Corte di Cassazione sentenza n. 16644 depositata il 23 maggio 2022
rimborso IRPEF – benefìci fiscali accordati in conseguenza di eventi calamitosi
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle entrate ricorre, con un motivo, avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia, sezione staccata di Siracusa, sopra indicata, che ha accolto il ricorso di Carmela Bianca per l’ottemperanza dell’Amministrazione finanziaria agli obblighi derivanti dalla sentenza 4861/16/15, pronunciata dallo stesso giudice e passata in giudicato, che aveva riconosciuto alla contribuente il rimborso pari al 90% dell’Irpef versata in eccedenza per gli anni d’imposta 1990, 1991 e 1992, in applicazione dell’art. 9, comma 17, della legge 27 dicembre 2002, n. 289.
2. Costituitosi nel giudizio d’ottemperanza, l’ufficio ha dedotto di avere già adempiuto con il pagamento della somma pari alla metà dell’importo riconosciuto dalla predetta sentenza, ovvero nei limiti di quanto disposto dall’art. 16-octies, l. 20 giugno 2017, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123.
3. La decisione qui impugnata ha accolto il ricorso evidenziando l’errore commesso dal Fisco dal momento che la disciplina da quest’ultimo invocata riguarda la fase amministrativa (“in relazione alle istanze presentate”, è scritto in sentenza), non già quella giurisdizionale.
4. La contribuente resiste con controricorso, illustrato con una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con l’unico motivo di ricorso [«Violazione e falsa applicazione dell’art. 1, comma 665, legge 23 dicembre 2014 190, come modificato dall’art. 16-octies del d.l. 20 giugno 2017 n. 91, convertito dalla legge 3 agosto 2017 n. 123, e del provvedimento 26 settembre 2017 del Direttore dell’Agenzia delle entrate, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c.»], l’Agenzia censura la sentenza impugnata che ha dichiarato che l’Amministrazione finanziaria debba ottemperare al giudicato tributario con il pagamento dell’intera somma liquidata, a titolo di rimborso, dalla sentenza divenuta irrevocabile.
1.1 Rileva l’Amministrazione che l’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, come modificato dall’art. 16-octies, del d.l. n. 91 del 2017, dispone che «[…] In relazione alle istanze di rimborso presentate, qualora l’ammontare delle stesse ecceda le complessive risorse stanziate dal presente comma, i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute; a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi. Con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate, da emanare entro il 30 settembre 2017, sono stabilite le modalità e le procedure finalizzate ad assicurare il rispetto dei limiti di spesa stabiliti dal presente comma. A tal fine è autorizzata la spesa di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni 2015-2017.». Il Provvedimento n. 195405/2017, emanato il 26 settembre 2017 dal direttore dell’Agenzia delle entrate, prevede che «2.1 Tenuto conto dei limiti di spesa autorizzati dall’articolo 1, comma 665, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, nonché́ dell’importo riferibile alle istanze di rimborso presentate, l’Agenzia delle entrate effettua i rimborsi delle istanze validamente liquidate, ai sensi del punto 1.1., applicando la riduzione del 50 per cento sulle somme dovute. 2.2 L’Agenzia delle entrate provvede periodicamente ad erogare gli importi validamente liquidati, nella misura sopra indicata, a partire da quelli che si riferiscono alle istanze con data di presentazione più remota, fino a concorrenza delle somme stanziate. 2.3 Al completamento dell’esame delle istanze di rimborso da parte degli uffici dell’Agenzia delle entrate territorialmente competenti e all’effettuazione dei rimborsi con la riduzione del 50 per cento degli importi risultanti dovuti, qualora eccedano risorse finanziarie rispetto ai limiti di spesa autorizzati, le somme residue sono erogate proporzionalmente al valore degli importi liquidati, ai sensi del punto 1.1.».
1.2 Così delineata la normativa di riferimento, l’Agenzia, in sintesi, imputa al giudice dell’ottemperanza l’errore di avere negato l’applicazione della riduzione prevista dallo ius superveniens anche alle istanza di rimborso per le quali, come nel caso di specie, sia ancora pendente il giudizio per il loro E ciò perché la norma in esame è stata introdotta quando era ormai decorso da anni il termine per proporre istanza di rimborso (e per impugnare l’eventuale diniego opposto dall’Amministrazione), ragion per cui, se si escludesse la sua applicazione ai giudizi pendenti, sarebbe del tutto annullato il suo àmbito applicativo.
Il motivo è fondato nei limiti di seguito precisati.
2. Per costante giurisprudenza della Corte, lo ius superveniens introdotto dall’art. 16-octies l. 20 giugno 2017 n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2017, n. 123, ed attuato con il sopra citato provvedimento direttoriale — essendosi limitato a precisare che il rimborso di quanto indebitamente versato spetta ai soggetti specificamente individuati nei limiti delle risorse stanziate e, in caso di eccedenza, con la riduzione percentuale sulle somme dovute, oltre che, a seguito dell’esaurimento delle risorse, non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi — non incide sulla questione del diritto al rimborso spettante ai soggetti colpiti dal sisma del 1990, operando i limiti delle risorse stanziate, e venendo in rilievo eventuali questioni sui consequenziali provvedimenti liquidatori emessi dall’Agenzia delle entrate, soltanto in fase esecutiva e/o di ottemperanza (ex multis Cass. 22/02/2018, n. 4291; Cass. 25/03/2021, n. 8393; Cass. 22/04/2021, nn. 10714 e 10716; Cass. 13/11/2020, n. 25818; Cass. 30/09/2020, n. 20790; Cass. 22/02/2019, n. 5300).
A supporto di tale conclusione, oltre al tenore letterale dello stesso plesso normativo sopra richiamato, questa Corte ha poi rilevato che è ius receptum l’affermazione che, in mancanza di disposizioni transitorie, non incide sui giudizi in corso l’introduzione, con legge sopravvenuta, di un diverso procedimento amministrativo di rimborso (Cass. 22/02/2018, n. 4291, che richiama ad esempio Cass. 24/04/2015, n. 8373, in tema di Iva).
In questa cornice nomofilattica, merita rammentare, per la spiccata affinità con il caso di specie, che la Corte, a proposito della limitazione dell’erogazione dell’indennizzo agli aventi diritto in base alla cd. legge Pinto, ha chiarito che «Affatto priva di rilevanza […] è l’eccezione d’illegittimità costituzionale formulata con riguardo all’articolo 3, comma 7, della citata legge 89/2001, che limita l’erogazione dell’indennizzo agli aventi diritto entro i limiti delle risorse di bilancio annualmente disponibili. […] [N]on sussiste, infatti, nel caso concreto, il diritto della parte a percepire un qualsiasi indennizzo, e ciò comporta comunque l’inoperatività di detta norma, la quale, del resto, non potrebbe mai trovare applicazione in sede di cognizione, ma solo, eventualmente, in fase di esecuzione della pronuncia di condanna dell’amministrazione a corrispondere una determinata somma a titolo di equa riparazione.» (Cass. 10/04/2003, n. 11715, in motivazione).
3. Tale condivisibile orientamento, al quale va dato seguito, non inscrive dunque lo ius superveniens all’interno della disciplina sostanziale del diritto al rimborso, ma entro quella procedimentale della sua attuazione. Sul versante giudiziario, il rivolto di una simile opzione ermeneutica risiede in ciò, che la relativa questione, estranea al giudizio di cognizione, nel quale detto diritto viene accertato, appartiene necessariamente al giudizio d’ottemperanza, nel quale il diritto al rimborso viene attuato.
Pertanto, nelle ipotesi in cui l’Amministrazione ha eccepito la rilevanza dei limiti in questione nell’àmbito del giudizio di cognizione diretto ad accertare il diritto al rimborso, la Corte ha ritenuto il relativo motivo infondato, se non inammissibile, ribadendo che la sede nella quale avrebbe potuto essere dedotto era quella del giudizio sull’esecuzione e/o l’attuazione del diritto accertato (cfr. ex multis le citate Cass. 22/02/2018, n. 4291; Cass. 25/03/2021, n. 8393; 22/04/2021, nn. 10714 e 10716; Cass. 13/11/2020, n. 25818; Cass. 30/09/2020, n. 20790; Cass. 22/02/2019, n. 5300).
Non sfugga, però, l’ineluttabilità, logico-giuridica, di tale conclusione, giacché quantificare limitazioni e riduzioni (percentuali o persino integrali) di un rimborso, in relazione ad un determinato stanziamento di pubbliche risorse ed alla concomitanza di domande di diversi aventi diritto, da un lato, presuppone che il singolo importo da limitare sia stato definitivamente determinato (e dunque irrevocabilmente accertato, ove sia stato controverso in giudizio); dall’altro, richiede la valutazione di circostanze (le risorse stanziate e la loro capienza in rapporto alle altre domande) “esterne” alla fattispecie di pertinenza di ciascun contribuente, che sono estranee al thema decidendum del giudizio sulla singola domanda di rimborso e che verranno necessariamente a definirsi solo quando il relativo diritto al rimborso sarà ormai determinato nell’an e nel quantum ed entro quei limiti sarà attuabile.
4. Traendo le fila del ragionamento, la Corte ha già chiarito come la disciplina dei limiti di attuazione del diritto al rimborso, nella materia controversa, si applichi anche quando il relativo diritto sia stato accertato con sentenza definitiva, a seguito di contenzioso con l’Amministrazione.
E infatti si è affermato che «È peraltro consequenziale che, se la questione attiene alla fase esecutiva, qualunque sia il titolo del rimborso, compreso quello giudiziale, esso sarà sottoposto alle modalità regolamentate dal comma 665 dell’art. 1 della l. n. 190 del 2014, come modificato dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017, convertito con l. n. 123 del 2017» (Cass. 15/03/2019, n. 7368, in motivazione).
Nello stesso senso, si è soggiunto che «In tema di rimborso Irpef, i limiti quantitativi introdotti dall’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017 si applicano ai giudizi esecutivi instaurati dopo la relativa entrata in vigore, essendo indifferente che il titolo esecutivo azionato derivi da un accertamento in via amministrativa compiuto dall’amministrazione fiscale o dal passaggio in giudicato della sentenza resa all’esito dell’instaurazione del giudizio di accertamento del diritto alla ripetizione della maggiore imposta versata» (Cass. 14/10/2021, n. 28108).
Si tratta, anche in questo caso, di una conseguenza logica necessaria: se la questione non appartiene al giudizio di cognizione e, pertanto, l’Amministrazione non la può porre nella fase in cui il diritto al rimborso venga definitivamente accertato, la si potrà dedurre nel giudizio in cui lo stesso diritto venga attuato e debbano applicarsi, ratione temporis, le norme che disciplinano e limitano la sua attuazione. Diversamente opinando, infatti, l’art. 16-octies del d.l. n. 91 del 2017, sarebbe una norma vuota, mai concretamente applicabile.
5. Sulla premessa che la disciplina in questione trovi la sua sede naturale nell’àmbito dell’attuazione, e quindi nel giudizio d’ottemperanza, occorre individuarne gli effetti sul diritto al rimborso, nel caso di specie accertato con sentenza passato in Ebbene, l’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014 (come modificato dall’art. 16-octies, del d.l. n. 91 del 2017, e poi dall’art. 29, del d.l. n. 162 del 2019, ed integrato dal citato provvedimento direttoriale del 26 settembre 2017), allorquando dispone che, qualora l’ammontare delle istanze di rimborso ecceda le complessive risorse stanziate (da ultimo nell’importo di euro 160.000.000,00, senza ripartizione annuale) dalla medesima norma, «i rimborsi sono effettuati applicando la riduzione percentuale del 50 per cento sulle somme dovute» e che «a seguito dell’esaurimento delle risorse stanziate dal presente comma non si procede all’effettuazione di ulteriori rimborsi», non prevede una falcidia sostanziale del quantum del relativo credito del contribuente. Piuttosto, il complesso normativo in questione determina le modalità e le procedure di effettuazione del rimborso in sede amministrativa, regolando il relativo procedimento secondo criteri di ordinata contabilità dello Stato, e, tenuto conto della limitatezza delle risorse stanziate e disponibili, ne disciplina l’impiego con l’intento di escludere, per quanto possibile, sperequazioni tra i singoli aventi diritto nel medesimo contesto cronologico e finanziario.
In sostanza, quindi, l’avente diritto al rimborso che, per effetto della descritta disciplina di attuazione, sia stato soddisfatto solo per metà del suo credito, o addirittura non sia stato affatto soddisfatto, non perde comunque il diritto all’integrale adempimento del rimborso, così come accertato ormai irrevocabilmente.
A tale conclusione conduce innanzitutto la stessa lettera delle norme, che si riferiscono unicamente all’“effettuazione dei rimborsi”, e non al diritto sostanziale che ne è oggetto.
D’altra parte, anche il giudice delle leggi (con riferimento alla fattispecie, ante già richiamata, della c.d. “legge Pinto”, assimilabile a quella sub iudice), ha concluso nello stesso senso, chiarendo che «Il denunciato art. 3, comma 7, della legge 24 marzo 2001, n. 89 (Previsione di equa riparazione in caso di violazione del termine ragionevole del processo e modifica dell’articolo 375 del codice di procedura civile) − nel testo risultante dalla modifica da ultimo introdotta dall’art. 55, comma 1, lettera c), del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83 (Misure urgenti per la crescita del Paese), convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134 − stabilisce che “L’erogazione degli indennizzi [per irragionevole durata del processo] agli aventi diritto avviene nei limiti delle risorse disponibili” […] Tale disposizione, ovviamente, non comporta che l’esaurimento dei fondi destinati (in bilancio dell’amministrazione erogante) al pagamento degli indennizzi in questione, escluda in via definitiva l’adempimento dei giudicati di condanna ex lege n. 89 del 2001, con riguardo ai quali non vi siano al momento risorse disponibili. Comporta bensì unicamente che, in conseguenza di quella attuale indisponibilità, il pagamento degli indennizzi di che trattasi sia differito al momento in cui sia ripristinata la disponibilità delle correlative risorse, ed avvenga, quindi, in ritardo rispetto alla data di intervenuta definitività del titolo.» (Corte cost., sent. n. 157 del 2015, punto n. 2 della motivazione).
E, con riferimento ai limiti introdotti dalla medesima “legge Pinto”, anche la giurisprudenza della Corte di Strasburgo ha affermato il principio secondo il quale la mancanza di risorse finanziarie non può costituire di per sé sola la ragione per non adempiere un debito riconosciuto giudizialmente (Corte EDU, 29/03/2006, Cocchiarella c. Italia, § 90; cfr. anche Corte EDU, 21/12/2010, Gaglione c. Italia, §§ 35 e 17). Infine, il contenimento della rilevanza dei limiti di stanziamento alla sola fase procedimentale di attuazione del rimborso corrisponde anche a un’interpretazione costituzionalmente orientata dell’art. 1, comma 665, della legge n. 190 del 2014, per evitare la possibile disparità di trattamento, contrastante con l’art. 3, Cost., che verrebbe altrimenti a crearsi tra i contribuenti i quali, per effetto dell’art. 9, comma 17, della n. 289 del 2002, non hanno versato il 90% dell’Irpef di cui agli anni d’imposta 1990, 1991 e 1992, e fruiscono integralmente della relativa agevolazione, ed i contribuenti che, avendo a loro volta diritto allo stesso beneficio, hanno invece integralmente versato l’Irpef relativa ai medesimi periodi, e debbono pertanto anch’essi potere recuperare interamente il 90 per cento dell’imposta, pagato in eccedenza.
Infatti, per la giurisprudenza consolidata della Corte, «In tema di condono fiscale e con riferimento alla definizione automatica della posizione fiscale relativa agli anni 1990, 1991 e 1992, prevista dall’art. 9, comma diciassettesimo, legge n. 289 del 2002, a favore dei soggetti colpiti dal sisma del 13 e 16 dicembre 1990 che ha interessato le province di Catania, Ragusa e Siracusa, la definizione può avvenire in due simmetriche possibilità: in favore di chi non ha ancora pagato, mediante il pagamento solo del 10 per cento del dovuto da effettuarsi entro il 16 marzo 2003; in favore di chi ha già pagato, attraverso il rimborso del 90 per cento di quanto versato al medesimo titolo. Ciò per effetto dell’intervento normativo citato, cui va riconosciuto il carattere di “ius superveniens” favorevole al contribuente, tale da rendere quanto già versato non dovuto “ex post”.» (Cass. 01/10/2007, n. 20641). La stessa decisione puntualizza che «diversamente opinando, si realizzerebbe una ingiustificata disparità di trattamento – peraltro, assolutamente iniqua, in quanto (assurdamente) a tutto danno del contribuente più diligentemente osservante della legge – tra soggetti passivi della medesima fattispecie tributaria: in modo specifico, tra chi non ha pagato e chi ha pagato. Invece, in maniera più coerente anche con gli immanenti princìpi di ragionevolezza, deve ritenersi che spetti a tutti il beneficio della riduzione del carico fiscale de quo ad un decimo.».
6. Per i motivi appresso indicati, è da escludere che, per effetto della sopravvenienza e dell’applicazione (con gli effetti di cui al punto che precede) dell’art. 16-octies, del l. n. 91 del 2017, e del conseguente provvedimento di attuazione del direttore dell’Agenzia delle entrate, sia configurabile una lesione dei diritti del contribuente che evidenzi profili di illegittimità costituzionale.
In primo luogo, per le ragioni già chiarite, il complesso normativo in questione non incide sull’an e sul quantum del diritto sostanziale del contribuente al rimborso, come accertato dalla sentenza passata in giudicato, e non si determina, pertanto, una violazione degli artt. 24 e (per comparazione con i contribuenti che non avevano versato ab origine il 90% dell’imposta) 3, Cost.
In secondo luogo, come questa Corte ha già avuto modo di rilevare, il legittimo affidamento del contribuente, nel caso di specie all’attuazione integrale del rimborso attraverso il procedimento in questione, non si traduce nell’aspettativa di intangibilità della relativa normativa, tanto meno in settori (come quello fiscale) in cui è necessario — e dunque ragionevolmente prevedibile — che le norme in vigore vengano continuamente adeguate al mutare della congiuntura economica (cfr. Cass. 24/02/2020, n. 4848; Cass. 20/02/2020, n. 4411, e la giurisprudenza comunitaria ivi richiamata).
Infine, attraverso il plesso della normativa di attuazione in esame, il legislatore, misurandosi con la limitatezza delle risorse finanziarie erariali in un dato contesto temporale, e considerate le superiori finalità pubbliche cui esse sono destinate, ha realizzato un legittimo bilanciamento tra queste ultime e i diritti del singolo contribuente. Bilanciamento efficacemente perseguito, peraltro, tramite un sistema procedimentale che, operando l’“effettuazione” dei rimborsi in considerazione non soltanto delle risorse disponibili, ma anche dell’insieme delle domande proposte in un determinato lasso di tempo, incide proporzionalmente su ciascuna di esse, e con ciò pone i singoli aventi diritto al riparo da ipotetiche sperequazioni entro il medesimo àmbito cronologico, procedimentale e finanziario.
Fermo restando che, beninteso, il plafond dello specifico stanziamento non comprime il diritto sostanziale al rimborso già accertato, e, come si dirà, neppure ne inibisce definitivamente l’attuazione.
7. È il momento adesso di soffermarsi sui criteri ai quali dovrà attenersi il giudice dell’ottemperanza. Il Collegio è consapevole che, con precedenti arresti, si è ritenuto che l’applicazione dei limiti al rimborso, nella fase esecutiva e quale concreta modalità di attuazione della medesima sentenza di ottemperanza, presupponga che «[sia] allegato dall’Amministrazione quali e quante domande di rimborso siano state presentate o integrate» (Cass. 15/03/2019, n. 7368, in motivazione), e che il giudice dell’ottemperanza «avrebbe dovuto verificare se era stata provato dall’Agenzia delle entrate che l’ammontare delle istanze di rimborso presentate eccedesse le complessive risorse stanziate dall’art. 16-octies […] e, quindi, provvedere di » (Cass. 23/03/2021, n. 8380, in motivazione). Tuttavia, queste conclusioni vanno armonizzate alle peculiarità del caso concreto e del giudizio di ottemperanza.
8. Non si può infatti trascurare: (i) che, per tutto quanto fin qui argomentato, i limiti al rimborso di cui si discute non sono elementi costitutivi, e neppure impeditivi, modificativi o estintivi, del diritto sostanziale al rimborso accertato nel giudizio di cognizione, ma integrano piuttosto delle modalità attuative di tale diritto, dettate direttamente dalla legge. Pertanto, la verifica dei presupposti e delle modalità con i quali essi devono operare appartiene piuttosto al procedimento di attuazione del comando giudiziale, e non è riducibile alla rigorosa applicazione degli oneri di allegazione e di prova che gravano sulle parti; (ii) la precipua natura “attuativa” del giudizio di ottemperanza, e in particolare di quello tributario, nel senso che (Cass. 20/06/2019, n. 16569, in motivazione) «Tale giudizio presenta […] connotati del tutto diversi rispetto al corrispondente giudizio esecutivo civile, dal quale si differenzia, perché il suo scopo non è quello di ottenere l’esecuzione coattiva del comando contenuto nella decisione passata in giudicato, quanto piuttosto quello di dare concreta attuazione a quel comando, anche se questo non contenga un precetto dotato dei caratteri propri del titolo esecutivo (Cass. n. 646 del 18/1/2012; Cass. n. 4126 del 1/3/2004; Cass. n. 20202 del 24/9/2010), compiendo gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della sentenza. […] Ciò comporta che, se da un lato, il potere del giudice dell’ottemperanza sul comando definitivo inevaso non può che essere esercitato entro i confini invalicabili posti dall’oggetto della controversia definita con il giudicato, non potendo essere attribuiti alle parti diritti nuovi ed ulteriori rispetto a quelli riconosciuti con la sentenza da eseguire (cd. «carattere chiuso del giudizio di ottemperanza»), dall’altro lato, può – e deve – essere enucleato e precisato da quel giudice il contenuto degli obblighi scaturenti dalla sentenza da eseguire, chiarendosene il reale significato (Cass. n. 22188 del 24/11/2004; Cass. n. 28944 del 10/12/2008; Cass. n. 11450 del 25/5/2011; Cass. n. 15827 del 29/7/2016). […] La sentenza e gli obblighi che da essa scaturiscono segnano, dunque, il limite dell’oggetto del giudizio in questione, potendo il ricorso per ottemperanza essere proposto solo per far valere le statuizioni che sono contenute nel giudicato o, comunque, per conseguire posizioni giuridiche che dallo stesso discendono come autonoma conseguenza di legge, ma non per trattare questioni nuove o indipendenti rispetto al giudizio conclusosi con la sentenza di cui si chiede la esecuzione; il giudice dell’ottemperanza, tuttavia, al fine di assicurare la piena attuazione del giudicato, può enucleare e precisare il contenuto degli obblighi nascenti dalla sentenza passata in giudicato (come, ad esempio, può avvenire con riguardo agli accessori del credito consacrato nel decisum che, per loro natura, devono essere considerati ricompresi nella pronuncia da eseguire). In sostanza, anche quando il comando non risulta ben definito, il giudice dell’ottemperanza può compiere un’attività cognitiva e ricostruttiva degli obblighi sanciti dalla sentenza ormai definitiva, che non è, invece, consentita nel giudizio esecutivo civile».
9. È dunque in questo contesto dell’attività̀ cognitiva e ricostruttiva degli obblighi sanciti dalla sentenza ormai definitiva che il giudice dell’ottemperanza ha, in ogni caso, il potere ed il dovere di compiere gli accertamenti indispensabili a delimitare l’effettiva portata precettiva della decisione da attuare, che nel caso di specie si estendono alla verifica di tutti i presupposti e di tutte le condizioni che determinano il rimborso da corrispondere, in considerazione delle risorse disponibili, ai sensi dell’articolo 16-octies, e del conseguente provvedimento direttoriale.
10. Si tratta, a ben vedere, della medesima verifica che dovrebbe inderogabilmente compiere ex lege l’Amministrazione, in sede di spontanea attuazione della sentenza de qua, nella quale si sostituisce quindi il giudice dell’ottemperanza, servendosi, se necessario, del commissario ad acta.
Il giudice dell’ottemperanza, per assolvere in maniera esaustiva al compito devolutogli dalla legge in ordine al “quomodo”, ossia all’attuazione della pretesa del contribuente, deve adottare specificamente in sentenza quei provvedimenti indispensabili per l’ottemperanza in luogo dell’ufficio che li ha omessi, e nelle forme amministrative per essi prescritti dalla legge, non essendo a tal fine sufficiente, in un’ottica di garanzia delle parti del giudizio, la mera riproduzione della formula dell’articolo 70, o di altra formula, generica e anòdina.
11. L’ eventuale verificata incapienza, con riferimento al momento dell’effettiva attuazione, delle risorse stanziate sugli ordinari capitoli di spesa utilizzati per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi, nel limite di cui all’ 1, comma 665, legge n. 190 del 2014, n. 190 (come, da ultimo, modificato dal d.l. n. 162 del 2019) e di eventuali successivi ulteriori stanziamenti, se preclude, in tutto o in parte, l’”effettuazione” del rimborso ai sensi della medesima norma e del provvedimento direttoriale che l’ha integrata, non determina, per quanto già argomentato, l’estinzione, parziale o integrale, del relativo diritto sostanziale del contribuente, e non preclude quindi definitivamente la sua attuazione, secondo gli strumenti a disposizione dell’Amministrazione e, dunque, del commissario ad acta nominato dal giudice dell’ottemperanza, che nella relativa sentenza deve precisare il quomodo dell’intervento sostitutivo.
12. D’altro canto, per la prassi amministrativa (nota n. 32882 del 25 marzo 2002 del Dipartimento della Ragioneria Generale dello Stato del Ministero dell’Economia e delle Finanze; nota 2002/81152 dell’11 aprile 2002 della Direzione Centrale Amministrativa dell’Agenzia delle entrate; circolare dell’Agenzia delle entrate 4 febbraio 2003, n. 5/E, § 4; circolare della Ragioneria generale dello Stato n. 24/2014, §§ 6 e 7, con specifico riferimento alle Agenzie fiscali e al giudizio di ottemperanza tributario; circolare della Ragioneria Generale dello Stato n. 24/2015, con riferimento alla dematerializzazione dello speciale ordine di pagamento), l’Agenzia delle entrate, ed in sostituzione di quest’ultima il commissario ad acta, allo scopo di consentire che il giudicato trovi attuazione, sono eventualmente legittimati anche all’emanazione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso di cui all’art. 14, comma 2, d.l. 31 dicembre 1996, n. 669, convertito nella legge 28 dicembre 1997, n. 30 (ed integrato dai d.m. 1 ottobre 2002 e 24 giugno 2015, relativamente alle modalità ed alle caratteristiche dell’ordine di pagamento), con il quale l’Amministrazione dello Stato (i.e. il dirigente responsabile della spesa), può disporre il pagamento mediante emissione di uno speciale ordine rivolto all’istituto tesoriere (Banca d’Italia), al quale chiede di effettuare il pagamento registrandolo in conto sospeso, in attesa della regolarizzazione contabile, che avverrà non appena saranno rese disponibili le necessarie risorse sul pertinente capitolo. L’ordine può essere emesso in presenza di due presupposti, quali la sussistenza di provvedimenti giurisdizionali o lodi arbitrali aventi efficacia esecutiva, e l’assenza di disponibilità finanziaria nel pertinente capitolo di spesa. La ratio del relativo procedimento contabile è quella di evitare gli aggravi di spesa, inerenti alla procedura esecutiva, e di consentire alla P.A. di provvedere al pagamento spontaneo per limitare il più possibile i danni al pubblico erario, derivanti dall’effettivo azionamento della procedura esecutiva. In altri termini, si mira a concedere alla P.A. il differimento dell’esecuzione, per l’approntamento dei mezzi finanziari, occorrenti al pagamento dei crediti azionati, e si vuole evitare il blocco dell’attività amministrativa imputabile ai ripetuti pignoramenti di fondi, contemperando in tal modo l’interesse del singolo alla realizzazione del suo diritto con quello generale ad un’ordinata gestione delle risorse finanziarie pubbliche. La procedura in parola è suscettibile quindi di essere esperita nell’ipotesi di concreta impossibilità, nei termini consentiti, di effettuare i pagamenti a carico dei pertinenti capitoli ordinari di spesa, compreso dunque quello utilizzato per il rimborso delle imposte sui redditi e dei relativi interessi.
In dottrina è stato affermato che l’adozione del procedimento in conto sospeso, qualora ne ricorrano i presupposti di legge, costituisce un atto dovuto, finalizzato a superare la mancanza di fondi, e che l’inerzia può comportare per l’Amministrazione maggiori oneri patrimoniali e la conseguente responsabilità del funzionario preposto all’esecuzione concreta della sentenza di condanna al rimborso a favore del contribuente, per danno erariale, in relazione ai maggiori oneri patrimoniali derivanti all’Amministrazione finanziaria per effetto del ritardo nell’adempimento.
13. In definitiva, la soluzione interpretativa prescelta, che esclude la falcidia del credito accertato, così come la sua incerta dilazione, non soltanto è costituzionalmente orientata, per quanto già rilevato, ma è pure conforme ai precetti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, rispetto alla quale il largo margine di apprezzamento pur riconosciuto agli Stati nel regolare la materia fiscale (art. 1, comma 2, Protocollo n. 1) va letto alla luce del principio del “giusto equilibrio” (comma 1), in termini di giustificazione e proporzione (conf. Corte EDU, in casi Arnaud Francia e Buffalo S.r.l. vs. Italia), non diversamente dalle fattispecie espropriative (Corte EDU in caso Di Belmonte vs. Italia).
14. Va dato seguito al principio di diritto, enunciato da Cassazione civile sez. trib., 19/05/2022, (ud. 18/05/2022, dep. 19/05/2022), n. 16289, e da Cassazione civile trib., 19/05/2022, (ud. 18/05/2022, dep. 19/05/2022), n. 16290, per il quale «Nel giudizio tributario di ottemperanza di cui all’art. 70, d.lgs. n. 546 del 1992, il giudice dell’ottemperanza, adìto dal contribuente per l’esecuzione del giudicato scaturente da decisione ricognitiva del diritto al rimborso delle imposte per effetto di benefìci fiscali accordati in conseguenza di eventi calamitosi, deve accertare la disponibilità degli appositi fondi stanziati ai sensi dell’art. 1, comma 665, legge n. 190 del 2014 – come modificato dall’art. 16-octies, d.l. n. 91 del 2017 e dall’art. 29, d.l. n. 162 del 2019 – e, in caso di verificata incapienza, deve attivare, con determinazioni specifiche, anche tramite la nomina di un commissario ad acta, le procedure particolari previste dalla normativa di contabilità pubblica per dare piena esecuzione alla decisione del giudice di merito, ivi compresa l’emissione dello speciale ordine di pagamento in conto sospeso, non essendo desumibile dalla normativa di riferimento, interpretata alla luce dei princìpi costituzionali e convenzionali, alcuna possibile falcidia di diritti patrimoniali del contribuente giudizialmente accertati».
15. In relazione al motivo di ricorso, la Commissione regionale, discostandosi dai princìpi di diritto sopra illustrati, ha erroneamente negato l’applicabilità dell’articolo 16-octies, perché attinente alla fase amministrativa e non a quella giurisdizionale, mentre avrebbe dovuto riconoscere che la disposizione è applicabile, nei modi e con gli effetti chiariti in precedenza, in quanto vigente dal 13/08/2017, nella fase di esecuzione e attuazione del rimborso che essa mira a disciplinare, e dunque nella pendenza del giudizio di ottemperanza che, come risulta dagli atti di causa, è stato introdotto dopo l’entrata in vigore del suddetto articolo.
16. Il giudice dell’ottemperanza avrebbe pertanto dovuto verificare l’effetto, nel senso già precisato, della disposizione in questione sulle modalità di attuazione del rimborso nel caso di specie, adottando di conseguenza i provvedimenti indispensabili all’ottemperanza, ovvero determinando il quomodo dell’attuazione stessa, a seconda della capienza o meno delle risorse stanziate, applicando il principio appena illustrato.
Tuttavia, la stessa controricorrente ha dedotto di aver comunque già ricevuto dall’Amministrazione il pagamento integrale dell’importo oggetto della sentenza da ottemperare (cfr. pag. 9 della memoria per l’udienza e dichiarazione del difensore riportata nel verbale di udienza) e tale risultato deve presumersi conseguente ad una legittima azione amministrativa, che abbia assicurato il reperimento dei fondi necessari, ricorrendo allo stanziamento in senso proprio, o al conto sospeso o comunque ad altro strumento contabile. Non è quindi necessario, in accoglimento del ricorso, cassare la sentenza impugnata e rinviare al giudice a quo affinché adotti, specificando le modalità di attuazione, i provvedimenti indispensabili all’ottemperanza in luogo dell’ufficio, il quale ha comunque già provveduto.
17. Il ricorso va allora rigettato, essendo necessario e sufficiente correggere, nei termini dei princìpi sinora esposti, la motivazione della sentenza impugnata, ai sensi dell’art. 384, quarto comma, cod. proc. civ.
18. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.
19. Rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato, per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica l’art. 13 comma 1-quater, d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna l’Agenzia delle entrate al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in euro 1.500,00, a titolo di compenso, euro 200.00, per esborsi, oltre al 15 per cento sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori come per legge.
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