CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 20 novembre 2019, n. 30136
Tributi – IVA – Importazioni – Deposito fiscale – Immissione cd. “virtuale” della merce importata – Estrazione mediante autofattura – Pagamento tardivo dell’Iva – Applicazione sanzioni – Legittimità
Fatti di causa
1. Si legge nella narrativa della sentenza impugnata che l’Agenzia delle Dogane di La Spezia aveva proposto appello avverso la sentenza emessa dalla Commissione tributaria provinciale che aveva accolto in parte il ricorso del Centro Assistenza Doganale (CAD) relativamente a tre provvedimenti di irrogazione di sanzioni, conseguenti al mancato pagamento dell’IVA all’importazione per operazioni – avvenute nel corso degli anni 2005-2006 – nelle quali la merce non era stata introdotta materialmente nel deposito autorizzato. Anche il CAD aveva proposto appello incidentale.
2. La CTR confermava la sentenza impugnata per aver fatto corretta applicazione dei principi espressi dalla Corte di Giustizia nella sentenza 17 luglio 2013 C-272/13, Equoland. Riteneva quindi che, trovando applicazione la normativa comunitaria dell’inversione contabile, il mero pagamento tardivo dell’Iva sulla merce importata – la cui estrazione era avvenuta in forza di autofattura annotata nel registro degli acquisti e delle vendite – trovava sanzione appropriata nella misura del 3% di cui all’articolo 6, comma 9, del decreto legislativo n. 471/97.
3. L’Agenzia delle dogane ha proposto ricorso per la cassazione della sentenza affidato ad un unico motivo, cui il CAD ha replicato con controricorso e ricorso incidentale articolato su 5 motivi.
Ragioni della decisione
1. Le questioni preliminari proposte dal CAD non possono trovare accoglimento. Quanto all’eccepita inammissibilità del ricorso sotto il profilo della “omessa e/o insufficiente esposizione dei fatti di causa”, diversamente da quanto sostenuto dalla parte, il ricorso contiene una corretta ed essenziale narrazione dei fatti processuali (ai sensi dell’art. 366, com 1, n. 3, c.p.c.), rilevanti ai fini della decisione. Quanto al secondo profilo, con cui si lamenta l’omissione della “specifica indicazione degli atti processuali e dei documenti sui quali il ricorso si fonda”, si rileva che in tema di ricorso per cassazione, il principio di autosufficienza è volto ad agevolare la comprensione dell’oggetto della pretesa e del tenore della sentenza impugnata, da evincersi unitamente ai motivi dell’impugnazione. La specifica indicazione, o riproduzione, degli atti e dei documenti è invece richiesta quante volte si assuma che la sentenza è censurabile per non averne tenuto conto e che, se lo avesse fatto, la decisione sarebbe stata diversa; la Corte deve, in tal caso, poter verificare che quanto il ricorrente afferma trovi effettivo riscontro negli atti: nel caso in esame un simile obbligo non sussiste, non essendovi controversia sul contenuto degli atti, ma solo sulla norma applicabile alla fattispecie.
2. Con l’unico motivo l’Agenzia delle dogane deduce la violazione dell’articolo 13 del decreto legislativo n. 471/97 e falsa applicazione dell’articolo 6, comma 9-bis, dello stesso decreto. In sintesi, si osserva che la Corte di Giustizia nella sentenza anzi citata aveva riconosciuto la legittimità di una sanzione per il mancato rispetto dell’obbligo di introduzione fisica delle merci nel deposito Iva; le modalità di determinazione dell’importo della sanzione spettavano agli Stati membri, nel rispetto del principio di proporzionalità, tenendo in conto della rilevanza del pagamento con autofattura e del tempo intercorso tra omesso versamento dell’Iva all’importazione ed assolvimento dell’Iva interna; gli stessi principi erano stati ribaditi dalla giurisprudenza di legittimità (si cita la sentenza n. 17814/2015); pertanto, ad avviso dell’Amministrazione ricorrente, la sanzione applicabile in caso d’introduzione virtuale della merce era quella per tardivo pagamento posta dall’articolo 13 del decreto legislativo 471/97, e non già quella di cui all’articolo 6, comma 9, applicabile ai casi concernenti il non corretto assolvimento dell’Iva con il sistema dell’inversione contabile.
2.1. La censura è fondata. La Corte di giustizia, nella causa Equoland, richiamata anche dalla sentenza impugnata, ha osservato che la violazione dell’obbligo formale d’introduzione fisica delle merci nel deposito «non ha comportato, perlomeno nel procedimento principale, il mancato pagamento dell’Iva all’importazione poiché questa è stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile applicato dal soggetto passivo» (punto 37), stabilendo che «la sesta direttiva dev’essere interpretata nel senso che, conformemente al principio di neutralità dell’imposta sul valore aggiunto, essa osta ad una normativa nazionale in forza della quale uno Stato membro richiede il pagamento dell’imposta sul valore aggiunto all’importazione sebbene la medesima sia già stata regolarizzata nell’ambito del meccanismo dell’inversione contabile, mediante un’autofatturazione e una registrazione nel registro degli acquisti e delle vendite del soggetto passivo» (punto 49 e dispositivo).
Ha, dunque, inequivocabilmente postulato che l’iva all’importazione e l’iva intracomunitaria sono la stessa imposta, pur se assoggettate a termini ed a modalità diverse di riscossione.
2.2. Su queste premesse, è riscontrabile la dedotta violazione di legge: la CTR ha ritenuto che “in definitiva, nel caso in esame, la normativa comunitaria – per di più relativa ad un’imposta armonizzata – dell’inversione contabile o reverse charge trova piena applicazione”, con la conseguenza che, essendo stati osservati gli obblighi contabili a carico del CAD, non sussisteva nessuna violazione doganale.
2.3. Tuttavia, ancorché la giurisprudenza domestica, sulla scorta di quella unionale, sia ormai consolidata nel ritenere che in caso di deposito fiscale cosiddetto <<virtuale>>, in assenza di frodi, qui non in discussione, l’amministrazione non può pretendere l’IVA all’importazione relativa alla merce immessa in libera pratica, concretandosi il <<fisico>> deposito in un semplice adempimento <<formale>> che non può incidere sul fondamentale principio di neutralità del tributo (Corte giust. UE sez. VI n. 272 del 2014, segnatamente nn. 29, 36 e 39; Cass. sez. V-T n. 10911 del 2016; Cass. sez. VI-T n. 17815 del 2015), va considerato che la legge comunitaria non osta alla previsione di un deposito fiscale che come quello italiano è stato predisposto ad un più efficace controllo IVA, con la conseguenza che deve riconoscersi al Paese membro il potere di comminare sanzioni in caso le merci importate non siano state fisicamente immesse nello stesso; sanzioni che, ancora secondo il giudice unionale, debbono essere però appropriate in relazione alla gravità della violazione ed ai suoi effetti. Fermo restando che, come questa Corte ha già avuto occasione di affermare, la sanzione prevista, in mancanza di altre speciali, ben può essere quella stabilita dall’art. 13 d.lgs. n. 471 cit. per il ritardato o omesso versamento d’imposte (Cass. sez. VI-T n. 17814 del 2015; Cass. sez. VI-T n. 16109 del 2015) e può consistere anche nel computo degli interessi di mora, purché sia rispettato il principio di proporzionalità – la cui adeguata determinazione, implicando un accertamento di fatto, compete al giudice di merito. (Cass. sez. trib. n. 12231 del 2017).
3. Non essendosi attenuta ai principi sopra compendiati la decisione impugnata merita di essere cassata.
4. Con il primo motivo del ricorso incidentale, il CAD denuncia ai sensi dell’articolo 360, comma primo, numero 4 c.p.c. la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. – vizio di ultra petizione, per aver il giudice di appello dichiarato dovuta la sanzione di cui all’articolo 6, comma 9 bis, decreto legislativo 471/97, norma che non era mai stata contestata dall’Agenzia delle dogane che, negli atti impugnati, aveva ritenuto violato l’articolo 13, comma 2, dello stesso decreto, per omesso pagamento dell’Iva all’importazione.
La censura è manifestamente infondata. L’individuazione della norma regolatrice della fattispecie dedotta in giudizio rientra tra i poteri-doveri del giudice, indipendentemente dalle tesi propugnate, in diritto, dalle parti. In tema di procedimento tributario, – come in quello civile, non sussistendo sul punto preclusione di compatibilità – l’applicazione del principio “iura novit curia” fa salva la possibilità- doverosità per il giudice di dare una diversa qualificazione giuridica ai fatti ed ai rapporti dedotti in lite nonché all’azione esercitata in causa, ricercando, a tal fine, le norme giuridiche applicabili alla vicenda descritta in giudizio e ponendo a fondamento della sua decisione disposizioni e principi di diritto eventualmente anche diversi da quelli erroneamente richiamati dalle parti, con il solo limite dell’immutazione della fattispecie da cui conseguirebbe la violazione del principio di correlazione tre il chiesto ed il pronunciato. (Sez. 5 – , Ordinanza n. 11629 del 11/05/2017, Rv. 644105 – 01)
5. Con il secondo motivo, deduce ai sensi dell’articolo 360, comma primo, numero 4 c.p.c. la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. – omessa pronuncia sulla illegittimità della sanzione. Il giudice di appello aveva omesso di pronunciare sul motivo di appello incidentale con cui si era dedotto che il primo giudice aveva ritenuto sanzionabile la condotta del CAD, nonostante l’intervenuto annullamento degli avvisi di rettifica su cui si fondava la pretesa tributaria.
Con il terzo motivo deduce ai sensi dell’articolo 360, comma primo, numero 4 c.p.c. la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. – omessa pronuncia sulla errata interpretazione delle norme in materia di Iva – errata valutazione delle circostanze accertate nel corso del giudizio – assolvimento dell’imposta – illegittima duplicazione. Il giudice di appello aveva omesso di pronunciare sul motivo di appello incidentale con cui si era dedotto l’intervenuto assolvimento dell’imposta e l’illegittima duplicazione della medesima.
Le due censure, esaminabili congiuntamente, sono manifestamente infondate in relazione a quanto esposto al punto 2, concernente il ricorso principale.
6. Con il quarto motivo deduce ai sensi dell’articolo 360, comma primo, numero 4 c.p.c. la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. – omessa pronuncia su errori di diritto – violazione degli articoli 14 e 201 del codice doganale comunitario sulla illegittimità della sanzione. Il giudice di appello aveva omesso di pronunciare sul motivo di appello incidentale con cui il CAD, come rappresentante indiretto, non poteva essere responsabile per il pagamento di tributi, interessi e sanzioni.
Con il quinto motivo deduce ai sensi dell’articolo 360, comma primo, numero 4 c.p.c. la nullità della sentenza per violazione dell’articolo 112 c.p.c. – omessa pronuncia su alcuni motivi di ricorso proposti in primo grado e riproposti in grado di appello. Il giudice di appello aveva omesso di pronunciare sul motivo di appello incidentale con cui si era dedotta l’omessa pronuncia del giudice di primo grado sui punti concernenti: difetto di motivazione; nullità dell’accertamento; difetto del requisito soggettivo di punibilità della sanzione; erroneo computo della sanzione.
Le censure sono inammissibili. Infatti il ricorso incidentale deve essere giustificato dalla soccombenza (non ricorrendo altrimenti l’interesse processuale a proporre ricorso per cassazione), cosicché “In tema di giudizio di cassazione, è inammissibile per carenza di interesse il ricorso incidentale condizionato allorché proponga censure che non sono dirette contro una statuizione della sentenza di merito bensì a questioni su cui il giudice di appello non si è pronunciato ritenendole assorbite, atteso che in relazione a tali questioni manca la soccombenza che costituisce il presupposto dell’impugnazione, salva la facoltà di riproporre le questioni medesime al giudice del rinvio, in caso di annullamento della sentenza“. (Sez. 5 – , Sentenza n. 22095 del 22/09/2017, Rv. 645632 – 01).
Nei limiti sopra detti, il ricorso principale proposto è fondato e deve essere accolto, mentre deve essere respinto il ricorso incidentale. La sentenza va quindi cassata, con rinvio, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Liguria, in diversa composizione, anche per l’esame delle questioni rimaste assorbite.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso principale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Liguria anche per le spese; rigetta il 1°, 2° e 3° motivo del ricorso incidentale; dichiara inammissibili il 4° e 5°. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
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