CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 16458 depositata il 9 giugno 2023
Lavoro – Contestazione disciplinare – Licenziamento – Attività di brokeraggio – Vizio motivazione – Omesso esame del contenuto di alcune prove – Autonoma ratio decidendi – Diniego di ulteriore prova testimoniale – Superfluità delle deposizioni di ulteriori testi – Nuova doglianza inammissibile – Rigetto
Svolgimento del processo
1. G.F. aveva lavorato alle dipendenze di C. dal 28/10/2002 e come dirigente dal 21/12/2007 fino al 31/01/2017, data in cui aveva ricevuto la contestazione disciplinare, alla quale aveva fatto seguito il licenziamento intimato in data 20/02/2017 ma con effetto retroattivo dalla medesima data del 31/01/2017.
2. Il Tribunale di Bologna, all’esito della prima fase, aveva rigettato l’impugnazione del licenziamento.
3. Proposta opposizione dal G., il Tribunale, in accoglimento della domanda, aveva dichiarato illegittimo il licenziamento in quanto privo di giusta causa e di giustificato motivo e, dichiarato inapplicabile l’art. 18 L. n. 300/1970, aveva condannato C. a pagare l’indennità sostitutiva del preavviso pari a dieci mensilità retributive e l’indennità supplementare pari a sedici mensilità retributive, il tutto parametrato alla retribuzione mensile globale di fatto lorda di euro 8.948,33.
4. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte d’Appello respingeva il reclamo principale di C., confermando integralmente la sentenza di primo grado, e, in accoglimento del reclamo incidentale, condannava C. a restituire al G. le spese legali da questi pagate in esecuzione dell’ordinanza conclusiva della c.d. prima fase del giudizio di primo grado.
Per quanto ancora rileva in questo grado, a sostegno della sua decisione la Corte territoriale affermava:
a) dal tenore delle contestazioni disciplinari si evince che il loro disvalore risiede non nel semplice fatto dell’operatività di broker assicurativi a favore di C., bensì nel conferimento, da parte del dirigente G., di tali incarichi eccedendo dai limiti del suo mandato e senza rispettare le procedure di evidenza pubblica; non nel contrasto di vedute con la dott.ssa M. (sua subordinata) circa il recupero dell’asserito credito tributario e l’informativa diretta (da parte della seconda) ai colleghi circa le attività formative, bensì nell’essersi il G. rivolto alla M. con urla e minacce e “utilizzando toni e proferendo parole inaccettabili”; non nel mancato seguito della direttiva del direttore generale in punto di immediato recesso dai contratti relativi all’utilizzo del software Z., bensì nell’aver fatto ciò con iniziativa personale, eccedendo le proprie competenze e senza informare il superiore direttore generale;
b) così intesi i fatti addebitati, la prova orale e documentale, particolarmente approfondita nella fase di opposizione, non è stata idonea a dimostrare gli addebiti, come esattamente ritenuto nella sentenza impugnata, di cui vanno condivisi i principali passaggi motivazionali;
c) in particolare, con riguardo al primo addebito il Tribunale ha evidenziato che agli atti manca qualunque mandato formale asseritamente conferito dal G. al sig. P.P., né a N.M. e a W.I. spa; peraltro questi ultimi due sono gli attuali brokers di fiducia del consorzio C., succeduti da maggio 2014 in tale ruolo al sig. P. e alla società per la quale costui operava;
d) la semplice richiesta di un compenso professionale da parte del sig. P., priva di qualunque supporto documentale, non costituisce affatto prova dell’addebito, dal momento che non vi è alcun elemento, neppure indiziario, che attesti la fondatezza della richiesta di compensi, sussistendo anzi elementi che depongono in senso contrario;
e) dalla prova testimoniale è infatti emerso che quei brokers hanno sì operato per C., ma in prosecuzione di incarichi regolarmente conferiti in precedenza e in supplenza (senza costi) di una società di brokeraggio inattiva e poi fallita, tanto che gli ultimi due (Notari e W.I. spa) sono poi subentrati in tale incarico in esito a procedura di evidenza pubblica;
f) dalla prova testimoniale è altresì emerso che il presidente di C. era perfettamente a conoscenza di tali circostanze, sicché è altresì fondata anche l’eccezione del G. circa la tardività di tale contestazione disciplinare per fatti che risalgono al periodo 2013/2014, laddove il licenziamento è del 2017;
g) del secondo addebito manca la prova; nessuno dei colleghi di lavoro ha assistito agli asseriti rimproveri; l’unica a riferire di un unico episodio è la stessa sig.ra M., la quale ha riferito che nel corso di un colloquio telefonico sarebbe stata minacciata dal G. con urla, il quale avrebbe pure inveito contro di lei; tuttavia nessuno dei colleghi di lavoro presenti in quel momento nell’open space dove lavorava pure la M. ha sentito il contenuto della telefonata, né ha percepito gli asseriti urli del G.;
h) dunque non è convincente la testimonianza della M., perché se fosse vero quanto da lei riferito, sicuramente la sonorità degli urli sarebbe stata percepita dagli altri soggetti presenti nell’open space accanto alla postazione della M., i quali hanno sì sentito la telefonata ed hanno compreso che dall’altro capo del telefono vi era il G., ma non hanno sentito alcun tono alterato, né urla o minacce;
i) peraltro la teste M.S. ha riferito sul carattere del G. e lo ha descritto come “uno che non ho mai sentito alzare la voce” e nessuno degli altri testimoni escussi ha mai raccontato di precedenti specifici in tal senso del G., né costui è stato mai in precedenza ripreso per tale tipo di comportamenti;
j) in ogni caso si tratterebbe di un episodio che da solo non è idoneo a fondare un licenziamento per giusta causa;
k) con riguardo al terzo addebito, parimenti non sussiste alcuna prova;
anzi, dall’istruttoria e dalla e-mail inviata dal dott. G. al G. e alla dott.ssa B., nonché dalle testimonianze, è emerso che il direttore generale e amministratore delegato (V.D.) aveva incaricato il dott. G., responsabile dei sistemi informatici, di predisporre una lettera di recesso dal contratto con Z.; il dott. G., una volta predisposta la lettera di recesso, aveva chiesto al G. di valutarla e di confermargli per iscritto la correttezza del suo contenuto; il G., a fronte di tale richiesta, ha chiesto una consulenza giuridica all’avv. S., legale del consorzio, trasmettendogli i contratti da disdettare; l’avv. S., avendo alcuni dubbi giuridici sulla possibilità di recedere unilateralmente dai predetti contratti, ha chiesto al consorzio documentazione aggiuntiva e a fronte della complessità della questione ha contattato telefonicamente il presidente del consorzio, prof. F., per avere un incontro congiunto nel quale discutere della questione; in data 28/12/2016 si tenne questa riunione nell’ufficio del G. con l’avv. S., il presidente prof. F. e il dott. M. esperto del C. e alla fine della riunione il presidente prof. F. decise di non firmare ancora la lettera di recesso e di approfondire ulteriormente la questione, aspettando il rientro dalle ferie dell’amministratore delegato V.; ne deriva che il G. non ha posto in essere alcuno dei comportamenti che a tal riguardo gli sono stati contestati;
l) la misura dell’indennità supplementare liquidata dal Tribunale è corretta e congrua in relazione all’anzianità di servizio e alla manifesta illegittimità del licenziamento; avendo natura indennitaria e non risarcitoria risultano totalmente infondate le eccezioni della reclamante di aliunde perceptum vel percipiendum;
5. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il Consorzio C., affidato a due motivi.
6. Ha resistito il G. con controricorso.
7. Il P.G. ha depositato memoria con cui ha rassegnato le sue conclusioni.
8. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, n. 5, c.p.c. il ricorrente lamenta difetto assoluto di motivazione ed omesso esame circa fatti controversi e decisivi.
In particolare si duole dell’omesso esame del contenuto di alcune prove documentali e testimoniali a suo dire decisive.
Il motivo è inammissibile, in quanto il ricorrente intende far ripercorrere a questa Corte un diverso ragionamento istruttorio, che attiene tutto al merito, il cui sindacato è estraneo a quello di legittimità.
Il motivo è comunque inammissibile, in quanto la ricostruzione dei fatti storici compiuta dai giudici di primo e di secondo grado è stata identica, sicché ai sensi dell’art. 360, penult. co., c.p.c. la c.d. doppia conforme esclude l’ammissibilità del vizio denunziato (come esattamente eccepito dal controricorrente).
Il motivo è altresì inammissibile perché non affronta la ratio decidendi della pronunzia impugnata (ad esempio, in relazione al primo addebito disciplinare la Corte territoriale ha affermato che non vi sia prova di alcun incarico professionale conferito dal G. al sig. P. e tale affermazione non è specificamente censurata dal ricorrente; in relazione all’attività di brokeraggio svolta dal sig. N.M. la Corte territoriale ha affermato che in un primo momento questa attività venne svolta in supplenza della precedente società e comunque senza costi e tale affermazione non è specificamente censurata dal ricorrente).
Il motivo è infine inammissibile in relazione al secondo addebito disciplinare, poiché investe solo l’affermazione della Corte territoriale circa la mancata prova del fatto e non pure l’ulteriore affermazione che, seppure vi fosse stata questa telefonata dai toni inurbani fra G. e la M., comunque si tratterebbe di un fatto da solo non idoneo a giustificare il licenziamento (v. supra sub J).
Si tratta di un’autonoma ratio decidendi, la cui mancata impugnazione rende inammissibile il motivo. Infatti, quando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su diverse rationes decidendi, ciascuna idonea a giustificarne autonomamente la statuizione, la circostanza che tale impugnazione non sia rivolta contro una di esse determina l’inammissibilità del gravame per l’esistenza del giudicato sulla ratio decidendi non censurata (Cass. n. 13880/2020) o comunque per difetto di interesse, atteso che, essendo divenuta definitiva l’autonoma motivazione non impugnata, in nessun caso l’accoglimento del motivo potrebbe portare alla cassazione della sentenza, in quanto sufficientemente sorretta dalla ratio decidendi non impugnata (Cass. n. 18641/2017).
2. Con il secondo motivo, proposto ai sensi dell’art. 360, co. 1, nn. 3 e 5, c.p.c., il ricorrente prospetta violazione e/o falsa applicazione dell’art. 246 c.p.c. ed omesso esame di un fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti.
In particolare lamenta il diniego di ulteriore prova testimoniale con il sig. P., ritenuto erroneamente incapace a testimoniare, e con i sigg.ri M. e F. ritenuti erroneamente superflui.
Il motivo è infondato in relazione alla prima censura, inammissibile in relazione alla seconda.
In relazione alla prima censura non sussiste alcuna violazione dell’art. 246 c.p.c., atteso che il P. aveva avanzato richiesta di compenso a C. e quindi era certamente titolare di un interesse giuridico in causa, tale da renderlo incapace a testimoniare. Infatti, rispetto all’asserito credito vantato dal P., l’esistenza o l’inesistenza di un conferimento di incarico da parte del G., dirigente di C., riveste il ruolo di fatto decisivo, in quanto costitutivo del diritto da colui vantato. Quindi sussisteva uno specifico interesse del P. tale da renderlo incapace a testimoniare.
In relazione alla seconda censura la Corte territoriale ha compiuto una valutazione non implausibile di superfluità delle deposizioni degli ulteriori testi M. e F., sulla base della testimonianza di B.S., che aveva riferito di avere indagato sul fatto (poi oggetto del secondo addebito disciplinare) con i predetti due dipendenti, i quali le avevano riferito di non aver sentito nulla, donde la ritenuta superfluità della richiesta di C. di escutere anche questi altri due testimoni, originariamente non indicati negli atti difensivi. Si tratta, dunque, di valutazione che attiene alla formazione del convincimento del giudice del merito, che si sottrae al sindacato di questa Corte qualora – come nella specie – non implausibile.
In ogni caso la censura sarebbe parimenti inammissibile, in quanto pur ammettendo che l’ulteriore prova testimoniale desse in ipotesi esito favorevole alla tesi di C., nondimeno resterebbe fermo il convincimento della Corte territoriale (non investito sul punto da specifica censura) secondo cui quel singolo episodio (la telefonata del G. alla M. con toni alterati e con minacce) non sarebbe da solo idoneo a giustificare il licenziamento (v. supra, sub J). Pertanto il fatto oggetto del motivo non sarebbe “decisivo” e, quindi, non risponderebbe al requisito richiesto dall’art. 360, co. 1, n. 5) c.p.c.
3. La domanda avanzata in via subordinata dal ricorrente (v. ricorso per cassazione, pagg. 25-26) – ossia di considerare che comunque sussiste la giustificatezza del licenziamento, trattandosi di dirigente e quindi essendo sufficiente qualunque fatto idoneo ad incrinare il particolare rapporto di fiducia con il datore di lavoro – è inammissibile.
In disparte la circostanza del non essere stata la doglianza veicolata con apposito motivo di ricorso, si tratta di aspetto non considerato dalla sentenza impugnata (né il Consorzio ricorrente indica in ricorso, nel rispetto del principio di autosufficienza di questo, il luogo degli atti processuali da cui emerga in ipotesi la sottoposizione della questione al giudice di appello, con le appropriate trascrizioni).
I motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena d’inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio d’appello, non essendo prospettabili per la prima volta in sede di legittimità questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase di merito, tranne che non si tratti di questioni rilevabili d’ufficio. Il ricorrente, al fine di evitare una statuizione di inammissibilità per novità della censura, ha l’onere non solo di allegare l’avvenuta deduzione della questione avanti al giudice del merito, ma anche di indicare in quale atto del precedente giudizio lo abbia fatto, onde dar modo alla Corte di cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione, prima di esaminarne il merito (conf. Cass. n. 22069/2015). La doglianza in esso contenuta non risulta essere stata dedotta nel giudizio di merito; al riguardo è opportuno ricordare che, secondo l’orientamento pacifico di questa Corte, i motivi del ricorso per cassazione devono investire, a pena di inammissibilità, questioni che siano già comprese nel tema del decidere del giudizio di appello, non essendo prospettabili per la prima volta in cassazione questioni nuove o nuovi temi di contestazione non trattati nella fase del merito e non rilevabili d’ufficio (Cass. 14 aprile 2020, n. 7803 e 26 marzo 2012, n. 4787).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso; condanna il ricorrente a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in euro 6.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, nonché oltre spese generali, cpa ed IVA.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dell’art. 13, co. 1 bis, d.P.R. cit., se dovuto.
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