CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 22 marzo 2019, n. 8224
Rapporto di lavoro – Cooperativa – Soci – Delibera di esclusione – Cessazione del rapporto di lavoro
Fatti di causa
1. In data 12.3.2015 la C.D.S. (attualmente C.D.S. Cooperativa in liquidazione) deliberava la esclusione dalla cooperativa, a norma dell’art. 10 dello Statuto Sociale, dell’art. 30 punto 6 del Regolamento interno nonché dell’art. 2533 cc, dei soci lavoratori, odierni intimati, per i fatti compiuti nella giornata del 6.2.2015 consistiti non solo nella non partecipazione al normale processo lavorativo, ma per avere contribuito a creare un clima di terrore psico-fisico che aveva impedito a tutti i soci lavoratori regolarmente presentati sul luogo di svolgere i propri compiti.
2. I lavoratori esclusi impugnavano, con la procedura del cd. Rito Fornero, i provvedimenti di estromissione dalla compagine sociale nonché l’invalidità dei licenziamenti loro intimati con le distinte lettere del 12.3.2015 e chiedevano, previa declaratoria di invalidità, la reintegrazione nei rispettivi posti di lavoro ai sensi dell’art. 18 comma 4 St. lav. e comunque la ricostituzione dei rapporti ulteriori di lavoro subordinato, nonché la corresponsione delle retribuzioni globali di fatto dal 13.3.2015 alla effettiva reintegrazione; in via subordinata chiedevano di condannare C.D.S. al pagamento, ai sensi dell’art. 18 comma 5 della legge n. 300 del 1970, di una somma compresa tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre all’indennità di mancato preavviso; in via ancora più subordinata chiedevano di condannare la cooperativa al pagamento, ai sensi dell’art. 18 comma 6 della legge n. 300 del 1970, di una somma compresa tra 6 e 12 mensilità sempre dell’ultima retribuzione globale di fatto, oltre l’indennità di mancato preavviso.
3. Instaurato il contraddittorio, il giudice del Tribunale di Pavia della fase sommaria accoglieva integralmente il ricorso.
4. Proposto il giudizio di opposizione, in parziale accoglimento dello stesso, ad eccezione del solo lavoratore D.M., venivano respinte le domande principali proposte dai lavoratori e, disattese le eccezioni preliminari formulate in rito dalla Cooperativa, veniva accolta la domanda subordinata dispiegata dai lavoratori per mancato esperimento della procedura di cui all’art. 7 della legge n. 300 del 1970 e C.D.S. era condannata a corrispondere loro, con esclusione del D.M., una indennità onnicomprensiva pari a sei mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto pari ad euro 1.424,55.
5. La Corte di appello di Milano, con la sentenza n. 910/2017, confermava la suddetta pronuncia.
6. Avverso la decisione di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione C.D.S. Cooperativa in liquidazione affidato a due motivi.
7. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2, comma 1, e 5 comma 2 della legge n. 142 del 2011; dell’art. 18 della legge n. 300 del 1970 e dell’art. 1 comma 47 e ss della legge n. 92 del 2012, per avere erroneamente la Corte di merito, obliterando del tutto le argomentazioni svolte da essa cooperativa, respinto le eccezioni preliminari e pregiudiziali di incompetenza e di inammissibilità del rito, non rilevando che la cessazione del rapporto di lavoro era derivata dalla delibera di esclusione dalla cooperativa e non dalla sussistenza di un atto autonomi di licenziamento; di talché l’impugnazione della delibera ex art. 2533 cc avrebbe dovuto essere effettuata nei 60 giorni dalla comunicazione, innanzi al Tribunale delle Imprese e non davanti al giudice del lavoro, e non con la procedura del cd. rito Fornero.
2. Con il secondo motivo si censura la violazione e falsa applicazione degli artt. 7 e 18 comma 6, legge n. 300 del 1970 e dell’art. 2533 cc, per avere erroneamente ritenuto, nella fattispecie, l’applicabilità delle garanzie procedurali previste dall’art. 7 St. lav., con ogni conseguenza in tema di inefficacia della risoluzione del rapporto e pagamento dell’indennità risarcitoria di sei mensilità, pur essendo in presenza di una delibera di esclusione dalla società e non di una intimazione di un licenziamento.
3. I motivi, per la loro connessione logico-giuridica, devono essere trattati congiuntamente.
4. Essi vanno valutati alla stregua del principio di legittimità, stabilito dalle Sezioni Unite (Cass. Sez. Un. 20.11.2017 n. 27436) cui si intende dare seguito, secondo il quale in tema di estinzione del rapporto del socio lavorativa di cooperativa, ove per le medesime ragioni afferenti al rapporto lavorativo siano stati contestualmente emanati la delibera di esclusione ed il licenziamento, l’omessa impugnativa della delibera non preclude la tutela risarcitoria contemplata dall’art. 8 della legge n. 604 del 1966, mentre esclude quella restitutoria della qualità del lavoratore.
5. Orbene, il dato di fatto dal quale la Corte di merito è partita nell’esaminare la fattispecie riguarda l’interpretazione della originaria domanda dei ricorrenti che concerneva, come ritenuto dai giudici di seconde cure, sia la delibera di esclusione sia il conseguentemente licenziamento, ritenendo, però, la competenza del giudice del lavoro.
6. Anche ad ammettere che l’atto di esclusione dalla cooperativa fosse un atto composito (delibera di esclusione + licenziamento), osserva il Collegio che comunque la delibera di esclusione avrebbe dovuto essere impugnata nei termini di legge, ai sensi dell’art. 2 della legge n. 142 del 2001 innanzi al Tribunale delle Imprese (cfr. Cass. 18.5.2016 n. 10306; Cass. 3.9.2018 n. 21566): impugnazione che pacificamente non risulta effettuata nel caso di specie, con la conseguenza che, in virtù dell’orientamento sopra citato delle Sezioni Unite, nella valutazione della legittimità del licenziamento di competenza del giudice del lavoro non poteva tenersi conto del profilo restitutorio.
7. Certamente, quindi, la gravata sentenza deve essere cassata relativamente alla posizione del socio lavoratore D.M., per il quale è stata disposta dai giudici del merito anche la reintegrazione nel posto di lavoro.
8. Ma la impugnata pronuncia non è condivisibile neanche per le modalità della tutela risarcitoria adottate con riferimento al criterio di determinazione della relativa indennità di cui all’art. 18 dello Statuto dei lavoratori.
9. Infatti, se da un lato le Sezioni Unite di questa Corte (cfr. sentenza citata) hanno precisato che l’effetto estintivo determinato dalla delibera di esclusione non elimina l’illegittimità del licenziamento, che deve essere valutata da giudice del lavoro, permanendo comunque l’interesse del lavoratore a fare valere eventuali vizi del recesso (nel caso in esame la violazione delle garanzie procedimentali di cui all’art. 7 della legge n. 300 del 1970), dall’altro hanno sottolineato che la eventuale tutela risarcitoria deve essere modulata secondo i criteri di cui all’art. 8 della legge n. 604 del 1966, sempre dovuta quando il rapporto non si ripristini, laddove, rispetto al risarcimento, l’offerta datoriale di riassunzione contemplata dall’art. 8 corrisponde ad una proposta contrattuale di ricostituzione di nuovo rapporto (Cass. 24.2.2011 n. 4521; Cass. 26.2.2002 n. 2846).
10. Alla stregua di quanto esposto, il primo ed il secondo motivo vanno accolti nei sensi di cui in motivazione; la gravata sentenza deve essere cassata in relazione alle censure accolte e rinviata per un nuovo esame alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, che si atterrà ai principi sopra ribaditi e provvederà anche alla determinazione sulle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il primo ed il secondo motivo nei sensi di cui in motivazione; cassa la sentenza in relazione alle censure accolte e rinvia alla Corte di appello di Milano, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.
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