CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 giugno 2018, n. 17175
Tributi – Accertamento – Reddito d’impresa – Dichiarazione – PVC – Contenzioso tributario
Fatti di causa
Con ricorso ritualmente notificato all’Agenzia delle Entrate- Ufficio di Paola, la Negozio s.r.l. impugnava dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Cosenza l’avviso di accertamento n. RH203A100181/102 relativo all’anno 2003 notificatole in data 5.11.2005 ed avente ad oggetto l’accertamento del maggior reddito di impresa ai fini IRPEG, IRAP ed IVA oltre sanzioni ed interessi, chiedendone la dichiarazione di nullità e/o l’annullamento in quanto basato su un processo verbale di verifica fiscale giuridicamente inesistente per difetto di notifica ai sensi dell’art. 140 c.p.c. e l’Infondatezza ed l’illegittimità nel merito. Si costituiva l’Agenzia delle Entrate di Paola chiedendo il rigetto del ricorso.
La Commissione Tributarla Provinciale di Cosenza con sentenza n. 288/2/2006 in data 7.1.2008 rigettava il ricorso confermando la legittimità dell’atto impugnato.
Interposto appello avverso detta pronuncia, la Commissione Tributaria Regionale con sentenza n. 458/08/10 del 5.10.2010 rigettava il gravame compensando le spese del giudizio.
Avverso detta pronuncia la Negozio s.r.l. proponeva ricorso per cassazione articolato in tre motivi cui resisteva con controricorso l’Agenzia delle Entrate.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso rubricato “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e/o omessa, insufficiente e/o erronea motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 comma 1 n. 5 c.p.c.; omessa, insufficiente e/o erronea pronuncia e vizio di motivazione della sentenza in relazione a tutti i motivi di impugnazione, violazione dell’art. 36 del d.lgs. n. 546 del 1992, violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c. e dell’art. 116 disp. att. c.p.c.” parte ricorrente deduce che la sentenza impugnata nel rigettare l’appello non espone adeguatamente le ragioni di diritto della decisione limitandosi ad un rinvio per relationem alle ragioni poste a fondamento della sentenza di primo grado e senza fornire una risposta alle censure formulate nell’atto di appello.
Con il secondo motivo di ricorso parte ricorrente deduce la nullità della sentenza ex art. 360 comma 1 n. 4 c.p.c. per violazione dell’art. 112 c.p.c. per non avere la sentenza impugnata fornito alcuna risposta alle doglianze mosse con l’atto di appello.
Con il terzo motivo di ricorso rubricato “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. e/o omessa, insufficiente e/o erronea motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ex art. 360 comma 1, n. 5 c.p.c.; omessa, insufficiente e/o erronea pronuncia e vizio di motivazione della sentenza in relazione a tutti i motivi di impugnazione, violazione degli artt. 36 e 53 del d.lgs. n. 546 del 1992, violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., dell’art. 112 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c. ” parte ricorrente deduce l’erroneità della sentenza impugnata laddove rigetta i motivi di appello in quanto gli stessi sarebbero una semplice reiterazione dei motivi di primo grado e sarebbero carenti di specificità.
I motivi di ricorso, da esaminarsi congiuntamente in quanto involgono questioni logicamente correlate, sono inammissibili.
Le doglianze svolte da parte ricorrente attingono la decisione della Commissione tributaria regionale, sia sotto il profilo della violazione di legge che sotto il profilo del difetto motivazionale, in quanto non avrebbe adeguatamente risposto ai motivi di appello.
Orbene, dalla lettura della sentenza impugnata si riscontra che il rigetto dell’impugnazione sarebbe fondato su due diverse “rationes decidendi”. In primo luogo il giudice del gravame, richiamando peraltro giurisprudenza a supporto, avrebbe ritenuto un difetto di specificità dei motivi di appello. Ed invero nella sentenza impugnata si legge che, la società contribuente con i motivi di appello si limita a reiterare le doglianze già esposte in primo grado riproducendo le ragioni e circostanze già dedotte ed argomentate aggiungendone delle nuove senza però contrapporre alle argomentazioni del giudice di prime cure le proprie argomentazioni tali da incrinare il fondamento logico giuridico delle prime”.
Dall’altra, la pronuncia che, ove avesse ritenuto assorbente tale rilievo avrebbe dovuto condurre ad una declaratoria di inammissibilità del ricorso, entra anche nel merito delle doglianze specificando che “nessuna decisione difforme dalla decisione appellata, che appare assolutamente ponderata, può essere emessa da questo giudice di appello” concludendo quindi con il rigetto del gravame.
Con riguardo alla doglianza afferente la pronuncia di inammissibilità dell’appello,va premesso che l’onere della indicazione specifica dei motivi di impugnazione, imposto a pena di inammissibilità del ricorso per cassazione dall’art. 366, comma 1, n. 4, c.p.c., qualunque sia il tipo di errore (in procedendo o in iudicando) per cui è proposto, non può essere assolto per relationem con il generico rinvio ad atti del giudizio di appello, senza la esplicazione del loro contenuto, essendovi il preciso onere di indicare, in modo puntuale, gli atti processuali ed i documenti sui quali il ricorso si fonda in modo da consentire al giudice di legittimità la possibilità di provvedere al diretto controllo della decisività dei punti controversi.
Nel caso di specie, invece, il ricorso per cassazione non reca la compiuta indicazione dei motivi di appello come redatti nell’atto di gravame ma si limita ad una loro indicazione riassuntiva di talché il ricorso deve ritenersi inammissibile.
Con riguardo alla doglianza afferente alla pronuncia di rigetto, va rilevato che “Qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilità (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnare; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata” (Cass. Sez. U. n. 3840/2007).
Ne deriva, pertanto, nel caso di specie l’inammissibilità del ricorso per i profili inerenti al merito della controversia.
Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile.
La regolamentazione delle spese del giudizio segue la soccombenza.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso;
condanna il ricorrente al pagamento delle spese di lite che liquida in Euro 7000,00 oltre alle spese prenotate a debito.
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