CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 11625 depositata il 4 maggio 2023
Tributi – Avviso di accertamento – Interessi passivi – Finanziamento a lungo termine – Tasso di interesse superiore a quello infragruppo – Criterio del cosiddetto “confronto esterno e interno” – Disciplina in materia di transfer pricing – Differenziale di tasso passivo e attivo per la società controllante mutuante – Assenza di trasferimento di reddito dall’Italia alla Germania – Accoglimento
Fatti di causa
1. Con avviso di accertamento n. (…), notificato il 22 dicembre 2010, l’Agenzia delle entrate – Direzione regionale della Lombardia riprendeva a tassazione, nei confronti della società S.C. s.p.a., per l’anno d’imposta 2005, una parte degli interessi passivi (per l’importo di Euro 242.778,55) dedotti in relazione ad un finanziamento erogato dalla società capogruppo tedesca S.C. AG, in violazione del d.p.r. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 110 comma 7, (testo unico delle imposte sui redditi).
2. Proposto dalla contribuente ricorso avverso il predetto avviso di accertamento dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Milano questa, con sentenza n. 139/18/2013 dell’11 febbraio 2013, accoglieva il ricorso, annullando l’atto impugnato e compensando le spese.
3. Interposto gravame dall’Ufficio, la Commissione tributaria regionale della Lombardia, con sentenza n. 2230/44/2014, pronunciata il 10 marzo 2014 e depositata in segreteria il 29 aprile 2014, accoglieva l’appello, compensando le spese di lite.
4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione la S.C. s.p.a., sulla base di otto motivi.
Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.
5. All’udienza pubblica del 10 gennaio 2023 il consigliere relatore ha svolto la relazione ed il P.M. ed i procuratori delle parti hanno rassegnato le proprie conclusioni.
Ragioni della decisione
6. Il ricorso della contribuente, come si è detto, è affidato ad otto motivi.
6.1. Con il primo motivo di ricorso la S.C. s.p.a.n in liquidazione eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 2909 c.c. e dell’art. 112 c.p.c. e art. 329 c.p.c., comma 2, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in quanto il giudice di secondo grado avrebbe dovuto dichiarare inammissibile l’appello dell’Agenzia, per il fatto che non era stata censurata una delle due autonome rationes decidendi della sentenza di primo grado.
6.2. Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’ art. 2909 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), con riferimento all’efficacia di giudicato esterno attribuito dalla C.T.R. alla sentenza di questa Corte n. 22010 del 25 settembre 2013.
6.3. Con il terzo motivo di ricorso si eccepisce l’omesso esame di un fatto storico decisivo per il presente giudizio, in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e cioè che la controllante tedesca si finanziava sul mercato tedesco da terzi indipendenti, ad un tasso di interesse superiore a quello infragruppo.
6.4. Con il quarto motivo di ricorso la società contribuente eccepisce, ancora, l’omesso esame di un fatto storico decisivo per il presente giudizio, in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con particolare riferimento alle caratteristiche del finanziamento a lungo termine infragruppo, e dei finanziamenti sulla cui base la Bundesbank ha determinato le medie dei tassi di interessi UE sui finanziamenti a breve termine.
6.5. Con il quinto motivo di ricorso la ricorrente eccepisce sempre l’omesso esame di un fatto storico decisivo per il presente giudizio, in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e cioè che: a) il tasso di interesse infragruppo applicato alla controllata italiana era analogo a quello applicato a tutte le altre controllate nel mondo; b) il livello di imposizione in Germania degli interessi era, nel 2005, superiore al livello di imposizione italiana.
6.6. Con il sesto motivo di ricorso la S.C. s.p.a. deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 110, comma 7, e dell’art. 9 del TUIR, in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), in quanto, dichiarando legittimo l’operato dell’Agenzia, la C.T.R. avrebbe affermato che, per determinare il “valore normale” dei tassi di interesse infragruppo, era legittimo fare riferimento ai tassi medi di settore, elaborati con riguardo a finanziamenti aventi caratteristiche diverse dal finanziamento infragruppo esaminato, anziché fare riferimento al tasso di interesse applicato da soggetti terzi indipendenti nei confronti della capogruppo, con riguardo al finanziamento con cui detta capogruppo si è approvvigionata.
6.7. Con il settimo motivo di ricorso la ricorrente eccepisce violazione del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 7 e dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), avendo la C.T.R. confermato la legittimità del recupero a tassazione dell’Ufficio sulla base di un fatto (e cioè la sussistenza di tassi di interesse applicati mensilmente sul mercato italiano meno elevati di quello corrisposto dalla contribuente alla capogruppo) mai dedotto dall’Agenzia.
6.8. Con l’ottavo motivo di ricorso la contribuente eccepisce violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., in relazione all’ art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), in quanto la C.T.R. non avrebbe posto a fondamento della propria decisione le prove addotte dalle parti.
7. Così delineati i motivi di ricorso, la Corte osserva quanto segue.
7.1. Il primo motivo è fondato.
La Commissione tributaria provinciale, infatti, nella sentenza di primo grado ha ritenuto che l’avviso di accertamento oggetto della presente controversia fosse illegittimo, sulla base di due distinte rationes decidendi.
In particolare, la C.T.P. ha evidenziato, innanzitutto, l’erroneità del criterio (c.d. del confronto esterno) impiegato dall’Agenzia delle entrate per l’individuazione del valore normale e, per converso, la legittimità del criterio (c.d. del confronto interno) applicato dalla contribuente e conseguente deducibilità degli interessi: “il disposto al d.p.r. n. 917 del 1986, art. 9 orienta la fattispecie in modo preferenziale per la comparazione dei tassi di interesse verso il confronti c.d. interno. Il diverso procedimento del confronto c.d. esterno, applicato nella fattispecie, avrebbe dovuto dall’Agenzia venire accompagnato dalla motivazione ed argomentato con la valutazione della affidabilità del mutuatario tenuto conto che la ricorrente chiude il bilancio d’esercizio con una significativa perdita (…) In relazione ai tassi mensili di interesse tratti dall’Agenzia dal rapporto del mese di febbraio 2006 di Deutsche Bundesbank per prestiti fini ad un anno a soggetti non finanziatori, la Commissione non nega loro un contenuto di verità, ma evidenzia che tali dati avrebbero richiesto un esame attento per individuare i criteri della loro formazione, e consentire il lodo adattamento per il confronto in un contesto omogeneo con il caso in esame”.
In secondo luogo, la C.T.P. rileva l’insussistenza di trasferimento di materia imponibile dall’Italia alla Germania e, dunque, l’insussistenza di una condizione di applicabilità della disciplina in materia di transfer pricing: “La Commissione rileva che l’onere del finanziamento che grava sulla controllante è maggiore dell’onere che ha gravato la ricorrente e questa diversità di oneri consente di verificare l’assenza di trasferimento di reddito dall’Italia verso la Germania”.
Orbene, la lettura di tale ordito argomentativo lascia ben intendere che la motivazione si snodi lungo due ben distinti e precisi binari: a) preferenza per il confronto c.d. interno, in quanto il tasso preso di riferimento dall’Agenzia non è confrontabile con il tasso di interesse infragruppo oggetto di verifica; b) assenza di trasferimento di reddito dall’Italia verso la Germania, posto che l’indebitamento (e quindi l’onere del finanziamento) che grava sulla controllante è maggiore dell’onere che ha gravato sulla controllata ricorrente, e quindi non sussiste una delle condizioni di applicabilità della norma di cui al d.p.r. n. 917 del 1986, art. 110 comma 7.
Ciascuna di tali argomentazioni è idonea, di per sé sola, a sorreggere la decisione. Altrimenti detto, si è in presenza di statuizioni necessarie ed indispensabili per giungere alla decisione e non di enunciazioni puramente incidentali, nonché di considerazioni prive di relazione causale con quanto abbia formato oggetto della pronuncia.
L’Agenzia delle entrate, con l’atto di appello, non ha censurato la statuizione della C.T.P., riguardante l’assenza di trasferimento di reddito dall’Italia alla Germania a cagione della del differenziale di tasso passivo e attivo per la società controllante mutuante, la quale è autonomamente idonea a sorreggere la sentenza di primo grado nella sua pronuncia di accoglimento dell’impugnazione dell’atto impositivo.
L’atto di appello, infatti, si sofferma esclusivamente sul profilo della comparazione tra il c.d. Cup estero e quello interno, e sull’infondatezza dell’asserzione secondo cui l’Ufficio non avrebbe assolto all’onere della prova circa l’anomalia dei tassi praticati rispetto a operazioni similari eseguite con soggetto esterni, avendo cura poi di precisare le conseguenze del giudicato esterno costituito dalla sentenza di questa Corte del 25 settembre 2013, n. 22010, il quale, tuttavia, concerne solo la prima delle predette rationes decidendi, riguardando appunto la rilevanza del tasso di interesse di mercato e l’assolvimento dell’onere probatorio a carico dell’Ufficio. Nulla si dice, invece, nell’atto di gravame, sul differenziale tra interessi passivi e attivi, da cui discenderebbe l’assenza di ogni trasferimento di ricchezza verso la Germania.
Ne consegue, pertanto, che deve ritenersi formato il giudicato interno in ordine all’annullamento dell’atto impositivo, alla luce del consolidato orientamento di questa Corte secondo cui, quando la sentenza del giudice del merito è fondato su più ragioni autonome, ciascuna della quali logicamente e giuridicamente idonea a sorreggerla, l’omessa impugnazione anche di una soltanto di tali ragioni determina l’inammissibilità, per carenza di interesse, di quella proposta avverso l’altra o le altre ragioni, in quanto l’eventuale accoglimento del ricorso, così come proposto non incide sulla ratio decidendi non censurata, con la conseguenza che la sentenza impugnata resterebbe pur sempre fondata su questa (Cass. 11 maggio 2022, n. 14869; Cass. 6 agosto 2019, n. 21020; Cass., 30 dicembre 2014, n. 27480; Cass. 22 marzo 2013, n. 7334; Cass. 30 marzo 2010, n. 7626; Cass. 12 ottobre 2007, n. 21431; Cass. 18 maggio 2006, n. 11670; Cass., sez. un., 8 agosto 2005, n. 16602).
Ne’ può applicarsi, nella specie, il principio per cui il giudizio di appello, pur limitato all’esame delle sole questioni oggetto di gravame, si estende ai punti della sentenza di primo grado che siano, anche implicitamente, connessi a quelli censurati, sicché non violerebbe il principio del tantum devolutum quantum appellatum il giudice di secondo grado che fondi la propria decisione su ragioni diverse da quelle svolte dall’appellante nei suoi motivi, ovvero esamini questioni non specificamente da lui proposte o sviluppate le quali, però, appaiono in rapporto di diretta connessione con quelle espressamente dedotte nei motivi stessi e, come tali, comprese nel thema decidendum del giudizio.
Nel caso di specie, il secondo motivo di illegittimità dell’atto (riguardante il mancato trasferimento di ricchezza dall’Italia alla Germania) non può dirsi in diretta connessione con il primo motivo (riguardante l’erroneità del criterio impiegato dall’Agenzia per l’individuazione del c.d. valore normale), per cui l’atto di gravame, concentrandosi solo su quest’ultimo profilo, non può estendersi, nella sua capacità censoria, all’altro profilo posto a fondamento della decisione di primo grado.
Ne consegue, pertanto, che la C.T.R. avrebbe dovuto rigettare l’appello, per carenza di interesse stante la formazione del giudicato in ordine al profilo della mancanza di trasferimento di reddito dall’Italia alla Germania, che di per sé giustifica l’annullamento dell’atto impositivo.
8. Consegue quindi l’accoglimento del primo motivo di ricorso; la sentenza impugnata deve quindi essere cassata e, stante l’acclarata formazione del giudicato in merito all’annullamento dell’atto impositivo, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può essere decisa nel merito, con il rigetto dell’appello e la conferma della sentenza di primo grado.
9. Ogni altro motivo resta assorbito.
In considerazione della peculiarità del caso, sussistono giustificati motivi per la compensazione integrale tra le parti delle spese di tutti i gradi di giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il primo motivo di ricorso, assorbiti gli altri; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, rigetta l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate avverso la sentenza di primo grado.