CORTE DI CASSAZIONE – Ordinanza 18 marzo 2022, n. 8821
Tributi – IVA – Cessione senza applicazione dell’imposta – Dichiarazione d’intento rilasciata dal cessionario – Obbligo del cedente di indagare sull’esistenza dei presupposti dell’esenzione – Esclusione
Rilevato che
1. In seguito a verifica effettuata, in data 22/6/2006, nei confronti della società E. s.r.l. con riguardo agli anni di imposta 2003 e 2004, furono notificati alla predetta, in data 9/1/2007, due distinti avvisi di accertamento, con i quali furono ripresi a tassazione ricavi dissimulati e costi indebitamente dedotti, oltre al recupero dell’Iva non detraibile e operazioni non dichiarate imponibili, e con i quali fu accertata la promiscuità della compagine sociale, uffici, sede e attività della stessa con altra società destinataria di fatture incrociate.
Impugnati i predetti atti dalla società con distinti ricorsi, la C.T.P. di Ragusa, previa loro riunione, con sentenza n. 327/1/09 accolse parzialmente le domande, dichiarando dovute all’erario le sole imposte derivanti dal disconoscimento dei costi ritenuti non inerenti per viaggi, trasferte e noleggio autovetture, oltre a sanzioni e interessi, ed escludendo le altre. La C.T.R., adita dall’Ufficio, confermò il predetto provvedimento con sentenza n. 30.18.13 depositata il 7/2/2013.
2. Contro la predetta sentenza l’Ufficio propone ricorso per cassazione sulla base di quattro motivi. La contribuente resiste con controricorso, illustrato anche con memoria.
Considerato che
1. Con il primo motivo di ricorso, si lamenta la nullità della sentenza per violazione degli artt. 132, secondo comma, n. 4, cod. proc. civ., e 118, disp. att. cod. proc. civ., e, per quanto concerne il processo tributario, dell’art. 36, comma 2, n. 4, d.lgs., 31 dicembre 1992, n. 546, per avere la C.T.R. deciso rinviando alla sentenza di primo grado e aggiungendo un generico inciso sul recupero, nella misura del 38%, delle note di credito inerenti i contratti di appalto, la compravendita dello scafo, così da non consentire di comprendere il percorso logico-giuridico seguito, ancorato alla categorica affermazione «con integrale richiamo».
2. Col secondo motivo si lamenta il difetto di motivazione su un punto decisivo della controversia ai sensi dell’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. del tutto disatteso le argomentate censure proposte nell’atto d’appello in merito alla mancata considerazione, da parte dei giudici di prime cure, degli elementi posti a base del recupero a tassazione, sia dei costi che dei rimborsi Iva non dovuti, trascurando punti decisivi per il giudizio.
3. Col terzo motivo, subordinato al precedente, si lamenta la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, n. 4, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. deciso senza tener conto delle eccezioni e deduzioni contenute nell’atto d’appello e riportate nel precedente secondo motivo, mediante riproduzione integrale dei motivi in esso contenuti.
4. Col quarto motivo, si lamenta la violazione dell’art. 2697 cod. civ., e dell’art. 39, secondo comma, lett. d), d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, e dell’art. 55, d.P.R. 1972, n. 633, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., per avere la C.T.R. violato la suddetta normativa con riferimento al riparto dell’onere della prova nell’accertamento induttivo, avendo richiamato la sentenza di primo grado senza richiedere al contribuente la prova contraria sugli elementi indicati dall’Ufficio.
5. Va innanzitutto disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso, sollevata dalla contribuente nella memoria depositata il 13/12/2021, per non avere l’Ufficio aggredito una delle rationes decidendi della sentenza, ossia quella nella quale era stata evidenziata la genericità dell’appello proposto.
Infatti, come questa Corte ha già avuto modo di affermare, il principio secondo cui, «qualora il giudice dopo una statuizione di inammissibilità, con la quale si è spogliato della “potestas iudicandi” in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere né l’interesse ad impugnarle; conseguentemente è ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed è viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta “ad abundantiam” nella sentenza gravata» (Cass., Sez. 2, 20/08/2019, n. 21514; Cass., Sez. L, 14/5/2004, n. 9243), vale quando la Corte territoriale abbia dichiarato l’appello inammissibile e, in motivazione, lo abbia ritenuto anche infondato con argomentazioni ad abundantiam, ma non anche quando, come nella specie, la Corte del gravame abbia rigettato l’appello, nel merito, per infondatezza dei motivi ed abbia altresì svolto, nella motivazione, argomenti ad abundantiam circa il difetto di specificità dei motivi di appello, intendendo con ciò rafforzare la propria decisione di mancato accoglimento del gravame con un’ulteriore ragione alternativa che tuttavia è rimasta fuori dalla decisione finale di rigetto, nel merito, dell’impugnazione (vedi, Cass., Sez.1, 25/9/2018, n. 22782; Cass. sez. 5, 29/10/2020, n. 23872; Cass., Sez. 5, 11/11/2021, n. 33294).
Pertanto, avendo la C.T.R. rigettato l’appello dopo avere esaminato il merito delle questioni proposte ed essendosi limitata a rilevarne anche la genericità quale ulteriore argomento, l’eccezione deve dirsi infondata.
6.1 I motivi, da trattare congiuntamente in ragione della stretta connessione, sono parte inammissibili e parte infondati.
Quanto alla prima e alla terza censura, con le quali viene dedotta la nullità della sentenza sotto il duplice profilo della motivazione apparente in ragione del rinvio per relationem alla sentenza di primo grado e dell’omesso esame della domanda e delle eccezioni proposte, deve evidenziarsi che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, non soltanto quando si esaurisca nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico” (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487) oppure, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento (Cass., Sez. U, 03/11/2016, n. 22232), ma anche quando tale anomalia si sia estrinsecata in una “motivazione apparente”, sussistente quando essa non sia espressione di un autonomo processo deliberativo, come in caso, appunto, di sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado (Cass. Sez. L, 25/10/2018, n.27112), la quale sussiste allorché il giudice d’appello, aderendo criticamente ad un provvedimento solo menzionato, si limiti a condividere la pronuncia di primo grado senza in alcun modo valutare l’infondatezza dei motivi di gravame (Cass., Sez. 3, 03/02/2021, n. 2397).
Tale situazione, tuttavia, non si verifica quando vi sia identità delle questioni prospettate in sede di gravame rispetto a quelle già esaminate in primo grado e il giudice d’appello, dando conto, sia pure sinteticamente, di tale circostanza, richiami la sentenza di primo grado che le aveva esaminate e disattese (vedi Cass., Sez. L, 05/11/2018, n. 28139; Cass., Sez. 1, 05/08/2019, n. 20883), non profilandosi, in tal caso, l’apparenza della motivazione.
Alla luce di tali principi, deve escludersi che, con riguardo al recupero dei costi iscritti a bilancio e al recupero a tassazione delle note di credito, la sentenza impugnata sia affetta dalla lamentata invalidità, posto che l’Ufficio aveva «incongruamente insistito nelle difese svolte in prime cure», come osservato dalla C.T.R., sicché la risposta ad esse, operata per relationem attraverso il richiamo alla ricostruzione in fatto e alle argomentazioni svolte dai primi giudici, previamente riprodotte in sentenza, ha costituito una conseguenza della riproposizione in appello, da parte dell’Ufficio, delle medesime argomentazioni già dedotte in primo grado, ciò che consente di escludere la nullità della sentenza e di affermare di conseguenza l’infondatezza della censura.
6.2 Con specifico riguardo alla censura afferente all’inapplicabilità dell’Iva sulla vendita dell’imbarcazione, se ne deve dichiarare l’inammissibilità, giacché l’Ufficio, nel lamentare l’omessa considerazione, da parte dei giudici di merito, della obiettata illegittimità della dichiarazione di intenti versata dalla società E. s.r.l. alla contribuente, non ha colto la ratio decidendi della impugnata, la quale non si è limitata ad affermare l’avvenuta ricezione, da parte della cedente, della predetta dichiarazione, ma ha ulteriormente osservato come nessun obbligo di indagare sull’esistenza dei presupposti dell’esenzione in capo al cessionario gravasse su quest’ultima.
6.3 Il secondo motivo è parimenti inammissibile.
Dopo la riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5), cod. proc. civ., disposta dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 (applicabile, ai sensi della predetta disposizione alle sentenze pubblicate dal giorno 11 settembre 2012, come quella in esame), infatti, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’art. 132, comma 2, n. 4, c.p.c. e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, e dunque di totale carenza di considerazione della domanda e dell’eccezione sottoposta all’esame del giudicante, il quale manchi completamente perfino di adottare un qualsiasi provvedimento, quand’anche solo implicito, di accoglimento o di rigetto, invece indispensabile alla soluzione del caso concreto, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass., Sez. U, 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. 5, 6/5/2020, n. 8487; Cass., Sez. 6 – 3, 08/10/2014, n. 21257; Cass., Sez. 6 – 3, 20/11/2015, n. 23828; Cass., Sez. 2, 13/08/2018, n. 20721; Cass., Sez. 3, 12/10/2017, n. 23940).
E detto fatto storico non può risolversi, come vorrebbe la contribuente, nella mancata, generica, considerazione, da parte dei giudici di merito, delle censure proposte in ordine agli elementi posti a base del recupero a tassazione, sia dei costi che dei rimborsi Iva non dovuti, dovendo esso essere inteso, a pena di inammissibilità, non soltanto come fatto principale ex art. 2697 cod. civ. (ossia fatto costitutivo, modificativo, impeditivo o estintivo) o secondario, purché controverso e decisivo (Cass., Sez. 1, 8/8/2016, n. 17761; Cass., Sez. 6, /10/2017, n. 23238), ma anche come preciso accadimento o precisa circostanza in senso storico-naturalistico, non assimilabile in alcun modo a questioni o argomentazioni (Cass., Sez. 5, 8/10/2014, n. 21152; Cass., Sez. 3, 20/8/2015, n. 17037; Cass., Sez. 1, 8/8/2016, m. 17761; Cass., Sez. 2, 29/10/2018, n. 27415), come accaduto nel caso in esame.
6.4 Quanto infine alla quarta censura, deve evidenziarsi come la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ. si configuri nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era gravata in applicazione di detta norma, non anche quando, a seguito di una incongrua valutazione delle acquisizioni istruttorie, abbia ritenuto erroneamente che la parte onerata avesse assolto tale onere, come nella specie, poiché in questo caso vi è un erroneo apprezzamento sull’esito della prova, sindacabile in sede di legittimità solo per il vizio di cui all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ. (in tal senso, Cass., Sez. L, 19/8/2020, n. 17313). Da qui l’inammissibilità del motivo.
7. In conclusione, deve dichiararsi l’infondatezza del ricorso. Le spese del giudizio, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza e devono essere poste a carico della ricorrente.
L’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. del 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge del 24 dicembre 2012, n. 228, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (Cass., sez. 6-L, 29/1/2016, n. 1778; Cass., sez. 5, 14/5/2020, n. 8914).
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 10.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
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