e non deve essere l’oggetto del presente giudizio»; con l’atto di appello si era lamentata del fatto che la sentenza emessa dai giudici di primo grado era errata in quanto l’unica sentenza di merito pronunciata sulla legittimità dell’avviso di accertamento del reddito della società M. s.a.s. era la sentenza n. 121/10/2011, nella quale il giudice di appello aveva integralmente confermato l’operato dell’Ufficio e la legittimità del recupero tributario. La rettifica del reddito della società di persone si estendeva anche ai soci, in base al principio della cd. unitarietà dell’accertamento.
3. Con l’unico motivo del ricorso incidentale le contribuenti deducono la violazione dell’art. 5, comma 1, del d.lgs. n. 546 del 1992, motivazione apparente e violazione dell’art. 92 cod. proc. civ. e dell’art. 45 della legge 18 giugno 2009, n. 69, in quanto la C.T.R., pur rigettando il ricorso dell’Agenzia delle entrate, con una inesistente motivazione, aveva disposto che «la particolarità del caso» giustificava la compensazione delle spese di lite, in violazione delle disposizioni richiamate in rubrica che esigevano, per la deroga delle spese alla soccombenza, la sussistenza di «gravi ed eccezionali ragioni», non ravvisabili nel caso di specie.
4. In controricorso le contribuenti chiedono altresì la condanna dell’Agenzia delle entrate al risarcimento del danno per lite temeraria ex art. 96 cod. proc. civ., ponendo in rilievo che il ricorso per cassazione introdotto dall’Ufficio appare vessatorio, stante la evidente infondatezza della pretesa fiscale.
5. Preliminarmente allo scrutinio dei motivi di ricorso deve prendersi atto della violazione del litisconsorzio necessario, avendo il giudizio ad oggetto la pretesa impositiva nei confronti di un socio di una società di persone, per non essersi il giudizio svolto con la necessaria partecipazione della società e di tutti i soci.
5.1. Nel processo tributario, nel caso di rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società di persone e delle associazioni ex art. 5 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n. 917, sussiste il litisconsorzio necessario originario tra la società e tutti i soci della stessa, in ragione dell’unitarietà dell’accertamento, che è alla base della rettifica e della conseguente automatica imputazione dei redditi a ciascun socio, proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili ed indipendentemente dalla percezione degli stessi.
5.2. Le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di chiarire come «l’unitarietà dell’accertamento che è (o deve essere) alla base della rettifica delle dichiarazioni dei redditi delle società ed associazioni di cui all’art. 5 TUIR e dei soci delle stesse […] e la conseguente automatica imputazione dei redditi della società a ciascun socio proporzionalmente alla quota di partecipazione agli utili, indipendentemente dalla percezione degli stessi, comporta che il ricorso proposto da uno dei soci o dalla società, anche avverso un solo avviso di rettifica, riguarda inscindibilmente la società ed i soci (salvo che questi prospettino questioni personali), i quali tutti devono essere parte nello stesso processo, e la controversia non può essere decisa limitatamente ad alcuni soltanto di essi […] perché non ha ad oggetto la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato» (così Cass., sez. U., 18/01/2007, n. 1052).
Successivamente, le stesse Sezioni Unite hanno approfondito il tema, traendone le conseguenze specifiche per i casi quale quello oggi in esame, avvisando come «ogni volta che, per effetto della norma tributaria o per l’azione esercitata dall’amministrazione finanziaria, l’atto impositivo debba essere o sia unitario, coinvolgendo nell’unicità della fattispecie costitutiva dell’obbligazione una pluralità di soggetti, ed il ricorso, pur proposto da uno o più degli obbligati, abbia ad oggetto non la singola posizione debitoria del o dei ricorrenti, bensì la posizione inscindibilmente comune a tutti i debitori rispetto all’obbligazione dedotta nell’atto autoritativo impugnato, ricorre un’ipotesi di litisconsorzio necessario nel processo tributario, ai sensi del d.lgs. n. 546 del 1992, art. 14, comma 1», la cui violazione si ripercuote sulla regolarità del contraddittorio, soggetta al controllo anche officioso del giudice in ogni stato e grado, comportando la «nullità di tutte le attività processuali conseguenti (art. 156 e 159 c.p.c.) ed il regresso del processo al primo giudice» (cfr. Cass., sez. U, 04/06/2008, n. 14815, poi ribadita da Sez. U. n. 3678/2009). A tale orientamento si è sempre attenuta questa Sezione (Cass., sez. 5, 17/06/2015, n. 12547; Cass., sez. 5, 10/04/2015, n. 7212; Cass., sez. 1, 26/07/2013, n. 18127; Cass., sez. 5, 24/01/2018, n. 1689; Cass., sez. 5, 16/01/2019, n. 913).
5.3. Analogamente, in materia di Irap delle società di persone, le Sezioni Unite di questa Suprema Corte (Cass., sez. U, 22/05/2012, n. 10145) hanno precisato che si ripropone la medesima situazione di litisconsorzio necessario tra i soci e le società di persone già affermata dalle medesime Sezioni Unite riguardo all’Ilor con la sentenza 4 giugno 2008, n. 14815, atteso che, allo stesso modo, sussiste una sostanziale coincidenza degli elementi economici che costituiscono i presupposti rispettivamente accertati a carico della società (IRAP) e dell’imposta a carico dei soci (IRPEF) che vincola il tributo dovuto dai soci al giudicato sull’imposta a carico della società, con conseguente collegamento tra la pretesa tributaria ai fini Irap nei confronti della società, in ragione di maggiori ricavi, e la pretesa tributaria ai fini Irpef, nei confronti dei soci, in ragione di maggiori utili distribuiti, che giustifica sul piano razionale e dell’intrinseca ragionevolezza, il litisconsorzio necessario tra società e soci.
5.4. Non ricorre, inoltre, l’ipotesi in cui la Corte ha escluso la necessità della declaratoria di nullità dell’intero giudizio con rimessione degli atti al primo giudizio (esaminata, per prima, da Cass., sez. 18/02/2010, n. 2830), giacché non emerge la trattazione simultanea dei giudizi nei gradi di merito e da parte della medesima Commissione, né risulta la pendenza in Cassazione di tutte le cause concernenti la società e tutti i soci in relazione all’anno d’imposta in esame.
5.5. L’accertata violazione del principio del contraddittorio nella fattispecie all’esame – che ha visto come parte le sole contribuenti, quali eredi di uno dei soci della M. s.a.s., e non anche la stessa società e l’altro socio – comporta la nullità dell’intero giudizio che dev’essere qui dichiarata con remissione al primo giudice, perché verifichi anche l’eventuale passaggio in giudicato delle parallele pronunce relative alla società.
6. In conclusione, va dichiarata la nullità dell’intero giudizio, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio della causa alla C.T.P. di L’Aquila per il riesame, oltre che per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità
P.Q.M.
dichiara la nullità dell’intero giudizio; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria provinciale di L’Aquila, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità
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