CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 16252 depositata l’ 8 giugno 2023

Lavoro – Avvocato – Procedimento disciplinare – Somma corrisposta dal cliente a titolo di “palmario” – Omessa fatturazione – Illecito di natura permanente – Assoggettabilità del “palmario” all’obbligo fiscale di fatturazione – Componente aggiuntiva del compenso – Rilevanza disciplinare dell’inadempimento all’obbligo di fatturazione – Dovere di lealtà e correttezza fiscale nell’esercizio della professione – Rigetto

Fatti di causa

1. – L’avvocato (…) stato sottoposto a procedimento disciplinare sulla base di due distinti capi di incolpazione, per essere venuto meno ai doveri di fedeltà, correttezza, probità e diligenza.

Il Consiglio distrettuale di disciplina di (…) ritenuto sussistente la sola violazione degli artt. 9 e 29, comma 3, del nuovo codice deontologico forense, per avere l’incolpato omesso di rilasciare il documento fiscale relativo al pagamento di una somma corrispostagli dalla cliente a titolo di “palmario”, e gli ha applicato la sanzione della censura.

2. – L’avvocato (…) ha proposto impugnazione avverso il provvedimento del CDD di (…) contestando l’assoggettabilità del “palmario” all’obbligo fiscale di fatturazione, in quanto somma integrante una mera “regalia”.

3. – Il Consiglio nazionale forense, con sentenza n. 255/2022, resa pubblica mediante deposito in segreteria il 15 dicembre 2022 e notificata il 19 dicembre 2022, ha rigettato il gravame dell’avvocato (…).

Il giudice disciplinare ha escluso, anzitutto, l’avvenuto decorso del termine di prescrizione dell’azione disciplinare, sul rilievo che la condotta di omessa fatturazione ascritta all’incolpato non ha carattere istantaneo, ma si protrae nel tempo fino all’eventuale adempimento dell’obbligo fiscale, sicché l’illecito ha natura permanente.

Nel merito, il CNF ha rilevato che, diversamente da quanto dedotto dall’incolpato, il “palmario” costituisce una vera e propria componente aggiuntiva del compenso, ancorché di natura premiale, che viene corrisposta dal cliente in caso di esito favorevole della lite e, per tale ragione, è soggetto al generale obbligo di emissione del documento fiscale.

Il giudice disciplinare ha poi osservato che, nel caso di specie, l’asserito intento liberale sotteso alla corresponsione del “palmario” risultava comunque smentito da plurimi elementi oggettivi emersi nel corso dell’istruttoria dibattimentale e, in particolare, dalla circostanza che l’incolpato aveva ottenuto, nei confronti della cliente, un decreto ingiuntivo per il pagamento del saldo del compenso aggiuntivo pattuito. Infine, il CNF ha precisato che l’opera professionale prestata dall’avvocato esula altresì dall’ambito applicativo dell’art. 22 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, il quale, in caso di commercio al minuto e attività assimilate, esclude l’obbligatorietà dell’emissione della fattura allorché quest’ultima non sia espressamente “richiesta dal cliente”.

4. – Per la cassazione della sentenza del Consiglio nazionale forense l’avvocato (…) a proposto ricorso, con atto notificato il 17 gennaio 2023, sulla base di tre motivi.

Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di (…) è rimasto intimato.

5. – Per la discussione del ricorso è stata fissata l’udienza pubblica del 6 giugno 2023.

Non avendo nessuno degli interessati fatto richiesta di discussione orale, il ricorso è stato, tuttavia, trattato in camera di consiglio, senza l’intervento del Procuratore Generale e della parte ricorrente, in base alla disciplina dettata dall’art. 23, comma 8-bis, del decreto-legge n. 137 del 2020, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 176 del 2020, prorogata dall’art. 8, comma 8, del decreto-legge n. 198 del 2022, convertito dalla legge n. 14 del 2023.

In prossimità della camera di consiglio, il Pubblico Ministero ha depositato conclusioni scritte, chiedendo il rigetto del ricorso.

Ragioni della decisione

1. – Il ricorso per cassazione è affidato a tre motivi.

2. – Con il primo motivo, l’avvocato (…) denuncia “l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia”, per avere il giudice disciplinare mancato di considerare che l’intento liberale sotteso alla corresponsione del “palmario” sarebbe stato comprovato dalla circostanza che la cliente non aveva richiesto il rilascio della fattura all’atto del pagamento, né aveva in seguito provveduto ad emettere autofattura ai sensi dell’art. 6, comma 8, del d.lgs. 18 dicembre 1997, n. 471.

3. – Con il secondo motivo, il ricorrente denuncia “violazione ed errata applicazione delle norme di diritto”, per avere il CNF omesso di indicare le disposizioni dalle quali discenderebbe l’obbligo di emissione del documento fiscale in ipotesi di corresponsione del “palmario”, violando così il diritto di difesa dell’incolpato.

4. – Con il terzo motivo, infine, la parte lamenta ancora la “violazione ed errata applicazione delle norme di diritto”, per avere il giudice disciplinare attribuito valenza probatoria al ricorso per decreto ingiuntivo promosso dall’incolpato nei confronti della cliente per il pagamento del saldo del compenso pattuito.

5. – I tre motivi di ricorso possono essere esaminati congiuntamente, data la loro stretta connessione.

Essi sono infondati e, in parte, inammissibili.

6. – Le censure articolate dal ricorrente muovono dal presupposto interpretativo secondo cui l’importo corrisposto a titolo di “palmario” dalla cliente al proprio avvocato non sarebbe soggetto agli obblighi di fatturazione.

Si tratta di un presupposto interpretativo erroneo.

Il “palmario”, infatti, costituisce una componente aggiuntiva del compenso, riconosciuta dal cliente all’avvocato in caso di esito favorevole della lite a titolo di premio o di compenso straordinario per l’importanza e difficoltà della prestazione professionale.

La connotazione premiante del “palmario” non fa venir meno la sua natura di compenso: come tale, esso soggiace agli obblighi fiscali previsti dalla legge ed al relativo obbligo di fatturazione.

Il codice deontologico forense richiama il dovere di adempimento fiscale, prevedendo, all’art. 16, che l’avvocato deve provvedere agli adempimenti fiscali previsti dalle norme in materia. A sua volta, l’art. 29, terzo comma, dello stesso codice fa obbligo all’avvocato di emettere il prescritto documento fiscale per ogni pagamento ricevuto. Viene in rilievo, secondo l’ordinamento generale, l’art. 21 del d.P.R. n. 633 del 1972, puntualmente richiamato nella sentenza impugnata, in base al quale l’obbligo di fatturazione va assolto all’atto del pagamento del corrispettivo, quando, cioè, la prestazione professionale dell’avvocato si considera effettuata.

Pertanto, l’avvocato ha l’obbligo, previsto dagli artt. 16 e 29, terzo comma, del codice deontologico, di emettere fattura tempestivamente e contestualmente alla riscossione di ogni pagamento ricevuto, anche quando l’attribuzione patrimoniale effettuata in favore del medesimo costituisca adempimento del “palmario” convenuto in sede di conferimento del mandato difensivo.

L’inosservanza di questo precetto ha rilevanza disciplinare.

L’obbligo di fatturazione costituisce, infatti, espressione dei doveri di solidarietà e correttezza fiscale, cui l’avvocato è tenuto, non soltanto in funzione della giusta redistribuzione degli oneri, ma anche a tutela della propria immagine e, più in generale, della credibilità della classe forense. Il dovere di lealtà e correttezza fiscale nell’esercizio della professione è un canone generale dell’agire di ogni avvocato, che mira a tutelare l’affidamento che la collettività ripone nell’avvocato stesso quale professionista leale e corretto in ogni ambito della propria attività.

7. – Il ricorso solleva un’altra questione.

L’importo corrisposto dalla cliente all’avvocato (…) sarebbe di un pagamento di prestazioni professionali, ma di una elargizione, di una regalia.

8. – A tale riguardo, il Collegio, preliminarmente, rileva la genericità nella prospettazione delle doglianze.

Il primo motivo denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia. Si è di fronte alla denuncia di un vizio non deducibile, formulata sulla base del paradigma, non applicabile ratione temporis, dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (Cass., Sez. Un., 6 luglio 2021, n. 19030). Le decisioni del Consiglio nazionale forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, con la conseguenza che l’accertamento del fatto, l’apprezzamento della sua rilevanza rispetto all’incolpazione e, in generale, la valutazione delle risultanze probatorie non possono essere oggetto del controllo di legittimità, salvo che si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito; non è, quindi, consentito alle Sezioni Unite sindacare, sul piano del merito, le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sull’assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale (Cass., Sez. Un., 2 dicembre 2016, n. 24647; Cass., Sez. Un., 31 luglio 2018, n. 20344).

La stessa genericità affligge il secondo ed il terzo motivo: essi lamentano violazione ed errata applicazione di norme di diritto, ma non indicano, né nella rubrica e neppure nella illustrazione delle doglianze, quali sarebbero le norme di diritto evocate a parametro dei vizi denunciati.

9. – In ogni caso, il Collegio osserva che la tesi della natura liberale della somma corrisposta dalla signora (…) è riproposta con il ricorso per cassazione in modo apodittico, contrapponendo alla ponderata e logica valutazione delle risultanze probatorie operata dal Consiglio nazionale forense il diverso significato che ad esse assegna il ricorrente.

Invero, il giudice disciplinare ha ritenuto raggiunta la prova che il pagamento effettuato dalla signora (…) non sia stato il frutto di una regalia, ma l’adempimento del “palmario” convenuto tra le parti al momento del conferimento del mandato difensivo.

A tale esito il giudice disciplinare è pervenuto valorizzando le seguenti circostanze.

Innanzitutto, il riconoscimento di un compenso aggiuntivo, quale corrispettivo dell’attività professionale, esplicitato in sede di conferimento del mandato difensivo con una specifica clausola contrattuale.

In secondo luogo, il pagamento dell’importo di euro 7.000, per mezzo di assegno bancario, al proprio difensore, a seguito della pubblicazione della sentenza con cui il Tribunale di (…) condannava la convenuta al pagamento della somma complessiva di euro 74.254,17 in favore della (…).

In terzo luogo, la deposizione della stessa cliente dell’avvocato (…) la quale, escussa come teste nel corso del procedimento disciplinare, ha escluso qualsiasi intento di liberalità sotteso all’attribuzione patrimoniale effettuata in favore del proprio difensore.

Infine, l’ulteriore ricorso per decreto ingiuntivo proposto dall’incolpato, finalizzato ad ottenere il pagamento della restante somma di euro 425,17, a saldo del compenso aggiuntivo determinato in sede di conferimento del mandato difensivo.

La sentenza del CNF contiene una congrua ed esaustiva motiva- zione, priva di vizi logici e giuridici, avendo esaminato, sia singolarmente sia nella loro portata complessiva, una serie di elementi oggettivi dal significato univoco e convergente.

Il ricorrente contesta questa conclusione.

Il ricorrente deduce, infatti, che il CNF non avrebbe tenuto conto di un “esplicito e significativo atteggiamento posto in atto dalla (…) atteggiamento che avalla le sempre sostenute tesi dello scrivente, ovverosia di considerare l’importo consegnato un regalo”, vale a dire la “mancata richiesta della fattura da parte della (…) e la mancata conseguente autofatturazione dopo ben tre anni dal fatto”.

Sennonché, la deduzione difensiva si risolve nella sollecitazione di un, non consentito, sindacato di merito della ponderata valutazione del giudice disciplinare: valutazione che non disvela, nel tessuto argomentativo, mende logiche, indici di sviamento di potere e neppure omesso esame di fatti decisivi per il giudizio.

Cadono, di conseguenza, perché muovono da una tesi che non ha trovato riscontro nelle valutazioni del giudice disciplinare, le doglianze con cui ci si lamenta: (a) della violazione dell’onere probatorio a sostegno delle circostanze di cui all’atto di incolpazione; (b) dell’impedimento di fatto della “possibilità di affrontare e corrispondere contrapposte tesi difensive”; (c) del fatto che la natura di regalia sia stata esclusa con una “generica proposizione”, valorizzando il ricorso alla procedura monitoria nei confronti della ex cliente.

10. – Il ricorso è rigettato.

Non vi è luogo a pronuncia sulle spese, essendo il Consiglio dell’ordine rimasto intimato.

11. – Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, ricorrono i presupposti processuali per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, che ha aggiunto il comma 1-quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. n. 115 del 2002 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002, inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.