CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 25 maggio 2018, n. 13179
Lavoro – Contratti a tempo determinato – Risoluzione del rapporto per mutuo consenso – Prova
Fatti di causa
1. La Rete Ferroviaria spa ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, nei confronti di L. S., avverso la sentenza n. 18/2016 della Corte di appello di Messina che, in parziale riforma della pronuncia del Tribunale della stessa sede, previa conferma della declaratoria di illegittimità dei contratti di arruolamento intercorsi tra le parti dal 1995 al 2008, perché non era stato indicato il “viaggio” o i “viaggi” da compiere, ha condannato la società a corrispondere anche le retribuzioni dovute dalla pronuncia di primo grado, detratto l’aliunde perceptum, oltre all’indennità già disposta ex art. 32 legge n. 183/2010 quantificata in 12 mensilità.
2. L. S. ha resistito con controricorso.
3. Le parti hanno depositato memorie ex art. 378 c.p.c.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso la società denunzia la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1362 e ss cc, dell’art. 1372 cc e dell’art. 2697 cc, nonché degli artt. 110 e 115 c.p.c., ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c., per non avere rilevato i giudici del merito l’intervenuta risoluzione del rapporto per mutuo consenso in ragione del comportamento concludente delle parti.
2. Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 32 legge n. 183/2010, in relazione all’art. 360 comma 1 n. 3 c.p.c., per non avere correttamente valutato i giudici del merito i criteri di liquidazione indicati dall’art. 8 della legge n. 604/1966 nella determinazione in 12 mensilità dell’indennità onnicomprensiva.
3. Con il terzo motivo si duole della violazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione all’art. 360 1° comma n. 3 c.p.c., per la disposta condanna in seconde cure al pagamento delle spese giudiziali pur non essendo risultata soccombente totale perché anche l’appello incidentale del lavoratore era stato solo parzialmente accolto.
4. Il primo motivo non è fondato alla stregua delle considerazioni di Cass. n. 29781 del 2017, sulla scorta del recente arresto delle Sezioni unite civili rappresentato dalla sentenza n. 21691 del 27 ottobre 2016 (punti 55, 56, 57, 58). In tale ultima pronuncia, premesso il dato normativo dell’art. 1372, co. 1, c.c., secondo cui il contratto può essere sciolto “per mutuo consenso”, si è rammentato l’insegnamento in base al quale, salvo che non sia richiesta la forma scritta ad substantiam, il mutuo consenso sullo scioglimento del rapporto può essere desumibile da comportamenti concludenti. Con specifico riferimento al caso dei contratti a tempo determinato detta sentenza, avallato l’orientamento giurisprudenziale in base al quale la durata rilevante del comportamento omissivo del lavoratore nell’impugnare la clausola che fissa il termine può considerarsi “indicativa della volontà di estinguere il rapporto di lavoro tra le parti” ove “concorra con altri elementi convergenti”, ha statuito che “il relativo giudizio attiene al merito della controversia”. Si tratta di una conclusione del tutto coerente con una risalente giurisprudenza di legittimità, mai smentita nel corso degli anni, secondo la quale l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del vincolo contrattuale costituisce apprezzamento di merito che, se immune da vizi logici e giuridici e adeguatamente motivato, si sottrae al sindacato di legittimità (ab imo v. Cass. n. 1037 del 1968; conf. a Cass. n. 2302 del 1953).
5. Deriva come inevitabile conseguenza metodologica che, se l’accertamento della sussistenza di una concorde volontà delle parti diretta allo scioglimento del contratto costituisce un giudizio di fatto condotto dal giudice del merito, esso è sindacabile in sede di legittimità nei limiti in cui un tale apprezzamento di merito può esserlo in base alle rigorose regole imposte dalla disciplina del vizio che -secondo i dettami dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., tempo per tempo vigente- può colpire la ricostruzione di ogni vicenda storica che preceda il contenzioso giudiziale.
6. Ciò posto, laddove il giudice intenda desumere da fatti noti l’esistenza di una comune volontà delle parti tesa allo scioglimento del contratto, per il tramite di una inferenza logica, troveranno applicazione gli artt. 2727 e 2729 c.c., così come interpretati da una consolidata giurisprudenza che ha stabilito i fondamenti ed i limiti del ricorso alla prova presuntiva (per una estesa ricognizione v. Cass. n. 5787 del 2014). Da tali principi deriva che, in tema di prova presuntiva del mutuo consenso tacito, spetta innanzi tutto al giudice del merito valutare l’opportunità di fare ricorso alle presunzioni, individuare i fatti certi da porre a fondamento del relativo processo logico, apprezzarne la rilevanza, l’attendibilità e la concludenza al fine di saggiarne l’attitudine, anche solo parziale o potenziale, a consentire inferenze logiche circa l’esistenza ignota di una comune volontà risolutoria; indi compete sempre al giudice del merito procedere ad una valutazione complessiva di tutti gli elementi indiziari precedentemente selezionati ed accertare se essi siano concordanti e se la loro combinazione, e non piuttosto una visione parcellizzata di essi, sia in grado di fornire una valida prova presuntiva tale da ingenerare il convincimento in ordine all’esistenza o, al contrario, all’inesistenza di uno scioglimento del contratto per mutuo consenso.
7. In particolare chi censura un ragionamento presuntivo non può limitarsi a prospettare, così come escluso in tutti i casi in cui viene sottoposta a questa Corte l’interpretazione di una volontà negoziale (tra molte: Cass. n. 11756 del 2006; Cass. n. 17067 del 2007; Cass. n. 9070 del 2013; Cass. n. 12360 del 2014), l’ipotesi di un convincimento diverso da quello espresso dal giudice del merito, ma deve far emergere l’assoluta illogicità e contraddittorietà del ragionamento decisorio (in termini, Cass. n. 10847/2007 cit.) e, nel vigore del novellato art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c., l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, così come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 e 8054 del 2014.
8. Tanto premesso, nel caso sottoposto all’attenzione del Collegio, il giudice del fatto ha considerato che “dopo il contratto del settembre 1995 … il marittimo è stato nuovamente chiamato al lavoro ed ha stipulato con la stessa società contratti a viaggio ovvero a tempo determinato per molti degli anni trascorsi dal 1996 al 2008 … non risulta inoltre che egli abbia conseguito altra stabile occupazione, ovvero abbia rifiutato una o più chiamate al lavoro … in tale contesto non sono indicative né l’accettazione del trattamento di fine rapporto, né la mancata offerta della prestazione, alla luce delle modalità della conclusione del rapporto e della reiterazione continua dei rapporti di lavoro a tempo determinato … in definitiva non vi sono elementi probatori, né circostanze significative per ritenere che vi sia stata una volontà anche tacita di porre fine definitivamente al rapporto”.
9. Per dirla con le Sezioni unite civili in premessa ricordate: “il giudizio di merito si chiude qui”. Le censure proposte dalla società, da un lato, non investono omissioni del discorso giustificativo su fatti realmente decisivi della controversia, intesi come idonei a determinare un diverso esito della lite con giudizio di certezza, e non di mera probabilità o possibilità, e, d’altro canto, si infrangono contro la palese sussistenza, nella sentenza impugnata, dei requisiti strutturali dell’argomentazione, mentre le doglianze si sostanziano nel ripercorrere criticamente il ragionamento decisorio svolto dal giudice a quo, sicché incidono sull’intrinseco delle opzioni nelle quali propriamente si concreta il giudizio di merito, risultando per ciò stesso estranee all’ambito meramente estrinseco entro il quale è circoscritto il giudizio di legittimità.
10. Il secondo motivo è infondato.
11. La Corte di merito ha indicato le ragioni per le quali ha ritenuto corretta la determinazione in dodici mensilità dell’indennità di cui all’art. 32 cit. individuandole, da un lato, nelle dimensioni aziendali e, dall’altro, nel numero dei contratti stipulati tra le parti e nell’anzianità del lavoratore. Si tratta all’evidenza di una corretta applicazione dei criteri di cui al citato art. 8 della legge n. 604/1966 involgente, peraltro, valutazioni di merito che non possono essere sindacate in questa sede (Cass. 22.1.2014 n. 1320; Cass. 5.3.2014 n. 5198; Cass. 17.3.2014 n. 6122; Cass. 8.9.2014 n. 18902).
12. Il terzo motivo, infine, è anche esso infondato.
13. Corretta è stata la valutazione della Corte di merito che ha ritenuto, nel complesso, prevalente la soccombenza della società. Va ricordato che, come ripetutamente affermato da questa Corte, non è neppure sufficiente a supportare una pronuncia di compensazione delle spese la mera riduzione della domanda, permanendo comunque una sostanziale soccombenza della controparte che deve essere adeguatamente riconosciuta anche sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese (cfr. Cass. 11.2.2016 n. 2709; Cass. 23.1.2012 n. 901; Cass. 8.3.2010 n. 5598). Del resto il criterio di valutazione della prevalenza della soccombenza non può essere basato sul numero delle domande accolte o respinte per ciascuna delle parti ma comporta una valutazione nel suo complesso dell’oggetto della lite (cfr. Cass. 24.1.2013 n. 12703). Egualmente il rigetto tanto dell’appello principale quanto di quello incidentale (e nella specie l’appello incidentale è stato anche parzialmente accolto) non obbliga il giudice a disporre la compensazione totale o parziale delle spese processuali, il cui regolamento, fuori delle ipotesi di violazione del principio di soccombenza per essere stata condannata la parte totalmente vittoriosa, è rimesso anche per quanto riguarda la loro compensazione, al potere discrezionale del giudice di merito (Cass. 2.7.2008 n. 18173; Cass. 23.5.1980 n. 3450).
14. Alla stregua di quanto esposto il ricorso va rigettato.
15. Al rigetto del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti, come da dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità che liquida in euro 4.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
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