CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 24 maggio 2018, n. 12941
Lavoro – Inquadramento – Sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato – Licenziamento – Impugnazione
Fatti di causa
1. Con sentenza depositata il 2.2.2016 la Corte di appello di Napoli ha accolto il reclamo proposto, ex art. 1, comma 58, legge n. 92 del 2012, dalla società N.G. s.r.l. respingendo la domanda di L.C.D.S. di accertamento della sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato dal novembre 2009 al settembre 2011 e l’inquadramento nel 1° livello di cui al CCNL settore Agenzie di viaggio, nonché respingendo la domanda di declaratoria di inefficacia del licenziamento e ripristino del rapporto di lavoro.
2. Avverso la sentenza, il D.S. propone ricorso per Cassazione, affidato a un motivo articolato in plurime censure. La società resiste con controricorso.
3. In data 22.4.2016 il ricorrente ha presentato a questa Corte istanza di rimessione in termini per la rinnovazione della notifica del ricorso, istanza decisa con provvedimento di “non luogo a procedere” in considerazione della facoltà della parte di procedere alla nuova notifica.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo il ricorrente deduce “omessa, illogica e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. – erronea applicazione della legge Fornero – errata motivazione in merito alla prova del rapporto – errata e scorretta interpretazione del rapporto contrattuale intercorso – nullità della sentenza: errata applicazione delle norme di diritto e di cui all’art. 360 c.p.c. e lacunosità manifesta delle motivazioni addotte per la riforma della sentenza in primo grado” avendo la Corte territoriale, trascurato di attribuire rilievo alle risultanze istruttorie di parte ricorrente nonché erroneamente interpretato, ai sensi degli artt. 1362 e 1366 cod.civ., il contratto svolto tra le parti, come dimostrato chiaramente dalla configurazione del rapporto secondo un orario prestabilito, una retribuzione fissa mensile e una continuità della prestazione.
2. Sussistono plurimi profili di inammissibilità del ricorso.
Preliminarmente, va rilevato che: la sentenza della Corte distrettuale è stata comunicata alle parti il 3.2.2016; il ricorrente ha affidato all’Ufficio notifiche il ricorso per cassazione in data 2.4.2016 ed ha appreso, in data 21.4.2016, lo smarrimento dell’atto da parte del medesimo Ufficio (cfr. dichiarazione Ufficio UNEP); in data 22.4.2016 il ricorrente ha presentato a questa Corte istanza di rimessione in termini per la rinnovazione della notifica del ricorso, istanza decisa con provvedimento di “non luogo a procedere” in considerazione della facoltà della parte di procedere alla nuova notifica; il ricorso per cassazione è stato, dunque, nuovamente notificato in data 14.6.2016.
3. Ritenuto che l’imputabilità della mancata notifica del ricorso in cassazione non può essere ricondotta al ricorrente in considerazione dello smarrimento dell’atto da parte dell’Ufficio preposto alle notifiche, va, peraltro, richiamato il principio espresso da questa Corte (Cass. Sez.U. n. 17352 del 2009) secondo cui “Nel caso in cui la notificazione di un atto processuale da compiere entro un termine perentorio non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, quest’ultimo, ove se ne presenti la possibilità, ha la facoltà e l’onere di richiedere la ripresa del procedimento notificatorio, e la conseguente notificazione, ai fini del rispetto del termine, avrà effetto fin dalla data della iniziale attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un tempo ragionevolmente contenuto, tenuti anche presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per venire a conoscenza dell’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie”.
Condizione per ritenere iniziato il procedimento notificatorio sin dalla data in cui è stata richiesta la notifica è, dunque, la tempestiva iniziativa della parte istante, la quale deve riavviare autonomamente e immediatamente il processo notificatorio, appena avuto notizia dell’esito negativo della notificazione, senza possibilità di chiedere una preventiva autorizzazione del giudice. Ciò sia perché questa subprocedura allungherebbe ulteriormente i tempi processuali, sia perché non sarebbe neanche utile al fine di avere una previa valutazione certa circa la sussistenza delle condizioni per la ripresa del procedimento di notificazione, in quanto si tratterebbe solo di una valutazione preliminare effettuata non in sede decisoria e per di più in assenza del contraddittorio con la controparte interessata” (Cass. Sez. U. n. 17352 del 2009, cit.; il principio è stato ribadito dalle sezioni semplici: Cass., n. 20830 del 2013 e Cass. n. 19060 del 2015).
Il limite massimo del tempo necessario per riprendere e completare il processo notificatorio in materia di impugnazioni (una volta avuta notizia dell’esito negativo della prima richiesta) è stato individuato “in misura pari alla metà del tempo indicato per ciascun tipo di atto di impugnazione dall’art. 325, cod.proc.civ.”, scansione di tempo ritenuta ragionevole per la risoluzione dei problemi derivanti da difficoltà nella notifica (Cass. Sez. U. n. 14594 del 2016). Va rilevato che il termine di 60 giorni previsto dall’art. 325 cod.proc.civ. per la proposizione del ricorso in Cassazione coincide con il lasso di termine previsto dall’art. 1, comma 62, della legge n. 92 del 2012 per impugnare, in Cassazione, la sentenza emessa in sede di reclamo. Il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite circa il dimezzamento dei termini per la ripresa del processo notificatorio può, dunque, operare pienamente anche con riguardo all’impugnazione ai sensi dell’art. 1 citato.
4. Nel caso di specie il requisito dell’immediatezza del rinnovo del processo notificatorio è carente, posto che, tempestivamente notificato il ricorso per cassazione, il rinnovo della notifica, poi andato a buon fine, è stato richiesto – dal ricorrente – ben oltre 30 giorni successivi.
5. Il ricorso è, pertanto, inammissibile pertardività della notifica.
6. Peraltro, il ricorso risulta inammissibile anche in quanto la sentenza in esame (pubblicata dopo rii settembre 2012) ricade, ratione temporis, nel regime risultante dalla modifica dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod.proc.civ. ad opera dell’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, nella legge 7 agosto 2012, n. 134, il quale prevede che la decisione può essere impugnata per cassazione “per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti“. L’intervento di modifica del n. 5 dell’art. 360 cod.proc.civ., come interpretato dalle Sezioni Unite di questa Corte (sentenza n. 8053/2014), comporta una sensibile restrizione dell’ambito di controllo, in sede di legittimità, sulla motivazione di fatto, dovendosi interpretare, la norma, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione.
Ebbene, la sentenza impugnata ha affrontato, con argomenti logici e coerenti, tutti i profili oggetto delle censure avanzate dal ricorrente, rilevando, alla luce delle deposizioni rilasciate dai testimoni indotti dal lavoratore, che “Non sono rinvenibili, perché non provati, i requisiti sintomatici essenziali che possono qualificare un rapporto di lavoro subordinato”, mancando, “in particolare, la prova dell’elemento distintivo della subordinazione” ossia “la sottoposizione del lavoratore al potere organizzativo, direttivo e disciplinare del datore di lavoro”. La Corte distrettuale ha sottolineato che i due testimoni escussi erano entrati solamente “due o tre volte” (il teste Toscano, mentre il teste S. non era mai entrata) nell’agenzia turistica ove il D.S. deduceva di aver svolto l’attività lavorativa, concludendo che “Stante l’assenza di un contratto di lavoro, dalle risultanze istruttorie per testi emerge un quadro probatorio piuttosto frammentario e assai lacunoso, da cui è ben difficile estrapolare con ragionevole certezza la sussistenza di una vera e propria subordinazione”. In applicazione della regola finale di giudizio espressa dall’art. 2697 cod.civ., la Corte – in assenza di elementi di prova in ordine alla soggezione del D.S. a precisi vincoli di orario e di presenza, alla necessità di giustificare eventuali assenze o ritardi, all’esercizio del potere gerarchico e disciplinare da parte del datore di lavoro – ha escluso la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra le parti e, conseguentemente, la configurazione di un licenziamento.
Non è, quindi, ravvisabile alcuna lacuna o contraddizione motivazionale secondo il parametro del c.d. minimo costituzionale attualmente imposto dal novellato art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.
7. In realtà, non può sottacersi che le svolte censure si traducono in critiche ed obiezioni avverso la valutazione delle risultanze istruttorie quale operata dal giudice del merito nell’esercizio del potere di libero e prudente apprezzamento delle prove a lui demandato dall’art. 116 cod.proc.civ. e si risolvono altresì nella prospettazione del risultato interpretativo degli elementi probatori acquisiti, ritenuto dal ricorrente corretto ed aderente alle suddette risultanze, con involgimento, così, di un sindacato nel merito della causa non consentito in sede di legittimità (cfr. in motivazione, ex plurimis, Cass. 21 ottobre 2014 n. 22283).
Per consolidato orientamento di questa Corte, invero, tale sindacato è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (in termini, Cass. SS.UU. n. 24148/2013, Cass. SS.UU.4 n. 26242/2014).
Il ricorrente, nella specie, pur denunciando, apparentemente, l’erronea applicazione delle disposizioni di legge dettate in materia di interpretazione degli atti negoziali (peraltro mancando un atto negoziale da interpretare) nonché una deficiente motivazione della sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perché in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto. La valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle fra esse ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati in via esclusiva al giudice di merito, il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere peraltro tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale ovvero a confutare qualsiasi deduzione difensiva.
8. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Le spese di lite seguono il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ.
9. Ricorrono le condizioni richieste dall’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002 per il pagamento dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 4.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13.
Possono essere interessanti anche le seguenti pubblicazioni:
- CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 524 depositata l' 11 gennaio 2023 - Il credito al trattamento di fine rapporto, se, in effetti, è esigibile soltanto con la cessazione del rapporto di lavoro subordinato, matura (ed è, come tale, certo nell’an e…
- Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza n. 8486 depositata il 28 marzo 2024 - L'impugnazione incidentale tardiva è ammissibile anche quando rivesta le forme dell’impugnazione adesiva rivolta contro la parte destinataria dell’impugnazione…
- CORTE DI CASSAZIONE - Sentenza 13 maggio 2021, n. 12941 - Costituisce una domanda nuova, inammissibile se formulata in corso di causa, quella che abbia ad oggetto l'applicazione della tutela reale di cui all'art. 18 della legge n. 300 del 1970,…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 24 gennaio 2020, n. 1685 - In materia di richiesta di restituzione dell'indennità di disoccupazione agricola, laddove sia disconosciuta la sussistenza di un rapporto subordinato in agricoltura, grava sul lavoratore…
- CORTE DI CASSAZIONE - Ordinanza 28 ottobre 2020, n. 23768 - In tema di contratto di lavoro a progetto, il regime sanzionatorio articolato dall'art. 69 del d.lgs. n. 276 del 2003, pur imponendo in ogni caso l'applicazione della disciplina del rapporto…
- CORTE di CASSAZIONE, sezione lavoro, sentenza n. 2529 depositato il 26 gennaio 2024 - Il collegamento economico-funzionale tra imprese gestite da società del medesimo gruppo non è, di per sé solo, sufficiente a far ritenere che gli obblighi inerenti ad…
RICERCA NEL SITO
NEWSLETTER
ARTICOLI RECENTI
- Il potere di disapplicazione delle sanzioni per vi
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con l’ordinanza n. 2604 deposi…
- Legittimo il licenziamento per frasi o commenti of
La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con l’ordinanza n. 12142 depositat…
- E’ possibile esercitare l’opzione, da
La Corte di Cassazione, sezione tributaria, con la sentenza n. 12395 depositata…
- Il legale rappresentante indagato del reato presup
La Corte di Cassazione, sezione penale, con la sentenza n. 13003 depositata il 2…
- Ammissibile l’impugnazione incidentale tardi
La Corte di Cassazione, sezioni unite, con la sentenza n. 8486 depositata il 28…