CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 gennaio 2019, n. 2231
Infortunio sul lavoro – Indennità temporanea assoluta – Responsabilità
Fatti di causa
1. Il Tribunale di Prato, con sentenza del 1° ottobre 2013, ha dichiarato la responsabilità della Società G. C. Srl per l’infortunio sul lavoro occorso a D. R. in data 19 marzo 1998 ed ha condannato la convenuta al pagamento in favore dell’attore della somma complessiva pari ad euro 68.497,33, oltre accessori e spese di lite, queste ultime compensate nella misura dell’80%.
In ordine alla quantificazione del danno il giudice monocratico, applicando le tabelle del Tribunale di Milano, ha liquidato euro 14.544,00 per “l’indennità temporanea assoluta”, euro 36.829,00 per l’invalidità permanente al 14%, euro 17.124,33 per “le sofferenze ed il dolore patito”.
L’accoglimento della domanda per un importo “notevolmente inferiore rispetto a quanto richiesto nel ricorso” (ca. 600.000 euro) ha indotto il giudicante alla compensazione parziale delle spese nella misura innanzi indicata.
2. La Corte d’Appello di Firenze, con ordinanza ex art. 348 bis c.p.c. del 17 marzo 2015, ha dichiarato inammissibile l’appello proposto da D. R. avverso la sentenza di primo grado, condannandolo altresì alle spese.
3. Per la cassazione della sentenza del Tribunale il soccombente ha proposto ricorso con 3 motivi cui ha resistito la società con controricorso.
Entrambe le parti hanno comunicato memorie ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Il ricorso risulta in radice inammissibile.
Infatti secondo la giurisprudenza di questa Corte (per tutte, v. Cass., ord. 17 aprile 2014, nn. 8940 a 8943, alle cui ampie argomentazioni ci si richiama), nel ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, proponibile ai sensi dell’art. 348-ter, terzo comma, c.p.c., l’atto d’appello, dichiarato inammissibile, e la relativa ordinanza, pronunciata ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c., costituiscono requisiti processuali speciali di ammissibilità, con la conseguenza che, ai sensi dell’art. 366, n. 3, c.p.c., è necessario che nel suddetto ricorso per cassazione sia fatta espressa analitica menzione almeno dei motivi di appello, ma anche della motivazione dell’ordinanza ex art. 348- bis c.p.c., al fine di evidenziare l’insussistenza di un giudicato interno sulle questioni sottoposte al vaglio del giudice di legittimità e già prospettate al giudice del gravame (in tale ultimo senso v. pure: Cass., ord. 15 maggio 2014, n. 10722; Cass., ord. 9 giugno 2014, n. 12936; Cass., ord. 18 marzo 2015, n. 5341; Cass. 7 maggio 2015, n. 9241; Cass. Sez. Un., 27 maggio 2015, n. 10876; Cass. 10 luglio 2015, n. 14496; Cass. 21 luglio 2015, nn. 15240 e 15241; Cass. 21 ottobre 2015, n. 21322; Cass. 10 dicembre 2015, n. 24926; Cass. 23 febbraio 2016, n. 3532; Cass. 24 febbraio 2016, nn. 3560 e 3678; Cass., ord. 18 marzo 2016, n. 5365; Cass., ordd. 10 maggio 2016, nn. 9441 e 9443; Cass., ordd. 12 maggio 2016, nn. 9799 e 9800).
In sostanza, la necessità di compiuta identificazione dell’ambito del giudicato interno derivante dai limiti dell’impugnativa mediante l’appello continua ad esigere, stando alla giurisprudenza su richiamata ed avallata dalle Sezioni Unite di questa Corte, la puntuale indicazione dei motivi di appello e della motivazione dell’ordinanza di secondo grado, quale contenuto essenziale del ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado.
Si è altresì chiarito che l’onere di indicare i motivi di appello e la motivazione dell’ordinanza ex art. 348- bis c.p.c. non si pone in contrasto con l’art. 6 CEDU, in quanto esso è imposto in modo chiaro e prevedibile (risultando da un indirizzo giurisprudenziale di legittimità ormai consolidato), non è eccessivo per il ricorrente e risulta, infine, funzionale al ruolo nomofilattico della Suprema Corte, essendo volto alla verifica in ordine alla mancata formazione di un giudicato interno (Cass. n. 26936 del 2016).
Nella specie il ricorso per cassazione avverso la sentenza di primo grado, proposto ai sensi dell’art. 348-ter, comma 3, c.p.c., senza in alcun modo misurarsi con le peculiarità del rito imposte dalla formulazione di tale disposizione oltre che dalla giurisprudenza di questa Corte in materia, non contiene gli indispensabili e completi contenuti dei motivi e delle argomentazioni dell’appello, se non inadeguati e generici riferimenti, per cui va dichiarato inammissibile.
2. Le spese per legge seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo. Occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in euro 3.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso spese forfettario al 15% ed accessori secondo legge.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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