Corte di Cassazione sentenza n. 10901 depositata il 5 aprile 2022
notifica non andata a buon fine
FATTI DI CAUSA
1. La società B. s.r.l. impugnò la cartella di pagamento emessa da Equitalia Polis p.a. con la quale era stato richiesto il pagamento di euro 18.754,88 a titolo di IRES, IRAP, sanzioni ed interessi, riferiti all’anno d’imposta 2007.
Secondo quanto emerge dalla sentenza impugnata, la società era stata autorizzata, nel giugno 2005, alla fruizione del credito d’imposta di cui all’art. 14 del d.m. n. 593 dell’8 agosto 2000 per complessivi euro 100.000,00 per avere effettuato investimenti in attrezzature da utilizzare nell’attività di ricerca scientifica; nel 2007 aveva compensato parte del credito d’imposta, per l’importo di euro 7.267,77, per il pagamento di imposte IRES, I.V.A. e diritti camerali, ma detta operazione non era stata indicata nel quadro RU della dichiarazione dei redditi 2008 per l’ammontare del credito d’imposta residuato dai precedenti anni. A fronte dell’emissione della cartella di pagamento, la contribuente, in data 14 dicembre 2011, aveva presentato dichiarazione integrativa ai fini del riconoscimento dell’utilizzazione del suddetto credito d’imposta.
2. La Commissione tributaria provinciale adita rigettò il ricorso, rilevando che la contribuente non aveva compilato il quadro RU nella dichiarazione dei redditi, adempimento richiesto a pena di La sentenza venne impugnata dalla società B. s.r.l. dinanzi alla Commissione tributaria regionale che accolse l’appello.
I giudici regionali osservarono, in particolare, che dagli atti emergeva che per l’anno 2005 la società aveva compilato il quadro RU per dichiarare il credito vantato, sicché non sussisteva decadenza, e che i giudici di primo grado non si erano peraltro pronunciati in merito alle deduzioni riguardanti l’avvenuta rettifica della dichiarazione, ai sensi dell’art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998. Ritenendo che fosse stata fatta confusione tra la «fruizione del credito» e il «diritto alla concessione del credito», rilevarono che per tutte le annualità richiamate la società aveva sempre riportato nel quadro RU delle rispettive dichiarazioni dei redditi il credito vantato, cosicché non poteva essere considerata decaduta dal diritto alla fruizione del credito d’imposta.
3. Contro la suddetta decisione l’Agenzia delle entrate ha proposto ricorso per cassazione, con due motivi.
La società contribuente non ha svolto attività difensiva in questa sede.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la difesa erariale, deducendo la violazione e falsa applicazione dell’art. 2, commi 8 e 8-bis del d.P.R. n. 322 del 1998 in combinato disposto con l’art. 5, comma 7, della legge 449 del 1997 e l’art. 7 del decreto interministeriale n. 275 del 1998, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., censura la decisione gravata per avere la C.T.R. ritenuto che la compensazione del credito d’imposta per investimenti nella ricerca scientifica, correttamente riportato nella dichiarazione presentata per l’anno d’imposta 2004, anno in cui era maturato il credito, legittimava la compensazione nelle annualità successive, potendo la contribuente emendare la dichiarazione dei redditi, sempre modificabile.
Sostiene, in particolare, che avendo la società maturato il credito d’imposta nel giugno 2005, doveva riportare, come era stato fatto, nella dichiarazione dei redditi del 2006 (anno d’imposta 2005) il credito d’imposta ed indicare poi nelle annualità successive il credito residuo di cui intendeva avvalersi ai fini della compensazione. Pertanto, ad avviso della ricorrente ha errato la C.T.R. nel ritenere sufficiente la mera indicazione del credito d’imposta nell’anno in cui era sorto, non potendo peraltro l’omessa indicazione del credito residuo, nelle successive dichiarazioni, essere sanata mediante la presentazione di una dichiarazione integrativa, intervenuta soltanto in data 14 dicembre 2011, oltre il termine annuale di cui al comma 8-bis dell’art. 2 del d.P.R. 322 del 1998, non essendo consentito alla contribuente rettificare sine die la propria dichiarazione dei redditi, al fine di beneficiare del riconoscimento di un credito d’imposta.
2. Con il secondo motivo di ricorso, deducendo omesso esame di un fatto decisivo della controversia in relazione all’art. 360, primo comma, 5, cod. proc. civ., la ricorrente sottolinea che il giudice d’appello avrebbe omesso di rilevare che dagli atti di causa emergeva con evidenza che la società, come dalla stessa ammesso nell’atto di appello, aveva omesso di indicare nel quadro RU il credito residuo di cui aveva usufruito in compensazione, il che rendeva la pretesa fiscale pienamente legittima.
3. Preliminarmente all’esame dei mezzi di ricorso, deve rilevarsi che il ricorso per cassazione è inammissibile perché tardivamente notificato oltre il termine di sei mesi di cui all’art. 327 cod. proc. civ., decorrente dalla data di pubblicazione della sentenza impugnata (3 dicembre 2013).
3.1 La dichiarazione di inammissibilità non è impedita dal tentativo di notificazione effettuato mediante spedizione del ricorso a mezzo posta presso il domicilio eletto dalla società contribuente (dott. F.A., con studio in Benevento). Infatti, tale notifica, come emerge dagli atti allegati al ricorso, non si è perfezionata perché l’atto è stato rifiutato, tanto che è stato restituito, come emerge dal timbro apposto sulla busta in data 3 giugno 2014 (depositata in atti), con l’annotazione «Rifiutato in quanto non esiste più B. s.r.l. presso F.A.».
L’errore del primo tentativo di notifica non è imputabile alla parte ricorrente; tuttavia, malgrado siffatta non imputabilità, risulta non tempestiva la ripresa del procedimento notificatorio.
Le Sezioni Unite di questa Corte, già con la sentenza n. 17352 del 2009 , hanno affermato il principio secondo il quale «In tema di notificazioni degli atti processuali, qualora la notificazione dell’atto, da effettuarsi entro un termine perentorio, non si concluda positivamente per circostanze non imputabili al richiedente, questi ha la facoltà e l’onere – anche alla luce del principio della ragionevole durata del processo, atteso che la richiesta di un provvedimento giudiziale comporterebbe un allungamento dei tempi del giudizio – di richiedere all’ufficiale giudiziario la ripresa del procedimento notificatorio, e, ai fini del rispetto del termine, la conseguente notificazione avrà effetto dalla data iniziale di attivazione del procedimento, sempreché la ripresa del medesimo sia intervenuta entro un termine ragionevolmente contenuto, tenuti presenti i tempi necessari secondo la comune diligenza per conoscere l’esito negativo della notificazione e per assumere le informazioni ulteriori conseguentemente necessarie».
Sulla questione sono nuovamente intervenute le Sezioni Unite con la sentenza n. 14594 del 2016, affermando che «In caso di notifica di atti processuali non andata a buon fine per ragioni non imputabili al notificante, questi, appreso dell’esito negativo, per conservare gli effetti collegati alla richiesta originaria deve riattivare il processo notificatorio con immediatezza e svolgere con tempestività gli atti necessari al suo completamento, ossia senza superare il limite di tempo pari alla metà dei termini indicati dall’art. 325 cod. proc. civ., salvo circostanze eccezionali di cui sia data prova rigorosa».
3.2 Nella vicenda in esame, a seguito del tentativo di notifica eseguito presso il domicilio eletto nel giudizio di merito, l’atto è stato rifiutato all’indirizzo indicato e restituito al mittente in data 3 giugno 2014; la ripresa del procedimento notificatorio è stata effettuata solo in data 1 settembre 2014 e non sono state neppure allegate circostanze eccezionali idonee a giustificare il ritardo ed il superamento del suddetto limite di tempo.
4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile.
Nulla deve disporsi in merito alle spese di lite, in difetto di attività difensiva della parte intimata.
Quanto alla regolazione dell’obbligo del pagamento del doppio del contributo unificato, va fatta applicazione – nei confronti dell’Agenzia delle entrate – del principio secondo cui, nei casi di impugnazione respinta integralmente o dichiarata inammissibile o improcedibile, l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della I. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non può trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono istituzionalmente esonerate, per valutazione normativa della loro qualità soggettiva, dal materiale versamento del contributo stesso (Cass., sez. 5, 15/05/2015, n. 9974; Cass., sez. U, 25/11/2013, n. 26280; Cass., sez. U, 2/02/2020, n. 4315).
P.Q.M.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
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