CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 30 aprile 2019, n. 11415
Tributi – ICI – Agevolazioni per coltivatori diretti e imprenditori agricoli professionali – Applicazione alle società agricole
Fatti rilevanti e ragioni della decisione
1. Il comune propone un motivo di ricorso per la cassazione della sentenza con cui la CTR per la Toscana ha accolto l’appello della parte contribuente, confermando la pronuncia di primo grado, che aveva impugnato un avviso di accertamento relativo all’ICI per gli anni dal 2008 al 2011; in particolare, l’ente impositore aveva negato l’agevolazione dell’Ici prevista per i coltivatori diretti e per gli imprenditori agricoli professionali, sul presupposto che essa opererebbe solo a favore di persone fisiche, ai sensi dell’art. 9 del d.lgs. n. 504 del 1992 e dell’art. 58 del d.lgs. n. 446 del 1997.
2. La commissione tributaria regionale ha fondato, per quello che rileva in questa sede, la propria decisione sulle seguenti motivazioni:
– i coltivatori diretti e le società agricole sono autorizzate ed equiparate con gli stessi diritti e doveri, investimenti, agevolazioni fiscali a decorrere dal 1992;
– le società di persone formate da persone che hanno i requisiti di coltivatore diretto hanno diritto alla riduzione dell’Ici.
3. La contribuente si costituisce con controricorso ed il comune deposita giurisprudenza.
4. Con l’unico motivo il comune lamenta, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c., la violazione e la falsa applicazione dell’art. 9 del d.lgs. n. 504 del 1992 e dell’art. 58, comma 2 del d.lgs. n. 446 del 1997. Ci si duole, in particolare, che la sentenza impugnata abbia erroneamente riconosciuto il diritto all’applicazione delle agevolazioni di cui all’art. 9 citato, non ritenendo ostativo il fatto che il terreno oggetto di controversia fosse condotto da una società semplice agricola e non direttamente dal soggetto passivo del tributo.
4.1. Il motivo è infondato per le ragioni di seguito svolte.
4.2. La questione centrale della controversia è se in tema di ICI le agevolazioni previste dall’art. 9 del d.lgs. n. 504 del 1992, per gli “imprenditori agricoli che esplicano la loro attività a titolo principale”, trovino applicazione anche a favore delle società di persone, nella fattispecie società di fatto o semplici, aventi qualifica di imprenditore agricolo professionale.
Nella presente controversia è pacifico che: il contribuente è proprietario del terreno oggetto di imposizione ed è imprenditore agricolo professionale; l’attività agricola è gestita, attraverso una società semplice, dal contribuente ed i suoi due figli, anch’essi imprenditori agricoli; per lo svolgimento di tale attività il contribuente ed i suoi figli hanno aperto un’unica partita iva con codice attribuito alle società semplici o di fatto.
Ai sensi dell’art. 1 del d.lgs. n. 99 del 2004, Imprenditore agricolo professionale, “Ai fini dell’applicazione della normativa statale, è imprenditore agricolo professionale (IAP) colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali ai sensi dell’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, dedichi alle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro.”
Ritiene il collegio di condividere i principi espressi in sede di legittimità, da un orientamento recente, ma in via di consolidamento, secondo cui le disposizioni di cui al d.lgs. n. 228/2001 e del d. Igs. n. 99/2004 hanno profondamente inciso sulla stessa configurazione del requisito soggettivo per la fruizione dell’agevolazione fornendo una lettura più in linea con la normativa eurounitaria. In particolare è stato affermato che “In tema di ICI, le agevolazioni di cui all’art. 9 del d.lgs. n. 504 del 1992, consistenti nel considerare agricolo anche il terreno posseduto da una società agricola di persone si applicano – a seguito della modifica dell’art. 12 della l. n. 153 del 1975 da parte dell’art. 10 del d.lgs. n. 228 del 2001 e della sua successiva abrogazione e sostituzione con l’art. 1 del d.lgs. n. 99 del 2004 – qualora detta società possa essere considerata imprenditore agricolo professionale ove lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo delle attività agricole di cui all’art. 2135 c.c. ed almeno un socio sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo ovvero abbia conoscenze e competenze professionali, ai sensi dell’art. 5 del Regolamento (CE) n. 1257 del 1999 del Consiglio, e dedichi alle attività agricole di cui all’art. 2135 c.c. almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo ricavando da dette attività almeno il cinquanta per cento dei proprio reddito globale da lavoro” (Cass. n. 28062 del 2018, Cass. n. 375 del 2017). In motivazione è chiarito che : in relazione alle annualità in contestazione, erano già entrate in vigore le disposizioni di cui al d.lgs. n. 228/2001 e del d. Igs. n. 99/2004, che hanno profondamente inciso sulla stessa configurazione del requisito soggettivo per la fruizione dell’agevolazione, il primo, oltre ad individuare la nuova nozione codicistica (art. 2135 c.c.) d’imprenditore agricolo, stabilendo, per quanto qui interessa, (art. 12 della legge 9 maggio 1975, n. 153 quale sostituito dall’art. 10 del citato d. Igs. n. 228/2001), che “Le società sono considerate imprenditori agricoli a titolo principale qualora lo statuto preveda quale oggetto sociale l’esercizio esclusivo dell’attività agricola” e, nel caso di società di persone (lett. a) “qualora almeno la metà dei soci sia in possesso della qualifica di imprenditore agricolo a titolo principale“; disposizione ora facente parte dell’art. 1 del d. Igs. n. 99/2004, a seguito della disposta abrogazione dell’art. 12 della legge n. 153/1975, nell’art. 1 del decreto da ultimo citato, che reca la nuova definizione dell’imprenditore agricolo professionale come “colui il quale, in possesso di conoscenze e competenze professionali ai sensi dell’articolo 5 del regolamento (CE) n. 1257/1999 del Consiglio, del 17 maggio 1999, dedichi alle attività agricole di cui all’articolo 2135 del codice civile, direttamente o in qualità di socio di società, almeno il cinquanta per cento del proprio tempo di lavoro complessivo e che ricavi dalle attività medesime almeno il cinquanta per cento del proprio reddito globale da lavoro”.
Sulla portata novativa del d.l. n. 228 del 2001, anche in epoca più risalente, tuttavia, era stato osservato che; ” la Corte di Giustizia, intervenuta con due successivi arresti in materia tributaria sulla nozione di “imprenditore agricolo a titolo principale”, ha affermato che non è possibile ricavare dalle disposizioni del trattato o dalle norme di diritto comunitario derivato una definizione comunitaria generale ed uniforme di “azienda agricola”, valida per tutte le disposizioni di legge e di regolamento concernenti la produzione agricola (C. Giust. 15/10/1992 in C-162/91 par. 19), riguardando il Regolamento 797/85 un regime di aiuti agli investimenti nel settore agricolo rigorosamente determinati, mentre altre modalità di aiuti (nella specie agevolazioni tributarie in tema di imposta di registro) riguardano esclusivamente il legislatore nazionale; concetto quest’ultimo riferibile evidentemente ad altri tributi (e nella specie all’ICI) e ribadito con la sentenza della stessa Corte 11 gennaio 2001 n.403 in C-403/98 nella quale si afferma (par.26 e segg.) che le disposizioni dei Regolamenti Comunitari (e nella specie quelle dei Regolamenti 797/85 e 232/91 in materia di aiuti agii investimenti nell’agricoltura)non producono tutte effetti immediati nell’ordinamento nazionale, ma richiedono norme attuative in assenza delle quali (par. 29)” gli art. 2, n. 5, u.c. del reg. 797/85 e 5 n. 5 u.c. del reg. 2328/91 (che richiedono la parificazione delle persone giuridiche a quelle fisiche nel settore agricolo) non possono essere invocati davanti ad un giudice nazionale da società di capitali al fine di ottenere il riconoscimento dello status di imprenditore agricolo a titolo principale allorché il legislatore di uno Stato membro non ha adottato le misure necessarie per la loro esecuzione nel suo ordinamento giuridico interno”, misure che possono in effetti riscontrarsi nel d.lgs. n. 228 del 2001, di portata non retroattiva … (Cass. n. 5931 del 2010).
Nella specie i giudici di merito (sentenza di I grado) hanno accertato che il contribuente è proprietario e coltivatore diretto e che nella società semplice di cui lo stesso fa parte anche tutti gli altri soci sono coltivatori diretti del terreno per cui è causa. Tali accertamenti in fatto non risultano più contestati e sulla base di essi la pronuncia impugnata ha reso un dispositivo conforme al diritto.
5. Ne consegue il rigetto del ricorso.
6. Le spese del presente giudizio vengono regolate in applicazione del principio della soccombenza e liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il comune a pagare in favore della parte contribuente le spese di lite del presente giudizio, che liquida nell’importo di € 1.500,00 per compensi, oltre rimborso e spese forfettarie nella misura del 15 % ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 – bis dello stesso articolo 13.