Corte di Cassazione sentenza n. 28436 depositata il 29 settembre 2022
vizio di motivazione o/e violazione di norma processuale se omesso esame di un fatto sostanziale o processuale – motivazione apparente – le convenzioni contro le doppie imposizioni sono strumenti di diritto internazionale pattizio il cui fine è quello di evitare il fenomeno della cd. doppia imposizione giuridica – la società che intende beneficiare di un agevolazione o richiede un rimborso è attore in senso sostanziale
FATTI DI CAUSA
1. S.G. ha proposto, ai sensi dell’art. 10 paragrafo 4 della Convenzione Italia Francia sulle doppie imposizioni, 612 istanze di rimborso per crediti di imposta in relazione ai dividendi percepiti in virtù delle partecipazioni detenute in società italiane, per un totale di euro 81.285.049,54.
Il Centro Operativo dell’Agenzia delle entrate di Pescara, all’esito dell’esame di istanze rappresentative di un importo pari al 32,19 per cento dei crediti vantati e con l’ausilio del consulente tecnico della Procura della Repubblica titolare di una indagine penale al riguardo, riconosceva la spettanza del credito in misura limitata, rigettando la domanda nel resto, ritenendo che la società avesse svolto una mera attività di intermediazione a favore di altri operatori, allo scopo di figurare come titolare della partecipazione e incassare i dividendi azionari al solo scopo di fruire dei benefici della convenzione Italia – Francia, ai quali i reali titolari delle partecipazioni non avrebbero avuto diritto in ragione della loro nazionalità.
2. S.G. adiva la Commissione tributaria provinciale di Pescara domandando il rimborso di tutto quanto non riconosciuto dal COP, con esclusione del 20 per cento della somma originariamente richiesta, in ragione di intervenuta rinuncia.
La C.T.P. di Pescara accoglieva la domanda.
3. La Commissione tributaria regionale dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, adita con appello principale dall’Agenzia e con appello incidentale dalla società, rigettava entrambi i gravami.
In particolare, il giudice di appello confermava la sentenza sia laddove aveva escluso la decadenza dell’ufficio sia laddove aveva ritenuto che le risultanze istruttorie escludessero, nel caso di specie, una condotta abusiva della società.
4. Contro tale sentenza ricorre, con quattro motivi, Agenzia delle La società resiste con controricorso e propone ricorso incidentale condizionato, affidato a cinque motivi.
L’Agenzia ha depositato controricorso al ricorso incidentale.
La controricorrente ha depositato memoria.
La causa è stata discussa all’udienza pubblica del 10 giugno 2022.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. L’Agenzia propone quattro motivi di ricorso.
1.1 Con il primo motivo, proposto in relazione all’art. 360, primo comma, 4, cod. proc. civ., lamenta la nullità della sentenza ai sensi dell’art. 36 d.lgs. 31/12/1992, n. 546, per motivazione apparente, avendo la C.T.R. fatto riferimento a fatti e circostanze diversi da quelle contestati dall’Ufficio ed avendo omesso di spiegare i motivi per cui le prove e gli elementi acquisiti agli atti non fossero idonei a giustificare il provvedimento di rigetto e i motivi per i quali abbia accordato prevalenza alle deduzioni della società.
1.2 Con il secondo motivo l’Agenzia lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., che la C.T.R. avrebbe omesso di esaminare e valutare la rilevanza di quelle operazioni simmetriche che avevano ad oggetto sia titoli sicuramente detenuti in prestito per conto altrui, sia titoli trasferiti da un conto all’altro a copertura delle operazioni sui derivati per conto degli originari detentori.
1.3 Col terzo motivo l’Agenzia lamenta, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., la violazione dell’art. 10 della Convenzione Italia Francia sulla doppia imposizione, dell’art. 2697 e dell’art. 2727 cod. civ.; si duole dell’errato riparto dell’onere della prova, avendo la C.T.R. posto a carico dell’Ufficio l’onere di dimostrare che il contribuente non fosse il beneficiario effettivo dei dividendi ed avendo del resto l’ufficio addotto seri e documentati elementi volti a negare la corrispondenza tra la titolarità apparente e quella effettiva: in particolare non spetterebbe all’Amministrazione il compito di fornire una prova piena e certa dell’assenza del requisito in esame (la qualità di beneficiario effettivo), ma incomberebbe sulla società l’onere di dimostrarne l’esistenza.
1.4 Col quarto motivo l’Agenzia deduce, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., l’omessa, insufficiente e contradditoria motivazione su un fatto decisivo ai fini della decisione della controversia, ove non si ritenessero applicabili le modifiche dell’art. 360 proc. civ. introdotte dall’art. 54, comma 1, lett. b), d.l. 22/06/2012, n. 83, conv. in l. 7/08/2012, n. 134.
2. La società propone ricorso incidentale condizionato affidato a cinque mezzi.
2.1 Col primo motivo essa deduce, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, proc. civ., l’intervenuto giudicato derivante dal non avere l’ufficio censurato espressamente il capo della sentenza della C.T.P. recante la statuizione che la Convenzione Italia Francia non prevedesse, quale presupposto del rimborso, che il percettore dei dividendi ne fosse anche il beneficiario effettivo, avendo, in appello, impugnato (solo) le diverse argomentazioni della C.T.P. relative alla mancanza di prova di una condotta abusiva, che dovevano considerarsi rese solo ad abundantiam. Ne sarebbe derivato il passaggio in giudicato del capo che da solo regge la decisione impugnata.
2.2 Col secondo motivo la società lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 36, comma 2, d.lgs. 31/12/1992, n. 546, sotto il profilo dell’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., non recando la sentenza una valida motivazione a sostegno del rigetto della propria eccezione di inammissibilità dell’appello principale dell’ufficio, avendo la C.T.R. evidenziato che l’eccezione era infondata in quanto l’errato riferimento alla convenzione Italia Regno Unito non pregiudicava l’ammissibilità dell’appello.
2.3 Col terzo motivo la società deduce l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio e oggetto di discussione, con riferimento al passaggio in giudicato della decisione della sentenza di primo grado su un capo autonomo, ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.
2.4 Col quarto motivo ripropone la medesima questione lamentando l’omessa motivazione sul passaggio in giudicato della decisione di primo grado, sotto il profilo del previgente art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., ove non si ritenessero applicabili le modifiche dell’art. 360 cod. proc. civ. introdotte dall’art. 54, comma 1, lett. b), d.l. 22/06/2012, n. 83, conv. in l. 7/08/2012, n.
2.5 Col quinto motivo deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 100 cod. proc. civ., sotto il profilo dell’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.; evidenzia che l’ufficio, non impugnando l’autonomo capo di decisione, relativo alla mancata presenza della clausola del beneficiario effettivo nella convenzione Italia Francia, avrebbe prestato acquiescenza alla sentenza, in parte qua, con conseguente passaggio in giudicato e mancanza di interesse al ricorso per cassazione.
3. Col primo motivo di ricorso principale l’ufficio si duole della nullità della sentenza per grave vizio motivazionale; dopo un’ampia ricostruzione dell’iter procedimentale dell’accertamento deduce che la motivazione sia solo apparente in quanto articolata in una serie di considerazioni di vario genere, non ordinate sistematicamente e spesso confusamente reiterate, pronunciando su una situazione diversa da quella emersa in causa, disattendendo senza alcuna valida spiegazione le ragioni dell’amministrazione e non spiegando perché le prove effettivamente acquisite agli atti e non esaminate non fossero idonee a giustificare le determinazioni dell’ufficio. Ancora, l’Agenzia lamenta che la C.T.R., accogliendo le censure della parte, si sarebbe pronunciata, censurandolo, su un criterio adoperato per verificare l’anomalia delle operazioni contestate (quello della media, utilizzato dall’ufficio nell’esame di analoghe domande) diverso da quello effettivamente usato nel caso concreto (il metodo analitico, fondato sul puntuale riscontro delle operazioni di acquisto e rivendita dei titoli effettuate con lo stesso operatore a cavallo della data di stacco del dividendo).
3.1 Il motivo, diversamente da quanto eccepito dalla società controricorrente, è ammissibile perché pone una questione di carattere processuale che deve essere valutata ai sensi dei seguenti principi, consolidatisi nella giurisprudenza di questa Corte. Né può ritenersi che l’eventuale adeguato mancato confronto, in termini motivazionali, con le risultanze processuali possa dare luogo ad un vizio revocatorio. L’omesso esame di un fatto sostanziale o processuale può dare luogo ad un vizio motivazionale o alla violazione di norma processuale, ma non integra un errore revocatorio ai sensi dell’art. 395, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., che viceversa consiste nella viziata percezione o nella falsa supposizione (espressa e mai implicita) dell’esistenza o inesistenza del fatto stesso, non controverso fra le parti, la cui esistenza o inesistenza è incontrastabilmente esclusa o positivamente stabilita, dagli atti o documenti della causa (per tutte, Cass. 26/05/2021, n. 14610);
3.2 La mancanza della motivazione, rilevante ai sensi dell’art. 132, n. 4, cod. proc. civ. (e nel caso di specie dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs. n. 546 del 1992) e riconducibile all’ipotesi di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360, primo comma, n. 4, si configura quando la motivazione <<manchi del tutto – nel senso che alla premessa dell’oggetto del decidere risultante dallo svolgimento del processo segue l’enunciazione della decisione senza alcuna argomentazione – ovvero … essa formalmente esista come parte del documento, ma le sue argomentazioni siano svolte in modo talmente contraddittorio da non permettere di individuarla, cioè di riconoscerla come giustificazione del decisum. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sempre che il vizio emerga immediatamente e direttamente dal testo della sentenza impugnata>> (Cass., Sez. U., 7/04/2014, n. 8053; successivamente tra le tante Cass. 1/03/2022, n. 6626; Cass. 25/09/2018, n. 22598).
In particolare si è in presenza di una <<motivazione apparente>> allorché la motivazione, pur essendo graficamente (e, quindi, materialmente) esistente, come parte del documento in cui consiste il provvedimento giudiziale, non rende tuttavia percepibili le ragioni della decisione, perché consiste di argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere l’iter logico seguito per la formazione del convincimento, di talché essa non consente alcun effettivo controllo sull’esattezza e sulla logicità del ragionamento del giudice non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture. Sostanzialmente omogenea alla motivazione apparente è poi quella <<perplessa e incomprensibile>>; in entrambi i casi, invero l’anomalia motivazionale, implicante una violazione di legge costituzionalmente rilevante, integra un error in procedendo e, in quanto tale, comporta la nullità della sentenza impugnata per cassazione (Cass., Sez. U., 3/11/2016, n. 22232 e le sentenze in essa citate).
3.3 Costituisce circostanza pacifica, perché ammessa dalla stessa società, che nel caso di specie l’accertamento compiuto dall’Agenzia delle entrate, per accertare l’abusiva percezione dei dividendi, si fondi solo inizialmente sul cd. criterio della media (utilizzato in altri accertamenti, fondato sulla rilevazione delle giacenze delle azioni al termine degli undici mesi solari diversi da quello in cui è avvenuto lo stacco del dividendo e sulla non rimborsabilità delle domande nella misura differenziale tra i titoli posseduti al momento dello stacco del dividendo e la media mensile degli altri undici mesi, e ritenuto da questa Corte valido elemento presuntivo: vedi ad esempio Cass. 21/09/2021, n. 25434; Cass. 27/05/2021, n. 14764) ma poi utilizzi un criterio ‹‹analitico››; l’amministrazione, partita dal criterio della media, ha infatti individuato una serie di singole operazioni cd. simmetriche, effettuate per uguali quantitativi di titoli a cavallo dello stacco del dividendo e intercorse, in breve lasso temporale, anche però superiore al mese, con soggetti non qualificati (e quindi non aventi titolo al credito convenzionale) o con soggetti qualificati ma interposti in operazioni con soggetti non qualificati, e nel successivo utilizzo statistico del dato rilevato, con determinazione del rapporto tra la quantità di titoli posseduti al momento dello stacco del dividendo e la quantità di titoli oggetto di operazioni simmetriche, al netto di operazioni reciproche di prestito in uscita. Nell’analitica ricostruzione dell’oggetto del processo compiuta nel ricorso, l’amministrazione richiama gli allegati dai quali emergono le operazioni simmetriche e riproduce i calcoli, riassuntivamente, a pagina 25.
A fronte di ciò, la motivazione della C.T.R. solo apparentemente dà conto di quale sia il criterio utilizzato dall’ufficio, di quali siano le difese della società e soprattutto dei motivi per cui queste debbano prevalere sui risultati derivanti dall’applicazione del primo.
In primo luogo, infatti, nell’incipit della motivazione contenuto all’inizio della pagina 7, la C.T.R. ha evidenziato che le motivazioni dell’ufficio non confutassero ‹‹la ricostruzione fattuale ben operata nella sentenza gravata››; sennonchè tale ricostruzione fattuale è descritta dalla stessa C.T.R. all’inizio della pagina 3, ove, nel riportare la motivazione della C.T.P., i giudici di appello evidenziano che ‹‹l’Ufficio aveva utilizzato la giacenza media di un titolo nell’arco di dodici mesi e di confrontarla con la giacenza di stacco del dividendo al fine di evidenziare anomale concentrazioni di titoli in corrispondenza della data di stacco del dividendo››, riportando la conclusione dei primi giudici di mancata convalida al riguardo.
La condivisione della ricostruzione fattuale operata dalla C.T.P. (ribadita invero in altri passaggi della sentenza, ove ne viene nuovamente condivisa la motivazione) quindi non dà conto chiaramente della diversa e più specifica metodologia seguita nell’accertamento in esame.
In secondo luogo, la motivazione prosegue attraverso una pluralità di affermazioni, talvolta anche ripetitive, recanti la condivisione delle difese della società e la negazione della fondatezza dell’accertamento o delle critiche alla sentenza di primo grado, che sono però formulate in termini anapodittici, soprattutto non dando contezza chiara di quale fosse l’oggetto del contendere; per esempio, dopo una lunga descrizione delle difese delle parti, a pagina 7, dopo aver descritto l’operato dell’ufficio, la C.T.R. evidenzia che ‹‹la società contribuente ha giustamente censurato i criteri adottati dall’ufficio … in quanto ha dimostrato di aver operato con modalità diverse da quelle descritte dall’ufficio››, o, similmente, che ‹‹le analitiche osservazioni del contribuente hanno evidenziato la erroneità della modalità ricostruttiva›› ma senza chiarire quali siano tali modalità proprie del contribuente e soprattutto del perché prevalgano sugli esiti dell’accertamento. Analoghe considerazioni valgono per altre affermazioni, laddove la C.T.R. ha evidenziato che la società avesse ‹‹dimostrato di aver operato con modalità diverse rispetto a quelle descritte dall’Ufficio», ‹‹che non vi fossero anomalie allo stacco del dividendo», ‹‹l’operazione sui derivati è certamente corrispondente alla necessità di svolgere operazioni di acquisto e vendita di titoli azionari» o ‹‹la metodologia applicata non riesce a dimostrare adeguatamente l’esistenza e l’intento elusivo», non chiarendo infine perché invece le operazioni simmetriche ‹‹non possono assurgere ad elemento probatorio pieno di una simulazione dell’operazione in mancanza di ulteriori elementi», non senza dimenticare peraltro che la società che intende beneficiare del credito di imposta sulle cedole riscosse da una società residente in Italia è attore in senso sostanziale, come tale tenuto a dare prova degli elementi costitutivi dell’invocato diritto a non subire una seconda tassazione della ricchezza (cfr. Cass. 27/05/2021, n. 14764; Cass. 3/05/2019, n. 11648; Cass. 12/07/2018, n. 18397; Cass. 23/09/2016, n. 18628; Cass. 20/02/2013, n. 4164).
Ed invece il giudice non può, quando esamina le argomentazioni delle parti o i fatti di prova, limitarsi ad enunciare il giudizio nel quale consiste la loro valutazione, perché questo è il solo contenuto «statico» della complessa dichiarazione motivazionale, ma deve impegnarsi, tanto più in una fattispecie complessa, anche nella descrizione del processo cognitivo attraverso il quale è passato dalla sua situazione di iniziale ignoranza dei fatti alla situazione finale costituita dal giudizio, che rappresenta il necessario contenuto «dinamico» della dichiarazione stessa (Cass. 20/12/2018, n. 32980; Cass. 29/07/2016, n. 15964; Cass. 23/01/2006, n. 1236).
Proprio la necessità di esporre le ragioni del giudizio di prevalenza di una tesi sull’altra esclude che, sul punto, la motivazione possa essere integrata dalla parte della sentenza che riporta le opposte tesi difensive o dagli ampi riferimenti, contenuti negli atti difensivi della controricorrente ed in particolare nella memoria, agli atti di parte e ai documenti prodotti in causa, che però non possono essere utilizzati al fine di riempire di contenuto le generiche affermazioni della C.T.R. e la cui indicazione evidenzia ancor di più il vizio denunciato.
4. L’accoglimento di tale motivo, assorbiti gli altri, impone l’esame del ricorso incidentale condizionato, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente, in quanto pongono una questione di fondo comune, la tesi che la sentenza di primo grado fondasse la propria decisione anche in base alla mancanza, nella convenzione Italia Francia, della clausola del beneficiario effettivo, statuizione idonea da sola a reggere la decisione e che, non essendo stata impugnata, avrebbe determinato il passaggio in giudicato della sentenza della C.T.P. (primo e quinto motivo); tale eccezione, proposta dalla società nelle proprie controdeduzioni, sarebbe stata non esaminata (terzo e quarto motivo) e decisa in modo non motivato (secondo motivo).
In primo luogo, il tenore complessivo dell’atto di appello dell’ufficio, anche alla luce degli stralci di esso riportati nel controricorso di quest’ultimo (atto di cui è consentito l’esame diretto, data la natura processuale dei vizi dedotti), e anche un suo specifico motivo, esposto a pagina 34 e seguenti (richiamato dalla stessa ricorrente incidentale), attiene evidentemente anche alla questione del beneficiario effettivo. Sul punto la decisione della C.T.R. è pienamente comprensibile perché, a fronte dell’eccezione di mancato appello su tale questione, ha evidenziato che l’impugnazione invece vi sia stata, essendo irrilevante l’errata indicazione della Convenzione (Italia Gran Bretagna in luogo di quella Italia Francia); giova precisare che l’eccezione era stata formulata anche in termini di genericità dell’appello, ai sensi dell’art. 53 d. lgs. n. 546 del 1992, ma la relativa decisione non risulta oggetto di ricorso per cassazione.
Del resto, è la stessa controricorrente ad evidenziare, nel controricorso, che la tesi dell’amministrazione, pur argomentata in vario modo, fosse unicamente volta a dimostrare che la società non potesse configurarsi come beneficiario effettivo dei dividendi e dunque non avesse diritto al credito di imposta (pagina 85 del controricorso).
Infatti, più in generale, questa Corte (di recente Cass. 3/02/2022, n. 3380) ha già avuto modo di osservare che le convenzioni contro le doppie imposizioni sono strumenti di diritto internazionale pattizio il cui fine è quello di evitare il fenomeno della cd. doppia imposizione giuridica, in materia di imposte sul reddito e di capitali, nonché prevenire l’evasione fiscale. Ne deriva che il godimento dei benefici convenzionali non può che essere strettamente connesso alla circostanza che il contribuente, che ne beneficerà, sia un soggetto, non solo sottoposto alla effettiva giurisdizione dell’altro Stato contraente (requisito della residenza), ma anche il soggetto che avrà la disponibilità economica e giuridica del provento formalmente percepito, versandosi, altrimenti, nell’ipotesi di una «traslazione impropria dei benefici convenzionali»; è in questa prospettiva che la prassi internazional-tributaria ha elaborato il concetto di beneficiario effettivo al fine di contrastare quelle pratiche volte proprio a trarre profitto dall’autolimitazione della potestà impositiva statale.
In ambito Ocse, il concetto di beneficiario effettivo è comparso per la prima volta nel Modello di convenzione del 1977, negli artt. 10 e 11, rispettivamente dedicati al regime di tassazione di dividendi ed interessi. La clausola del beneficiario effettivo si può quindi qualificare come una clausola generale dell’ordinamento fiscale internazionale, volta ad impedire che í soggetti possano abusare dei trattati fiscali attraverso pratiche di treaty shopping con lo scopo di far godere della protezione convenzionale contribuenti che, altrimenti, non ne avrebbero avuto diritto o che avrebbero subito un trattamento fiscale, comunque, meno favorevole (Cass. 19/12/2018, n. 32840; Cass. 28/12/2016, n. 27116; Cass. 16/12/2015, n. 25281).
Il treaty shopping implica lo sfruttamento delle differenze nei trattati stipulati fra le varie nazioni, mediante la frapposizione di un soggetto residente in uno Stato terzo nel flusso reddituale tra lo Stato della fonte e quello del beneficiario effettivo.
Alla luce di tale clausola e della stessa origine delle convenzioni fiscali, il self-restraint, cui uno Stato nazionale acconsente sottoscrivendo una convenzione, non può, evidentemente, spingersi fino al punto di consentire un abuso della stessa convenzione che realizzerebbe, quindi, un fenomeno di doppia non imposizione altrettanto deprecabile quanto quello della doppia imposizione.
Se ne deve desumere pertanto la possibilità, per lo Stato della fonte (nel caso di interesse l’Italia), di tassare i proventi diretti ad un residente estero nella misura in cui, se ciò non facesse, oltre a vedersi distorte le norme distributive convenzionali, relative all’esercizio del potere impositivo degli Stati, si consentirebbe una forma di pianificazione fiscale, non soltanto aggressiva per le ragioni erariali ma, al contempo, anche pregiudizievole per un corretto confronto concorrenziale tra operatori economici (così, in motivazione, Cass. 16/12/2015, n. 25281).
Si è dunque rimarcato che il concetto di beneficiario effettivo non può coincidere con quello più ampio di soggetto che, residente all’estero e ivi soggetto a imposizione, riceve i dividendi, ma richiede un quid pluris, rappresentato dall’essere tale soggetto anche colui che ha l’effettiva disponibilità giuridica ed economica dei dividendi.
Ad avviso della giurisprudenza, poi, detta clausola costituisce una sorta di precipitato normativo del principio generale di cui all’art. 31 della Convenzione di Vienna del 1969 sul diritto dei trattati, in base al quale un trattato deve essere interpretato secondo buona fede ed alla luce del suo oggetto e del suo scopo; parametri che, anche nei casi di inesistenza di previsione testuale, indurrebbero comunque a non riconoscere il regime di favore alla società che – non essendo il beneficiario effettivo del credito d’imposta – abbia abusato del trattato mediante un’allocazione territoriale strumentale, stravolgendone appunto l’oggetto e lo scopo pratico.
Alla luce di tali considerazioni, appare quindi evidente che l’appello dell’ufficio, complessivamente considerato, concernesse proprio la questione del beneficiario effettivo che, nella sentenza della C.T.P., era ampiamente esaminata nel merito, non potendosi ritenere sussistente una decisione fondata su due distinte ed autonome rationes decidendi (la stessa C.T.P., infatti, come riportato al termine della pagina 2 della sentenza della C.T.R., aveva poi espressamente qualificato la società quale beneficiaria effettiva e non società conduit) e che la C.T.R. abbia deciso sull’eccezione, escludendo la inammissibilità dell’appello che ne sarebbe conseguita.
I motivi del ricorso incidentale vanno quindi respinti.
5. In conclusione, va accolto il primo motivo del ricorso principale dell’Agenzia, con assorbimento dei residui motivi; va respinto il ricorso incidentale della società; la sentenza va cassata e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, per nuovo esame e regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
accoglie il primo motivo del ricorso principale; dichiara assorbiti gli altri motivi; rigetta il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell’Abruzzo, sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, cui demanda anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità;
ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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