Corte di Cassazione, ordinanza n. 17172 depositata il 15 giugno 2023
documentazione – l’art. 25, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 stabilisce che i fascicoli di parte sono acquisiti al fascicolo d’ufficio
RILEVATO CHE
1. La ricorrente presentava istanza di rimborso per IRAP per l’anno 2002. A fronte del silenzio-rifiuto dell’amministrazione veniva proposto ricorso e la CTP respingeva lo stesso in quanto era stata ritenuta preclusiva all’accoglimento dello stesso l’adesione della contribuente alla sanatoria fiscale di cui all’art. 9, l. 27 dicembre 2002, n. 289, documentata a seguito di un ordine di esibizione emesso dalla stessa CTP nel corso del giudizio.
2. La contribuente proponeva così gravame avverso la sentenza di primo grado, e la CTR confermava la sentenza di primo grado.
3. La contribuente propone allora ricorso in cassazione affidato a tre motivi. L’Agenzia si è costituita a mezzo di controricorso per resistere al gravame. La ricorrente ha poi depositato memorie illustrative.
CONSIDERATO CHE
1. Con il primo motivo la contribuente assume violazione degli artt. 7, 32 e 58, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, num. 4, cod. proc. civ.
Infatti, la stessa allega come la decisione di appello si sia basata su un documento, la domanda di adesione, irritualmente prodotta in base ad un provvedimento illegittimo e denunciato come tale in sede d’appello, e neppure poi autonomamente prodotta in sede d’appello, ma solo richiamata dalla difesa erariale.
2. Con il secondo motivo è assunta la falsa applicazione degli artt. 115, cod. proc. civ., 2700 e 2702, cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, num. 3, cod. proc. civ.
Allega la contribuente, una volta dedotta l’inammissibilità della produzione documentale di cui al motivo precedente, come sia del tutto insufficiente l’unico elemento ritualmente presente, costituito dalla semplice interrogazione all’anagrafe tributaria, non accompagnata dal rituale ingresso dell’istanza di definizione.
3. I motivi, che per la loro connessione possono essere trattati congiuntamente, sono fondati.
E’ pacifico che l’Agenzia in primo grado non ha provveduto a depositare tempestivamente il documento costituito dalla domanda di condono, rispetto al termine di cui all’art. 32, d.lgs. n. 546/1992 (fino a venti giorni prima dell’udienza di trattazione), ed è altrettanto pacifico che lo stesso abbia trovato ingresso solo a seguito dell’ordinanza istruttoria resa dal giudice di primo grado ai sensi dell’art. 7, d.lgs. n. 546/1992.
A fronte di ciò la contribuente sottolinea che, benché l’art. 58, comma 2, d.lgs. cit., consenta la produzione di nuovi documenti anche in appello, l’Agenzia anche in appello si è limitata a indicare nel proprio atto che “deve intendersi richiamata e riprodotta in questa sede” la documentazione in oggetto.
Va premesso in proposito che l’ordine di esibizione era palesemente illegittimo, in quanto volto a colmare una evidente lacuna dell’apparato probatorio predisposto dall’Agenzia, andando così ad adempiere impropriamente all’onere probatorio di parte.
Ora è bensì vero che l’art. 25, comma 2, d.lgs. n. 546/1992 stabilisce che i fascicoli di parte sono acquisiti al fascicolo d’ufficio, per cui il documento non rientra più nella disponibilità della parte al termine del giudizio di primo grado, e del resto lo stesso, avendo il documento trovato ingresso nel processo in base all’ordine di esibizione di cui s’è detto, non è mai transitato nel fascicolo di parte, ma piuttosto è stato inserito nel fascicolo d’ufficio, come disposto dall’art. 96, disp. att. cod. proc. civ., applicabile in virtù del rinvio generale alle norme del codice di rito.
Tuttavia, a fronte dell’evidente ed eccepita illegittimità dell’ordine di esibizione, a mezzo del quale l’atto trovò ingresso nel giudizio di primo grado, al fine di limitarsi ad un mero richiamo, in luogo di effettuare la pur consentita produzione per la prima volta in appello, che in linea generale sola poteva consentire l’utilizzabilità dello stesso nel secondo grado, la parte deve allegare quantomeno l’unicità del documento stesso e anche in tal caso la prova della richiesta di rilascio di copia da parte dell’ufficio giudiziario rimasta inevasa.
In proposito deve affermarsi il seguente principio di diritto
Nel processo tributario, allorché un documento venga acquisito attraverso un illegittimo ordine giudiziale di esibizione dello stesso a fronte di una lacuna probatoria della parte che ne viene onerata, la parte stessa, nel susseguente giudizio d’appello, ha l’onere di provvedere alla produzione del documento stesso, ai sensi dell’art. 57 d.lgs. n. 546/1992, non potendo limitarsi al semplice richiamo dello stesso, salvo che non alleghi l’unicità del documento stesso, come prodotto a seguito dell’ordine giudiziale e così entrato nel fascicolo dell’ufficio, e anche in tal caso dimostrando di averne previamente richiesto il rilascio di copia alla segreteria dell’ufficio giudiziario, non ricevendone tempestiva risposta o ricevendone un diniego.
Calando i surriferiti principi alla presente fattispecie, deve osservarsi come addirittura risulta che il documento in questione, consistente in una domanda di condono, venne prodotto in primo grado, a fronte del predetto ordine di esibizione, in “copia per immagine” (cfr. pag. 5 della sentenza), per cui è evidente che il documento stesso rimaneva nella disponibilità dell’amministrazione.
Era dunque onere di quest’ultima, ritenendo di far valere il documento in appello, procedere alla sua produzione in tale istanza.
Così non essendo stato fatto, il mero richiamo non risulta sufficiente.
Alla luce di ciò il materiale probatorio che ha trovato ingresso nel processo dev’essere oggetto di nuova valutazione, senza dunque considerazione di quello che, in base a quanto precede, ha trovato ingresso illegittimamente.
Da tutto quanto precede deriva la cassazione della sentenza impugnata con rinvio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado, che provvederà anche sulle spese.
4. Con il terzo motivo è assunta violazione e falsa applicazione dell’art. 9, comma 9, l. 27 dicembre 2002, n. 289.
In particolare, la contribuente ha dedotto che la richiamata disposizione osterebbe all’istanza di rimborso solo allorché il contribuente pretenda di rimettere in discussione il presupposto d’imposta, ma non preclude di far valere il diritto al rimborso di maggiorazioni d’imposta dichiarate incostituzionali.
4.1 Il motivo risulta assorbito dall’accoglimento dei primi due.
P. Q. M.
La Corte, in accoglimento dei motivi primo e secondo, assorbito il terzo, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, che provvederà altresì alla liquidazione delle spese
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