CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 21 aprile 2022, n. 12792
Licenziamento disciplinare – Comunicazione – Validità – Presunzione di conoscenza ex art. 1335 c.c.
Fatti di causa
Con sentenza depositata il 21.8.2018 la Corte di Cassazione ha pronunciato sul ricorso proposto da G. A. contro Poste Italiane s.p.a., avverso la sentenza della Corte d’appello di Salerno del 10.12.2015 avente ad oggetto l’impugnativa del licenziamento disciplinare intimato con lettera del 21.7.2014, rilevando la valida comunicazione del provvedimento di recesso, da ritenersi entrato nella sfera di conoscibilità del destinatario in applicazione della presunzione di conoscenza di cui all’art. 1335 c.c. G. A. ne chiede la revocazione sull’assunto che i giudici di legittimità – laddove hanno ritenuto l’avvenuta conoscenza, e, comunque, conoscibilità della lettera di licenziamento da parte del lavoratore sarebbero incorsi nell’errore di percezione previsto dall’art. 395, n. 4 cod.proc.civ. perché non avrebbero considerato che era stata data prova testimoniale della mancata affissione, sulla porta dell’A., dell’avviso di deposito dell’atto alla casa comunale. A questo fine l’A. propone ricorso per revocazione affidato a un motivo, illustrato da memoria ex art.378 cod.proc.civ. La società resiste con controricorso. Il P.G. ha chiesto la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di revocazione si deduce il travisamento delle risultanze probatorie acquisite al giudizio, risultando documentalmente provato che era stata data prova testimoniale della mancata affissione sulla porta dell’A., dell’avviso di deposito dell’atto alla casa comunale.
2. Il ricorso è inammissibile. L’errore rilevante ex art. 395 n.4 cod. proc. civ. consiste nella erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, a condizione che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito. Muovendo da detta premessa questa Corte ha evidenziato che: l’errore non può riguardare la attività interpretativa e valutativa; deve avere i caratteri della assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo nel senso che tra la percezione erronea e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata sicuramente diversa (Cass. 5.7.2004 n.12283; Cass. 20.2.2006 n. 3652; Cass. 9.5.2007 n. 10637; Cass. 26.2.2008 n. 5075; Cass. 29.10.2010 n. 22171; Cass. 15.12.2011 n.27094). Detti requisiti non ricorrono nella fattispecie perché la sentenza impugnata per revocazione – dopo aver precisato che l’unico motivo di ricorso per cassazione si concentrava sulla dedotta violazione dell’art. 140 c.p.c. (sul presupposto che non si era perfezionato il procedimento di notifica del licenziamento effettuato con tali modalità) – ha dichiarato inammissibile il ricorso rilevando la carenza di decisività e di specificità della censura proposta in quanto trascurava la natura (di atto unilaterale recettizio e non di atto giudiziario) del licenziamento, in relazione al quale era sufficiente (a prescindere dal perfezionamento del procedimento di notifica) aver acquisito l’avvenuta conoscenza del provvedimento da parte del destinatario, anche in forza del criterio di presunzione di conoscenza dettato dall’art. 1335 c.c., disposizione normativa che non era stata oggetto di impugnazione con ricorso per cassazione. Avendo, dunque, la sentenza impugnata rilevato un profilo di inammissibilità del ricorso giuridicamente e logicamente sufficiente a giustificare la decisione adottata, il ricorso per revocazione sottopone una questione che non ha assunto alcun profilo di decisività in relazione all’ammissibilità del ricorso per cassazione. Risulta, in ogni caso, inammissibile il ricorso anche con riguardo alla seconda, autonoma, ratio decidendi posta a base della sentenza impugnata per revocazione, che ha dichiarato “comunque” infondato il ricorso per cassazione sulla base degli accertamenti di fatto compiuti dal giudice di merito (nella specie, l’affissione sulla porta dell’abitazione di A. dell’avviso di avvenuto deposito presso la casa comunale, deduzione in fatto che la Corte di appello ha ritenuto non contestata dall’A.), accertamenti compiuti nei gradi di merito ed insindacabili in sede di legittimità.
3. In conclusione, il ricorso è inammissibile.
4. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 20012, n. 228, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.