CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 28 giugno 2022, n. 20689
Licenziamento per giusta causa – Differenze retributive – Risarcimento del danno da mobbing aziendale – Allegazioni generiche – Rigetto
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Roma, con la sentenza n. 4995 del 2018, ha confermato la pronuncia del Tribunale della stessa sede che aveva respinto la domanda proposta da G. A. nei confronti della D. F. e Figli snc, di cui era dipendente, volta ad ottenere l’accertamento della illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato in data 2.8.2013 e di condanna al pagamento delle differenze retributive, nonché il risarcimento del danno da mobbing aziendale.
2. A fondamento della decisione i giudici di seconde cure hanno rilevato che: a) le allegazioni del ricorrente, in ordine alle pretese di lavoro notturno e straordinario, erano generiche e non consentivano di raggiungere la prova dello specifico svolgimento delle ore supplementari; b) anche in ordine alla domanda di risarcimento del danno da mobbing erano state omesse le allegazioni circostanziate di comportamenti vessatori e mortificanti, non proprie della dinamiche lavorative e ancor meno della riconducibilità ad un disegno unitario volto ad emarginare il dipendente; c) relativamente ad emolumenti goduti prima del passaggio alla società resistente, non erano state allegate le norme contrattuali che prevedevano le chieste indennità ovvero i presupposti che avrebbero giustificato il riconoscimento delle pretese; d) quanto alla legittimità del licenziamento, doveva ritenersi venuto meno il vincolo fiduciario in relazione all’episodio contestato e dimostrato (vendita sottobanco di una cassetta di salmone, ad un prezzo pari alla metà del valore intascando il relativo corrispettivo, ad uno dei clienti del proprio datore di lavoro).
3. Avverso la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per cassazione G. A. affidato a due unici motivi cui ha resistito con controricorso la D. F. e Figli srl.
4. Le parti hanno depositato memorie.
5. Il PG ha concluso con requisitoria scritta chiedendo l’inammissibilità del ricorso.
Ragioni della decisione
1. I motivi possono essere così sintetizzati.
2. Con il primo motivo il ricorrente denuncia il vizio di manifesta illogicità della motivazione per violazione dell’art. 132 co. 2 n. 4 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, per la illogicità del ragionamento della Corte territoriale che, dando credito alle deposizioni inattendibili dei testi, ha ritenuto plausibile il comportamento di vendere il pesce sottocosto ad un cliente abituale del suo datore di lavoro, anziché ad uno estraneo, con il quale sarebbe certamente stata esclusa la possibilità di portare la circostanza a conoscenza del titolare.
3. Con il secondo motivo si censura la violazione dell’art. 115 cpc, in relazione all’art. 360 co. 1 n. 4 cpc, avendo i giudici di seconde cure erroneamente dedotto che l’asserita non chiara espressione allegata dal ricorrente (“non sempre retribuito nella sua effettività”) si riferisse al lavoro notturno, mentre risultava inequivocamente che si riferisse allo straordinario e, inoltre, qualora l’assunto fosse stato esatto, avendo la Corte di merito erroneamente ravvisato che le allegazioni di esso ricorrente erano generiche riguardo alla specificazione delle spettanze retributive di lavoro straordinario, mentre risultava che, sul punto, i conteggi erano analitici e i capitoli di prova specifici.
4. Il primo motivo è inammissibile.
5. Invero, in primo luogo deve escludersi, nel caso in esame, il vizio ex art. 132 co. 2 n. 4 cpc, che sussiste solo quando la pronuncia riveli una obiettiva carenza nella indicazione del criterio logico che ha condotto il giudice alla formazione del proprio convincimento, come accade quando non vi sia alcuna esplicitazione sul quadro probatorio, né alcuna disamina logicogiuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. n. 3819/2020): ipotesi non ravvisabili nella fattispecie.
6. In secondo luogo, va osservato che, in seguito alla riformulazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., disposta dall’art. 54 del d.l. n. 83 del 2012, conv., con modif., dalla l. n. 134 del 2012, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica del rispetto del «minimo costituzionale» richiesto dall’art. 111, comma 6, Cost., che viene violato qualora la motivazione sia totalmente mancante o meramente apparente, ovvero si fondi su un contrasto irriducibile tra affermazioni inconcilianti, o risulti perplessa ed obiettivamente incomprensibile, purché il vizio emerga dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali (per tutte Cass. 7090/2022; Cass. n. 8053/2014).
7. In secondo luogo, va rilevato che l’incongruenza e la illogicità della motivazione può venire in rilievo, a seguito della riforma dell’art. 360 n. 5 cpc sopra indicata, unicamente allorquando vi sia stato il ricorso, nel ragionamento decisorio del giudice di merito, al meccanismo delle presunzioni semplici ex artt. 2727 e 2729 cc, con il limite naturalmente che esso non deve consistere nella mera affermazione di un convincimento diverso da quello espresso nella decisione (Cass. n. 22366/2021; Cass. n. 5279/2020).
8. Nella fattispecie in esame, però, tale evenienza non è ravvisabile perché la Corte territoriale ha posto a fondamento della decisione prove dirette (testimonianze) e non indiziarie.
9. Al riguardo è opportuno ribadire che è )” un principio ormai consolidato quello secondo cui il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità, non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, ma la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico – formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. n. 19547/2017; Cass. n. 29404/2017).
10. Il secondo motivo deve essere rigettato.
11. Da un lato, infatti, deve sottolinearsi che l’interpretazione della domanda è riservata al giudice di merito il cui giudizio si risolve in un accertamento di fatto, incensurabile in cassazione se congruamente ed adeguatamente motivato (Cass. n. 22893/2008; Cass. n. 9011/2015).
12. In tema di ricorso per cassazione, poi, una censura relativa alla violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. non può porsi per una erronea valutazione del materiale istruttorio compiuta dal giudice di merito, ma solo se si alleghi che quest’ultimo abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti, ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso, valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, delle prove legali, ovvero abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione: ipotesi, anche queste, non ravvisabili nel caso in esame (Cass. n. 27000/2016; Cass. n. 13960/2014).
13. Dall’altro, va comunque evidenziata la correttezza della decisione dei giudici del merito che hanno ritenuto generiche le allegazioni dell’originario ricorrente in tema di lavoro notturno e straordinario e tali da non consentire di raggiungere la prova dello specifico svolgimento delle ore di lavoro supplementare non regolarmente retribuite.
14. Oltre, infatti, alle condivisibili osservazioni contenute nella gravata sentenza con riferimento alla genericità dell’atto introduttivo sia sulla individuazione delle ore svolte che con riferimento al corrispettivo comunque pagato (“non sempre retribuito nella sua effettività”), deve rilevarsi che anche gli stessi conteggi, riportati dall’A. solo in parte nell’odierno ricorso e di cui si è obiettato l’omesso esame, non sono assolutamente specifici in ordine al “come” e al “quando” le asserite ore di straordinario e/o di lavoro notturno siano state analiticamente svolte, riportando nel titolo dei calcoli la generica dizione “straordinari/maggiorazioni” (senza quindi alcuna distinzione) con la mera indicazione di percentuali e di ore, totalmente inidonee anche ai fini dell’espletamento di una prova orale finalizzata a provare quanto richiesto e preteso.
15. Alla stregua di quanto esposto il ricorso deve essere rigettato.
16. Al rigetto segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità che si liquidano come da dispositivo.
17. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, deve provvedersi, ricorrendone i presupposti processuali, sempre come da dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in euro 5.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, se dovuto.
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