CORTE di CASSAZIONE – Ordinanza n. 24622 depositata il 14 agosto 2023
Lavoro – Licenziamento collettivo – Accordo sindacale sui criteri di scelta dei lavoratori da licenziare – Singola unità produttiva – Ragioni tecnico organizzative e produttive – Comunicazione di apertura della procedura di mobilità – Infungibilità delle mansioni – Impossibilità trasferimento della lavoratrice – Due autonome rationes decidendi – Rigetto
Rilevato che
1. La Corte di appello di Roma ha accolto il reclamo di M.G., ha accertato l’illegittimità del licenziamento intimatole da L. s.r.l. e ordinato la reintegrazione condannando la società a pagare un’indennità quantificata in dodici mensilità oltre che ai contributi assistenziali e previdenziali.
1.1. Diversamente dal Tribunale, il giudice di appello ha ritenuto che nell’ambito della proceduta di licenziamento collettivo intrapresa dalla società, l’accordo con il quale erano stati individuati i criteri per la scelta dei lavoratori da licenziare era sindacabile dal giudice e che, nell’ambito di una ristrutturazione aziendale, la scelta poteva essere effettuata anche nel contesto di una singola unità produttiva purché fosse giustificata da ragioni tecnico organizzative e produttive; l’appartenenza al settore individuato, poi, ben poteva essere il criterio esclusivo concordato per individuare la platea dei lavoratori da licenziare ma doveva essere specificatamente chiarita la ragione della limitazione ed esplicitata quella per la quale non si poteva ovviare al licenziamento trasferendo il lavoratore ad un’altra unità produttiva.
1.2. Alla luce di tali premesse la Corte territoriale ha poi accertato che la comunicazione effettuata ai sensi dell’art. 4 comma 3 della legge n. 223 del 1991 non era stata depositata in giudizio e perciò non era possibile verificare l’esistenza dei requisiti ricordati e, essendo rimasti indimostrati, ne conseguiva l’illegittimità del licenziamento per violazione dell’obbligo di specificare le oggettive esigenze aziendali.
1.3. Inoltre, la Corte ha ritenuto che sarebbe stato necessario dimostrare che i dipendenti individuati non erano in grado di svolgere altre mansioni anche per escludere l’esistenza di profili discriminatori nel loro licenziamento. A tal riguardo ha verificato che, delle mansioni svolte, solo il 2% si riferiva al sistema qualità mentre per il 70% esse avevano ad oggetto la trattazione e gestione di gare di appalto; ha accertato che le mansioni connesse alle gare di appalto non erano state soppresse ed ha ritenuto che, in mancanza di prova di segno diverso, l’impegno nelle mansioni relative al sistema qualità era del tutto marginale e non giustificava l’inserimento della ricorrente tra i lavoratori da licenziare, tenuto conto anche del fatto che per nessuna altra funzione erano stati individuati raggruppamenti ad hoc e che si era invece fatto riferimento a categorie generiche. Ha, poi, escluso che le mansioni non fossero fungibili ed ha ritenuto irrazionale il criterio adottato osservando che in tale prospettiva l’eccezione della lavoratrice, che aveva affermato che in realtà la società voleva liberarsi di lei perché creava problemi, risultava fondata. Ha aggiunto infine che la lavoratrice aveva anche una anzianità maggiore rispetto a quella di tutti gli altri impiegati amministrativi.
2. Per la cassazione della sentenza ha proposto tempestivo ricorso la L. s.r.l. affidato ad un unico motivo. La lavoratrice ha resistito con tempestivo controricorso cui la società ricorrente ha replicato depositando memoria illustrativa.
Ritenuto che
3. Con l’unico motivo di ricorso è denunciato l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione all’art. 360 primo comma n. 5 c.p.c. e si deduce inoltre la violazione e falsa applicazione degli artt. 5 e 7 della legge n. 223 del 1991, degli artt. 343 e 112 c.p.c. e dell’art. 2043 c.c. in relazione al 360 primo comma n. 3 c.p.c.
3.1. Ad avviso della società ricorrente erroneamente la Corte di merito aveva ritenuto illegittima la procedura di mobilità sul presupposto dell’avvenuta violazione dei criteri di scelta dei lavoratori da licenziare. Erroneamente la Corte di merito aveva ritenuto che la lavoratrice fosse stata inserita in una categoria unica per poi liberarsene. Il giudice del reclamo aveva erroneamente valutato la documentazione depositata in atti dalla quale emergeva, diversamente da quanto ritenuto in sentenza, inequivocabilmente l’infungibilità delle mansioni assegnate alla lavoratrice rispetto a quelle svolte da altri. La ricorrente sostiene che la lavoratrice si era limitata ad indicare i lavoratori che avrebbero potuto essere licenziati al suo posto ma non aveva indicato per quale ragione gli altri dovevano essere scelti prima di lei e sostiene che era onere della lavoratrice dimostrare l’inadempimento datoriale sottolineando che era stata indicata come posizione fungibile quella di una lavoratrice che poi non era stata presa in considerazione dal giudice del reclamo che aveva fatto rifermento a posizioni di altri lavoratori mai richiamate dalla lavoratrice e che in ogni caso si trattava di lavoratori addetti a mansioni diverse, che perciò non erano con lei comparabili.
Evidenzia infine che i criteri di scelta erano stati individuati in esito ad accordo con le parti sindacali e che Corte territoriale aveva trascurato tale circostanza.
4. Preliminarmente deve essere respinta l’eccezione di inammissibilità del ricorso in relazione ad una sua pretesa tardiva proposizione in quanto a fronte di una sentenza della Corte di merito pubblicata il 19 novembre 2019 il termine per la proposizione del ricorso in cassazione scadeva proprio il 20 gennaio 2020 (lunedì) posto che a norma dell’art. 155 comma 5 c.p.c. i termini che, come quello odierno per la notifica del ricorso per cassazione, scadono di sabato sono prorogati di diritto al primo giorno seguente non festivo.
5. Il ricorso, pur tempestivo, non può però essere accolto.
5.1. Rileva infatti il Collegio che la sentenza impugnata è fondata su due autonome rationes decidendi e che, con il ricorso, la società ha trascurato di impugnare la decisione nella parte in cui ha accertato che il licenziamento intimato alla lavoratrice, odierna controricorrente, era illegittimo anche perché non essendo stata prodotta in giudizio la comunicazione ex art. 4 comma 3 della legge n. 223 del 1991 non era stato possibile per il giudice di merito verificare se erano state indicate le ragioni che la società deduceva essere state poste a fondamento della limitazione della scelta dei dipendenti da licenziare nell’ambito di una sola unità e per quali ragioni non era stato possibile ovviare al licenziamento con un trasferimento della lavoratrice da un’unità lavorativa ad un’altra. Va qui ribadito che quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse ” rationes decidendi”, ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla “ratio decidendi” non censurata, piuttosto che per carenza di interesse (cfr. Cass. 06/07/2020 n. 13880).
6. All’infondatezza del ricorso segue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese del giudizio che liquidate in dispositivo, devono essere distratte in favore dell’avvocato C.D.M. che se ne è dichiarato anticipatario. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che si liquidano in € 5.000,00 per compensi professionali, € 200,00 per esborsi, 15% per spese forfetarie oltre agli accessori dovuti per legge, con distrazione.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art.13 comma 1 bis del citato d.P.R., se dovuto.
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