CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 giugno 2018, n. 16262
Trattenute sul trattamento pensionistico – Sanzioni civili oggetto di compensazione – Ricorso per Cassazione inammissibile – Denuncia di un error in iudicando, per violazione di norme di diritto sostanziale – Non ravvisabile
Fatti di causa
1. La Corte di Appello di Ancona, con sentenza in data 9 febbraio 2012, ha parzialmente riformato la sentenza di primo grado e, per l’effetto, ha ritenuto legittimamente operate dall’INPS le trattenute, sul trattamento pensionistico spettante a M.R., per le sanzioni civili, accessorie ai contributi previdenziali, dovute dal predetto M. per pregresse omissioni contributive.
2. Per la Corte territoriale, le sanzioni civili dovevano essere considerate oggetto di compensazione, mediante ritenuta ex art. 69 legge n. 153 del 1969, diversamente dalle sanzioni ammnistrative e dagli interessi, a tanto pervenendo rimarcando che dal dettato normativo si evinceva, nella locuzione omissione contributiva, il riferimento a tutte le conseguenze giuridiche derivanti dall’inadempimento contributivo, come confermato dall’espressa esclusione dì taluni effetti giuridici ad esso riconducibili (insorgenza del debito di interessi e applicabilità di sanzioni amministrative).
3. Avverso tale sentenza R. M. ha proposto ricorso, affidato a tre motivi, ulteriormente illustrato con memoria, al quale ha opposto difese l’INPS, con controricorso.
Ragioni della decisione
4. La parte ricorrente, deducendo violazione dell’art. 434 cod.proc.civ. e omessa motivazione su un fatto controverso e decisivo, quale il rigetto dell’eccezione ex art. 434 cod.proc.civ., si duole che la Corte di merito non abbia rilevato il difetto di specificità dei motivi di gravame avverso la sentenza non definitiva pronunciata in primo grado (primo motivo); deducendo violazione dell’art. 69 legge n. 153 del 1969 e omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla riforma della sentenza di primo grado, assume l’erronea interpretazione della citata disposizione la cui ratio legis ravvisa nel non gravare una pensione di una trattenuta a titolo di interessi, e ciò ancor più per gli accessori, non aventi la medesima natura del credito principale, dolendosi, inoltre, della contraddizione nella quale è incorsa la Corte, riferendo la citata previsione (la deroga alla generale compensabilità dei crediti) alle somme aggiuntive per poi concludere in senso opposto, con l’applicazione di riferimenti normativi inconferenti, non versandosi nella mera omissione del versamento di contributi, da parte del datore di lavoro, ma nella possibilità, per quest’ultimo, di trattenere porzioni di rateo pensionistico del proprio debitore per recuperare quello stesso credito (secondo motivo); censura, infine, la disposta compensazione delle spese (terzo motivo).
5. Il ricorso non è meritevole di accoglimento.
6. Va ribadito, nella delibazione del primo motivo, che secondo principi consolidati di questa Corte in tema di ricorso per cassazione, la denuncia di un error in iudicando, per violazione di norme di diritto sostanziale, ai sensi dell’art. 360, n. 3 cod. proc. civ., o per vizi della motivazione, ai sensi dell’art. 360, n. 5 cod. proc. civ., presuppone che il giudice di merito abbia preso in esame la questione prospettatagli e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto; che tale censura non può, pertanto, riguardare l’omessa pronuncia dei giudici del gravame in ordine ad uno dei motivi dedotti nell’atto di appello, la quale postula la denuncia di un error in procedendo, ai sensi dell’art. 360, n. 4 cod. proc. civ., in riferimento alla quale il giudice di legittimità può esaminare anche gli atti del giudizio di merito, essendo giudice anche del fatto, inteso in senso processuale.
7. Se è vero, inoltre, che l’erronea indicazione della norma processuale violata nella rubrica del motivo non determina ex se l’inammissibilità di questo, atteso il valore non vincolante della configurazione formale della rubrica del motivo e il contenuto della censura anche qualificatorio, sotto il profilo giuridico, dell’esposizione delle ragioni di diritto dell’impugnazione (cfr., ex multis, Cass. 3 agosto 2012, n. 14026), è tuttavia necessario che sia rispettato il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, che vale anche in relazione ai motivi di appello rispetto ai quali si denuncino errori da parte del giudice di merito (v., fra le altre, Cass., Sez.U. 24 luglio 2013, n. 17931).
8. Nella specie viene riprodotto, per sintesi, il contenuto del gravame senza allegare o richiamare, tra gli atti di merito, la sentenza non definitiva gravata onde consentire alla Corte di legittimità il vaglio, in conformità alla lettura della disposizione contenuta nell’art. 434 cod.proc.civ., nel testo applicabile ratione temporis (anteriore alla novella del 2012), del sufficiente grado di specificità delle ragioni su cui si fonda l’impugnazione, nel senso che alle argomentazioni proprie della sentenza impugnata siano state contrapposte le censure mosse dall’appellante, per incrinarne il fondamento logico-giuridico.
9. Anche il secondo motivo non è meritevole di accoglimento.
10. L’art. 69 della legge 30 aprile 1969, n. 153, in cui si inscrive la questione centrale del ricorso all’esame, recita: «Le pensioni, gli assegni e le indennità spettanti in forza del R.D.L. 4 ottobre 1935, n. 1827, e successive modificazioni ed integrazioni, nonché gli assegni di cui all’articolo 11 della legge 5 novembre 1968, n. 1115, possono essere ceduti, sequestrati e pignorati nei limiti di un quinto del loro ammontare, per debiti verso l’Istituto nazionale della previdenza sociale derivanti da indebite prestazioni percepite a carico di forme di previdenza gestite dall’Istituto stesso, ovvero da omissioni contributive, escluse, in questo caso, le somme dovute per interessi e sanzioni amministrative».
11. L’opzione interpretativa illustrata dalla parte ricorrente, per infirmare la sentenza impugnata, con l’inclusione, nell’inciso appena richiamato, delle sanzioni civili, al pari degli interessi e delle sanzioni amministrative, non è condivisibile.
12. Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, l’obbligazione relativa alle somme aggiuntive, che il datore di lavoro è tenuto a versare in caso di omesso o ritardato pagamento dei contributi assicurativi, ha natura di sanzione civile e non amministrativa, costituendo una conseguenza automatica dell’inadempimento o del ritardo, legalmente predeterminata, introdotta nell’ordinamento al fine di rafforzare l’obbligazione contributiva e risarcire, in misura predeterminata dalla legge, con una presunzione juris et de jure, il danno cagionato all’istituto assicuratore (cfr., ex multis, Cass. 18 dicembre 2017, n. 30363; Cass. 19 giugno 2009, n. 14475; Cass. 1° agosto 2008, n. 24358; Cass. 19 giugno 2000, n. 8323).
13. La funzione essenzialmente risarcitoria, volte a quantificare, in via preventiva e forfettaria, il danno subito dall’ente previdenziale, è stata ribadita anche dal Giudice delle leggi (v. Corte Cost. n. 254 del 2014).
14. In più occasioni questa Corte ha ribadito, sia pure per delibare il regime prescrizionale applicabile, e con indirizzo prevalente, che le sanzioni civili hanno la stessa natura giuridica dell’obbligazione principale e, pertanto, resta soggetto al medesimo regime prescrizionale (cfr. Cass. 4 aprile 2008, n. 8814; Cass. 21 dicembre 2010, n. 25906; Cass. 22 febbraio 2012, n. 2620; Cass. 20 febbraio 2014, n. 4050 e, in precedenza, Cass. 12 maggio 2004 n. 9054; Cass. 15 gennaio 1986 n. 194).
15. Anche a voler sostenere (come già rilevato da Cass. n. 30363 del 2017 cit.) una natura diversa delle sanzioni rispetto ai crediti contributivi, in ragione della diversità di disciplina, dei diversi presupposti che ne scaturiscono ed anche in considerazione di espresse disposizioni di legge (si pensi alle norme del codice civile in materia di privilegi: artt. 2754 e 2788 cod.civ.), la diversa natura non elimina il fondamentale carattere di accessorietà, evocato dalla disciplina legislativa che obbliga il contribuente Inadempiente al pagamento di una somma aggiuntiva a titolo di sanzione civile in ragione d’anno.
16. La connotazione di accessorietà non significa, peraltro, l’attribuzione alle somme aggiuntive della medesima natura degli interessi civilistici, caratterizzati dall’elemento della periodicità (da qui il discrimine, posto nelle già citate decisioni di legittimità, dell’inapplicabilità del termine di prescrizione quinquennale di cui all’art. 2948, n.4 cod.civ.).
17. Anche le Sezioni unite della Corte, con la decisione n. 5076 del 13 marzo 2015, intervenendo in tema di estensione al credito per sanzioni civili degli effetti degli atti interruttivi posti in essere con riferimento al credito contributivo, hanno precisato che: «sotto il profilo normativo, le somme aggiuntive appartengono alla categoria delle sanzioni civili, vengono applicate automaticamente in caso di mancato o ritardato pagamento di contributi o premi assicurativi e consistono in una somma ex lege predeterminata il cui relativo credito sorge de iure alla scadenza del termine legale per il pagamento del debito contributivo, in relazione al periodo di contribuzione. Vi è, quindi, tra la sanzione civile di cui trattasi e l’omissione contributiva, cui la sanzione civile inerisce, un vincolo di dipendenza funzionale che in quanto contrassegnato dall’automatismo della sanzione civile rispetto all’omesso o ritardato pagamento incide, non solo geneticamente sul rapporto dell’una rispetto all’altra, ma conserva questo suo legame di automaticità funzionale anche dopo l’irrogazione della sanzione, sì che le vicende che attengono all’omesso o ritardato – pagamento dei contributi non possono non riguardare, proprio per il rilevato legame di automaticità funzionale, anche le somme aggiuntive che, come detto, sorgendo automaticamente alla scadenza del termine legale per il pagamento del debito contributivo rimangono a questo debito continuativamente collegate in via giuridica».
18. L’automaticità funzionale, legalmente predeterminata, della sanzione civile rispetto all’obbligazione contributiva, porta ad escludere un’interpretazione della richiamata disposizione dell’articolo 69 della legge n. 153 del 1969 che includa le sanzioni civili nella deroga alla compensabilità espressamente prevista per gli interessi e le sanzioni amministrative.
19. Infine, la delibazione della critica alla regolazione delle spese risulta preclusa dall’inammissibilità della censura, nei termini in cui è formulata, giacché non devolve alla Corte alcun vizio, alla stregua dell’articolo 360 del codice di rito, e si risolve nella mera prospettazione di un’asserita ingiustizia nella disposta compensazione.
20. In conclusione, il ricorso va rigettato.
21. La peculiare questione posta con il ricorso, per la quale non constano precedenti specifici di legittimità, consiglia la compensazione delle spese del giudizio.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso, spese compensate.
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