CORTE DI CASSAZIONE – Sentenza 31 maggio 2018, n. 13980
Previdenza – Trattamento pensionistico – Ricongiunzione dei periodi di contribuzione accreditati presso Inpdai – Diritto – Accertamento
Fatti di causa
Con sentenza n. 1018/2012 la Corte d’Appello di Milano confermava la pronuncia di primo grado che aveva riconosciuto a F.Z.A. il diritto a percepire una pensione non inferiore al trattamento stabilito dall’assicurazione generale obbligatoria ed aveva rigettato invece la domanda principale diretta all’accertamento del suo diritto alla ricongiunzione presso l’Inps dei periodi di contribuzione obbligatoria già accreditati presso Inpdai. Pertanto la Corte respingeva l’appello dell’Inps e quello incidentale del F.Z.
A fondamento della decisione la Corte territoriale sosteneva che la domanda di ricongiungimento non potesse essere accolta posto che presupponeva il permanere della contribuzione presso forme di previdenza distinte, così da poter dar luogo ad una ricongiunzione; cosa che nel caso specifico non fosse attuabile, visto che per effetto della soppressione ex lege dell’Inpdai, la contribuzione esistente presso questo istituto era già stata trasferita presso l’Inps, seppure con una contabilità separata. Affermava invece che nella determinazione della quota ex Inpdai dovesse applicarsi la clausola di salvaguardia già prevista dall’articolo 2, comma 3 della legge 967/1953 e ribadita dall’articolo 3, comma 4 del decreto legislativo n. 181 del 1997; posto che, benché la successiva legge 289/2002, che aveva soppresso l’Inpdai, non contenesse alcuna disposizione specifica in ordine all’applicazione della clausola di salvaguardia anche ai fini del calcolo della prima quota, certamente l’intento del legislatore era quello di assicurare al lavoratore dirigente il mantenimento fino al 31.12.2002 del trattamento Inpdai in quanto prevedeva che comunque la liquidazione della prima quota fino al 31.12.2002 fosse effettuata secondo tutte le regole Inpdai e quindi necessariamente anche in base alla regola di garanzia di cui all’articolo 3 cit.; con la conclusione che la prestazione pensionistica nel suo complesso non potesse essere comunque inferiore a quella prevista per l’assicurazione obbligatoria generale.
Contro la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’INPS con un motivo, al quale F.Z. si è opposto con controricorso contenente ricorso incidentale per un motivo, cui ha resistito l’Inps. F.Z. ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. – Con l’unico motivo di ricorso viene dedotta dall’INPS violazione e falsa applicazione dell’articolo 42 della legge 27 dicembre 2002, n. 289; nonché falsa applicazione dell’articolo 3, comma 4 del decreto legislativo 24 aprile 1997 numero 181 (in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c.) in base ai quali la liquidazione del trattamento pensionistico del F. sarebbe dovuta avvenire in applicazione del principio del pro rata, ma non anche con la applicazione della clausola di salvaguardia ex articolo 3 comma 4 del decreto legislativo n. 181/1997; posto che tale norma non risulta richiamata dall’articolo 42 della legge n. 289/2002 che ha dettato una disciplina speciale per i trattamenti da erogare successivamente alla soppressione del citato Istituto. Ne potrebbe avere rilievo, secondo l’INPS, l’asserito non provato pregiudizio economico che sarebbe derivato alla ricorrente dall’applicazione dell’art. 42 della legge n. 289/2002 atteso che spetta alla discrezionalità del legislatore dettare la disciplina della trattamento pensionistico alla stregua delle risorse finanziarie; potendo il legislatore ridurre trattamenti pensionistici già in atto, tanto più tale principio doveva valere per soggetti che, come l’originario ricorrente, al momento dell’entrata in vigore della nuova disciplina non aveva maturato il diritto alla prestazione pensionistica.
1.1. Il motivo è infondato. L’art. 42, legge 27 dicembre 2002, n. 289 (Confluenza dell’INPDAI nell’INPS), così dispone: «1. Con effetto dalla data di entrata in vigore della presente legge, l’Istituto nazionale di previdenza per i dirigenti di aziende industriali (INPDAI), costituito con legge 27 dicembre 1953, n. 967, è soppresso e tutte le strutture e le funzioni sono trasferite all’IN PS, che succede nei relativi rapporti attivi e passivi. Con effetto dalla medesima data sono iscritti all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti i titolari di posizioni assicurative e i titolari di trattamenti pensionistici diretti e ai superstiti presso il predetto soppresso Istituto. La suddetta iscrizione è effettuata con evidenza contabile separata nell’ambito del Fondo pensioni lavoratori dipendenti.
2. Il bilancio consuntivo per l’esercizio 2002 dell’ente soppresso di cui al comma 1 è deliberato dal Comitato di cui al comma 4. Tutte le attività e le passività, quali risultano dal predetto bilancio consuntivo, affluiscono all’evidenza contabile di cui al comma 1, per quanto riguarda le prestazioni pensionistiche, e alle gestioni individuate dal predetto Comitato per quanto riguarda le prestazioni non pensionistiche.
3. Il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del principio del pro-rata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti con effetto dal 1 gennaio 2003. In particolare, per i lavoratori assicurati presso il soppresso INPDAI, l’importo della pensione è determinato dalla somma:
a) delle quote di pensione corrispondenti alle anzianità contributive acquisite fino al 31 dicembre 2002, applicando, nel calcolo della retribuzione pensionabile, il massimale annuo di cui all’articolo 3, comma 7, del decreto legislativo 24 aprile 1997, n. 181;
b) della quota di pensione corrispondente alle anzianità contributive acquisite a decorrere dal 1 gennaio 2003, applicando, per il calcolo della retribuzione pensionabile, le norme vigenti nel Fondo pensioni lavoratori dipendenti. Con la medesima decorrenza si applicano, per il calcolo della pensione, le aliquote di rendimento e le fasce di retribuzione secondo le norme in vigore nell’assicurazione generale obbligatoria per i lavoratori dipendenti. Per quanto riguarda le prestazioni non pensionistiche, continuano ad applicarsi le regole previste dalla normativa vigente presso il soppresso Istituto».
1.2. In punto di fatto giova ricordare che F.Z. risulta assoggettato ai fini assicurativi alla gestione Inps, quale lavoratore dipendente, dall’1/8/78 al 28/2/90 e dall’1/4/2000 in poi; mentre è stato iscritto all’Inpdai nel periodo 1/3/90-31/3/2000. Le contribuzioni già versate all’INPS nel periodo 1978-1990 erano state trasferite all’Inpdai ai sensi dell’articolo 5 legge n. 44/1973 su richiesta del F. che ha riscattato sempre presso l’Inpdai il corso di laurea. Il ricorrente in data 14.1.2008 ha presentato domanda di ricongiunzione dei contributi versati all’Inpdai con quelli esistenti presso la gestione generale AGO ex art. 1 I. n. 29/1979, ed attualmente in contabilità separata presso l’INPS per effetto dell’art. 42 l. 289/2002.
1.3. La questione, testualmente, sottoposta al vaglio di questa Corte dal ricorso principale dell’INPS, è (soltanto) se in ipotesi di liquidazione di trattamento pensionistico ai sensi dell’art.42 della legge 289/2002, ai fini della determinazione delle quote di pensione corrispondenti alle anzianità contributive acquisite fino al 31.12.2002 (lett. a – del comma 3), possa trovare applicazione la c.d. cosiddetta clausola di salvaguardia di cui all’articolo 3, comma 4 del decreto legislativo n. 181 del 1997; cosa che l’INPS nega in quanto detta norma non risulta richiamata dall’articolo 42 della legge n. 289/2002 che avrebbe dettato una disciplina speciale per i trattamenti da erogare successivamente alla soppressione dell’INPDAI.
Ad avviso della Corte la censura è infondata, dovendo ritenersi, al contrario che, in mancanza di diversa regolamentazione contenuta nell’art. 42 cit., la liquidazione della quota a) come della quota b) debbano avvenire in base a tutte le norme vigenti nel corrispondente regime normativo; talché, come correttamente osservato dalla sentenza impugnata, si evince dalla legge 289/2002 che la liquidazione della prima quota maturata fino al 31/12/2002 debba essere effettuata secondo le regole Inpdai; e quindi necessariamente anche in base alla regola di salvaguardia di cui all’articolo 3, comma 4 del decreto legislativo n. 181 del 1997. Infatti, nel concetto di uniformità del trattamento “nel rispetto del principio del pro rata”, previsto espressamente dalla legge come regola di carattere generale (cfr. sentenza 26567/2016), è implicato il rispetto della disciplina in base alla quale la liquidazione della corrispondente quota debba essere effettuata; come del resto questa Corte ha affermato in altre occasioni stabilendo che il principio del prò rata imponga di determinare tante quote di pensione in relazione a ciascun periodo di anzianità maturato secondo il sistema rispettivamente in vigore. Talché la pensione del ricorrente va calcolata in base alle diverse regole vigenti presso i due istituti ed alle relative contribuzioni versate.
Deve pertanto ritenersi che, in applicazione del principio di salvaguardia, il trattamento pensionistico spettante all’assicurato ex INPDAI, in relazione alla quota a), non può essere inferiore a quello previsto alle medesime condizioni dall’assicurazione generale obbligatoria anche ai fini della determinazione dell’importo del trattamento pensionistico complessivo.
Con la conseguenza, pure messa in rilievo dalla Corte di merito, secondo cui la prestazione pensionistica nel suo complesso non possa essere comunque inferiore a quella prevista per l’assicurazione obbligatoria generale; posto che la quota a) è appunto assistita dalla regola di salvaguardia, mentre la quota b) deve essere liquidata secondo i criteri valevoli nel regime della assicurazione generale obbligatoria Inps.
1.4. Inammissibile, e comunque infondata, risulta invece la censura riferita alla mancanza di dimostrazione del pregiudizio, atteso che per un verso l’Inps non ha dato conto di aver sollevato tale diversa doglianza nei precedenti gradi di giudizio; mentre, dall’altra parte, secondo la stessa sentenza impugnata, risulta essere “pacifico secondo i conteggi elaborati dalle parti” che al ricorrente, applicando i criteri delineati dall’INPS, in mancanza dell’applicazione della clausola di salvaguardia, sarebbe spettato un trattamento pensionistico complessivamente inferiore a quello previsto dall’assicurazione obbligatoria (come del resto risulta testualmente anche dalla concorde dichiarazione rilasciata dalle parti e contenuta nel verbale di udienza del 5.11.2009 trascritto in nota nel controricorso, a pag.19). Tant’è che la pretesa del ricorrente è sempre stata ritenuta determinata e qualificata dall’interesse ad agire dai giudici di merito, pur non essendo egli ancora titolare di pensione e non avendo neppure presentato domanda in tal senso.
1.5. Deve essere invece disattesa la diversa linea difensiva, pure prospettata dal ricorrente, in base alla quale egli non potrebbe essere ritenuto destinatario del sistema di liquidazione pro rata previsto dall’art. 42 cit. in quanto non iscritto all’INPDAI all’epoca della soppressione dell’Istituto. Questa Corte ha invece correttamente chiarito con sentenza n. 4897 del 27/02/2017 che “l’art. 42 comma 3, prima parte, della legge citata, laddove dispone che il regime pensionistico dei dirigenti di aziende industriali è uniformato, nel rispetto del criterio del pro-rata, a quello degli iscritti al Fondo pensioni lavoratori dipendenti con effetto dal 1° gennaio 2003, introduce un principio di carattere generale senza distinzione tra soggetti ancora iscritti e soggetti non più in costanza di assicurazione INPDAI alla data del 31 dicembre 2002”.
2. Con il primo motivo del ricorso incidentale F.Z. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1 della I. n.29 del 1979, nonché dell’articolo 42 della I. n. 289 del 2002; non avendo la Corte d’Appello riconosciuto il diritto alla ricongiunzione dei periodi assicurativi, posto che la soppressione dell’Inpdai e la sua confluenza nell’Inps, disposta dall’articolo 42 cit, non aveva comportato una ricongiunzione ex lege dei contributi presso la gestione Inps; dato che la posizione contributiva ex Inpdai rimaneva separata sia contabilmente, sia nella determinazione del trattamento pensionistico; tale separazione, insita nel sistema di liquidazione pro rata sancito dal legislatore, legittimava quindi la richiesta ricongiunzione finalizzata proprio ad una liquidazione unitaria, secondo i criteri del fondo previdenziale dei lavoratori dipendenti e non appunto la liquidazione pro rata.
2.1. La domanda è infondata. È pacifico che per effetto della legge n. 289/2002 sia avvenuto il trasferimento dei contributi all’INPS per i titolari di posizioni assicurative e pensionistiche presso il soppresso INPDAI e la loro iscrizione all’assicurazione generale obbligatoria per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti dei lavoratori dipendenti. La successiva domanda proposta dal ricorrente intesa ad ottenere la ricongiunzione dei contributi non poteva avere quindi effetto dal momento che i contributi erano stati già accreditati presso l’Inps.
Il sistema legale introdotto dalla legge 289/2002 ha quindi previsto la liquidazione di un’unica pensione col sistema delle due quote pro rata; sicché non vi è spazio per la ricongiunzione di contributi, la quale come questa Corte ha già affermato, con sentenza n. 4897 del 27/02/2017, presuppone, oltre alla domanda dell’interessato, l’effettivo trasferimento dei contributi dalla gestione previdenziale sostitutiva (nel caso, l’Inpdai), con le maggiorazioni previste per legge, nella gestione generale AGO; e quindi la presenza dei contributi presso diverse gestioni e non come nel caso in esame presso la stessa gestione (sia pure con evidenza separata). È solo per effetto della ricongiunzione che i periodi di contribuzione esistenti presso le altre gestioni, esclusive, speciali o sostitutive, dei lavoratori dipendenti possono essere utilizzati nel fondo dei lavoratori dipendenti gestito dall’Inps, come se i contributi fossero stati sempre versati in quest’ultima gestione e con il diritto ad un’unica pensione liquidata in base ai requisiti previsti dal regime generale. Tuttavia – come risulta dalla stessa pronuncia cit. – l’interessato può aspirare alla predetta ricongiunzione solo presentando “domanda di ricongiunzione dei contributi versati all’Inpdai con quelli esistenti presso la gestione generale AGO prima della soppressione dell’Inpdai”.
2.2. Né in contrario possono essere tratti argomenti dall’articolo 12, commi 12 octies e 12 novies del d.l. n. 78/2010 che riconoscono la facoltà della ricongiunzione onerosa per i casi di trasferimento della posizione assicurativa, rispettivamente, dal fondo di previdenza per i dipendenti dell’ente nazionale per l’energia elettrica e delle aziende elettriche private, nonché dal fondo di previdenza per il personale addetto ai pubblici servizi di telefonia, al fondo pensioni lavoratori dipendenti; trattandosi appunto di specifiche previsioni, dettate da successive norme di legge, per diverse fattispecie e non estensibili in via interpretativa al caso in esame.
3. – In conclusione, risulta che la sentenza impugnata si sottrae alle censure ad essa rivolte tanto con il ricorso principale tanto con il ricorso incidentale; i quali devono essere quindi rigettati.
4. – Le spese del giudizio possono essere compensate per la reciproca soccombenza. Sussistono invece i presupposti per il raddoppio del contributo unificato da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale ai sensi degli artt. 10 e 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115/02, nel testo risultante dalla L. 24.12.12 n. 228.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna l’INPS al pagamento delle spese processuali liquidate in complessive € 3200 di cui € 3000 per compensi professionali, oltre al 15% di spese generali ed oneri accessori di legge. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater D.P.R. n. 115 del 2002 si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente principale e del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 – bis dello stesso art. 13.
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