CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 23 gennaio 2019, n. 1759
Tributi – Omesso versamento di imposte – Avvisi di accertamento divenuti definitivi – Cartella di pagamento – Sentenza di annullamento delle sanzioni per responsabilità del professionista incaricato – Nullità della sentenza per ultrapetizione
Fatti di causa
L’Agenzia delle Entrate ha impugnato la sentenza n. 332/38/10, depositata il 4.11.2010 dalla Commissione Tributaria Regionale del Lazio.
Ha riferito che a seguito di notifica della cartella di pagamento, con la quale il concessionario alla riscossione richiedeva a D.P.A. il pagamento di € 178.093,00 a titolo di somme iscritte a ruolo per intervenuta definitività degli atti di accertamento relativi ai periodi d’imposta 1997/1999, il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla Commissione Tributaria Provinciale di Roma, invocando l’applicazione dell’art. 1 della l. n. 423 del 1995 al fine di richiedere l’esclusione delle sanzioni per responsabilità del professionista incaricato di eseguire i versamenti delle imposte.
Il giudice provinciale rigettava il ricorso con sentenza n. 161/16/2008.
L’adita Commissione Tributaria Regionale, con la sentenza ora impugnata, accoglieva l’appello del contribuente.
L’Agenzia censura la pronuncia con tre motivi:
con il primo per violazione e falsa applicazione dell’art. 1 co. 1 della l. n. 423 del 1995, nonché dell’art. 6 del d.lgs. n. 472 del 1997, in relazione all’art. 360 co. 1, n. 3 c.p.c., per aver posto a fondamento dell’annullamento delle sanzioni l’art. 1 della I. 423 cit., laddove la norma disciplina solo la sospensione della riscossione delle sopratasse e pene pecuniarie, non invece l’annullamento, previsto dall’art. 6, co. 3 del d.lgs. n. 472 del 1997;
con il secondo per insufficiente motivazione per l’apodittica assunzione del nesso tra il mancato versamento delle imposte e la condotta penalmente rilevante del professionista incaricato;
con il terzo per violazione degli artt. 57 e 19 del d.lgs. n. 546 del 1992, invocando la nullità della sentenza per ultrapetizione, nonché per aver deciso con riferimento alla cartella di pagamento su questioni riguardanti invece gli avvisi di accertamento divenuti definitivi, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 c.p.c.
In conclusione ha chiesto la cassazione della sentenza con ogni conseguente statuizione.
Il D.P., nei cui confronti, con ordinanza collegiale emessa all’esito dell’udienza pubblica del 27.01.2017, è stato disposto il rinnovo della notifica presso il domicilio eletto, non si è costituito.
Ragioni della decisione
Deve prioritariamente esaminarsi il terzo motivo di ricorso, con il quale l’Ufficio si duole della nullità della sentenza per aver deciso ultra petita.
In particolare l’Agenzia ha denunciato che il giudice regionale, investito dal contribuente della sola domanda di annullamento della cartella di pagamento al fine di <<dar corso alla procedura di sospensione della riscossione di cui all’art. 1 co. 2 della l. n. 423/95>>, ha invece annullato le sanzioni.
Il motivo è fondato e va pertanto accolto.
Sulla questione deve riconoscersi il diverso più ampio oggetto della disciplina prevista dalla norma citata rispetto a quanto regolato dall’art. 6 co. 3 del d.lgs. n. 472 del 1997. L’art. 1 della l. n. 423 prevede la sospensione della riscossione per l’ipotesi che la violazione fiscale, formalmente riferibile al contribuente, consegua alla condotta illecita, penalmente rilevante, del professionista cui il contribuente aveva dato incarico di pagamento delle tasse, con una dettagliata disciplina che prevede l’annullamento delle sanzioni per l’ipotesi in cui con pronuncia penale definitiva sia riconosciuta la responsabilità del professionista. L’art. 6 co. 3 del d.lgs. n. 472 del 1997 dispone invece più semplicemente che <<II contribuente, il sostituto e il responsabile d’imposta non sono punibili quando dimostrano che il pagamento del tributo non è stato eseguito per fatto denunciato all’autorità giudiziaria e addebitabile esclusivamente a terzi>>.
Ai sensi dell’art. unico della l. 423 si individua pertanto una fattispecie cautelare, che prevede la sospensione della riscossione delle sanzioni per l’ipotesi in cui il professionista incaricato dal contribuente del versamento delle imposte si sia appropriato delle somme e non abbia provveduto al versamento. Prevede poi l’annullamento delle sanzioni (con commutazione a carico del professionista) qualora il procedimento penale nei confronti del professionista si sia concluso con l’accertamento definitivo della sua responsabilità (o con provvedimenti analoghi, mentre, per l’ipotesi di definizione del processo penale ai sensi degli artt. 425 o 529 c.p.p., la sospensione non perde efficacia ma è necessario che il contribuente dimostri di aver promosso il giudizio civile entro tre mesi dal provvedimento penale).
È allora evidente che già per la fase cautelare della sospensione è comunque necessario che il contribuente dimostri, oltre che la denuncia presentata nei confronti del professionista infedele, anche che abbia versato a questi la provvista per il pagamento dei tributi. Ai fini dell’annullamento delle sanzioni è invece necessaria la condanna definitiva (o i provvedimenti ritenuti equipollenti).
La giurisprudenza di legittimità, consapevole del pericolo di ingiustificata disparità di tutele tra la normativa ora esaminata e l’art. 6 del d.lgs. n. 472 cit., ha affermato che l’art. 1 della l. n. 423 cit., il quale, in tema di violazioni delle leggi tributarie, prevede la sospensione della riscossione delle soprattasse e delle pene pecuniarie (per omesso, insufficiente o ritardato versamento d’imposta) qualora la violazione consegua alla condotta illecita, penalmente rilevante, di professionisti ivi indicati, va interpretato – al fine di evitare ingiustificate disparità di trattamento ed in coerenza con quanto previsto dal sopravvenuto art. 6 del d.lgs. n. 472 – nel senso che la non debenza delle anzidette soprattasse e pene pecuniarie non è subordinata al rispetto degli adempimenti procedurali (istanza di sospensione da parte del contribuente, denuncia del reato all’autorità giudiziaria, ecc.) previsti dalla medesima menzionata legge n. 423 del 1995, e che le condizioni obiettive richiamate dalla legge stessa possono essere fatte valere anche in sede di impugnazione dell’atto impositivo, o chiedendo la restituzione di quanto già versato, e fornendo la prova della sussistenza delle anzidette circostanze direttamente in sede di giudizio tributario (Cass., sent. n. 17578/2002; 26850/2007; 14026/2009).
Ciò tuttavia implica che il contribuente abbia comunque richiesto l’annullamento delle pene medesime. Qualora egli a ciò non abbia provveduto, ad esempio perché abbia azionato la mera tutela cautelare in quanto il procedimento penale non abbia avuto ancora inizio o non sia stato definito con pronuncia passata in giudicato, non può esservi una pronuncia di annullamento, non sussistendone peraltro neppure i presupposti.
Ebbene, nel caso di specie è stato lo stesso D.P. che, in sede di appello, ha chiesto l’annullamento della cartella, emanata dopo la conseguita definitività degli avvisi di accertamento (evidentemente non opposti), ma pur sempre in pendenza del processo penale a carico dell’infedele professionista, nei confronti del quale vi era una sentenza di condanna, tuttavia non ancora definitiva. La richiesta di annullamento dell’atto era finalizzata espressamente a dar corso alla procedura di sospensione della riscossione. Nessuna domanda era invece rivolta all’annullamento delle sanzioni.
La statuizione del giudice regionale, che invece con la sentenza impugnata ha annullato le sanzioni, è viziata da ultrapetizione. Ciò, a parte la circostanza che mancavano i presupposti per l’annullamento medesimo per assenza di un giudicato penale di affermazione della responsabilità del professionista denunciato, vizia la sentenza, che pertanto è nulla.
L’accoglimento del terzo motivo assorbe il primo e il secondo.
La sentenza va pertanto cassata, dichiarandone la nullità, e rinviata alla Commissione Regionale Tributaria del Lazio che, in diversa composizione, oltre che liquidare le spese del presente giudizio dovrà decidere nel merito tenendo conto di quanto chiarito.
P.Q.M.
Accoglie il terzo motivo, assorbito il primo e il secondo, cassa la sentenza e rinvia alla Commissione Tributaria Regionale del Lazio che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del presente giudizio.
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