Corte di Cassazione sentenza n. 17194 depositata il 27 maggio 2022

inerenza dei costi

Fatti di causa

Come emerge dalla sentenza impugnata, la s.p.a. L.A.S. esercita attività nel settore della ristorazione aeroportuale, in spazi commerciali  posti  nel  sedime  aeroportuale con la formula dei negozi duty free e duty paid.

In relazione  agli anni 2006 e 2007 l’Agenzia  recuperò  costi, che considerò indebitamente dedotti, corrispondenti sia alla componente variabile dei canoni di sub-concessione dei negozi  e degli spazi commerciali collocati all’interno di diverse strutture aeroportuali, ritenuti assimilabili a sovrapprezzi,  sia ai sovrapprezzi veri e propri pagati  in  relazione  alle  attività  aviation,  che  ritenne tutti non inerenti all’attività d’impresa, per contrasto con l’art. 11- terdecies del d.l. 30 settembre 2005, n. 203, conv., con mod., con l. 2 dicembre 2005, n. 248; si legge  in  sentenza  che  le contestazioni assumevano rilevanza anche in relazione all’iva.

Ne scaturirono altrettanti  avvisi,  che  la  società  impugnò, come impugnò le successive iscrizioni a ruolo e le  conseguenti cartelle di pagamento, senza successo né in primo, né in secondo grado.

In  particolare,  il  giudice  d’appello  ha  affermato,   a fondamento della decisione, che l’imposizione di  sovrapprezzi  da parte del gestore aeroportuale è in generale vietata dall’art. 11- terdecies del d.l. n. 203/05, volto a inibire onerose richieste di compensi per lo svolgimento di servizi aeroportuali, le quali si riverbererebbero sulla limitazione della libertà di circolazione dei cittadini e di quella di accesso  al mercato  per i  servizi.  Ad avviso della Commissione tributaria regionale, difatti, il divieto è posto dal legislatore  con riferimento  non soltanto  alle attività  regolamentate, ma anche a quelle non regolamentate, posto che anche le attività oggetto di subconcessione sono comunque strumentali alla navigazione aerea, al  fine  di  salvaguardare  il  vincolo  di destinazione e di utilizzo  dei  beni  aeroportuali  e d’impedire  l’abuso di posizione dominante da parte del gestore. Sicché, ha concluso il giudice d’appello, i costi sostenuti per la corresponsione dei sovrapprezzi non sono deducibili perché non inerenti, a causa della mancanza di sinallagmaticità con le prestazioni, anche in considerazione del divieto imposto per legge.

Contro questa sentenza propone ricorso la contribuente per ottenerne la cassazione, che affida a cinque motivi e illustra con memoria, cui l’Agenzia delle entrate risponde con controricorso, mentre l’agente per la riscossione non replica.

Ragioni della decisione

1.- Con i primi tre  motivi,  che  vanno  congiuntamente esaminati, in quanto concernenti la medesima censura, la società aggredisce la statuizione di non inerenza dei costi, con riguardo soltanto a  quelli  dedotti  in  relazione  alle  attività  non regolamentate, quanto al primo e al secondo motivo, coi quali, rispettivamente, lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 11-terdecies del d.I. n. 203/2005, che fisserebbe il divieto di applicazione di royalties o sovrapprezzi per le  sole  attività  cd. aviation (primo motivo), e deduce l’omessa pronuncia sulla natura programmatica di questa norma (secondo motivo); con riguardo a tutti, quanto al terzo motivo, col  quale  denuncia  la  violazione  o falsa applicazione dell’art. 109 del d.P.R. n. 917 /86, giacché, sostiene, l’inerenza implica soltanto il nesso logico tra il costo sostenuto e l’attività d’impresa. Non trova alcuno sviluppo argomentativo la censura concernente l’iva, che è  soltanto menzionata in narrativa, di modo che per questo aspetto ne va rimarcata l’inammissibilità per carenza di specificità.

1.1.- Infondata è l’eccezione  d’inammissibilità  dell’Agenzia relativa ai primi due motivi perché, contrariamente a quanto obiettato in controricorso, il giudice d’appello ha fondato il proprio giudizio sulla mancanza d’inerenza dei costi non soltanto sull’affermata carenza di sinallagmaticità con le prestazioni, ma anche sul divieto che ha rinvenuto nell’art. 11-terdecies del d.l. n. 203/05.

2.- La censura è, peraltro, inammissibile, quanto al terzo motivo, in relazione ai costi genericamente riferiti alle attività cd. aviation, perché materialmente necessari per lo svolgimento dell’attività di catering e degli altri servizi accessori per i vettori aerei (cd. handling).

Le attività di handling, o servizi di assistenza a terra, sono difatti quelle elencate nell’allegato A del d.lgs. 13 gennaio 1999, n. 18, che ha attuato la direttiva n. 97/67/CE, e concernono le attività commerciali complementari, accessorie e strumentali alla prestazione di trasporto aereo, svolte in ambito aeroportuale, nonché le operazioni funzionali al decollo ed all’approdo degli aeromobili nonché alla partenza e all’arrivo dei passeggeri, svolte sia airside (imbarco/sbarco di passeggeri, bagagli e merci; bilanciamento degli aeromobili; smistamento e riconcilio  dei bagagli; guida al parcheggio; rifornimenti etc.) sia in area passeggeri (servizi di biglietteria, informazioni, check in, fast & found, informazioni etc.), assoggettate al regime stabilito dal

suddetto d.lgs. n. 18/99, in coerenza con la politica unionale di apertura alla concorrenza del mercato del trasporto aereo.

2.1.- Il nudo riferimento alle attività di handling contenuto in ricorso è quindi generico, e ridonda in carenza di specificità del motivo per l’aspetto in questione.

3.- Depurata  dei profili  di carenza  di specificità,  la censura complessivamente proposta è per il resto fondata.

Indubbiamente,    come   sostiene   la   ricorrente, l’art.  11- terdecies del d. I. n. 203/05, come convertito, a norma del quale “In applicazione della normativa di settore, per i servizi regolamentati o  comunque    sottoposti alla vigilanza dell’ENAC in base alla direttiva 96/67/CE  del Consiglio, del 15 ottobre 1996, non possono essere applicati dai gestori aeroportuali e dai fornitori dei servizi sovrapprezzi, in particolare royalties sulla fornitura di carburanti, non  effettivamente  connessi ai costi sostenuti per l’offerta del medesimo servizio”, si applica soltanto alle attività regolamentate.

3.1.- Al riguardo, difatti, le sezioni unite  di  questa  Corte hanno stabilito che l’elenco dei servizi  necessari  di  assistenza  a terra, come indicati dal suddetto allegato A) del d.lgs. n. 18/99, è tassativo e  l’attività  di  ristorazione  svolta  negli  spazi  commerciali siti nell’area di sedime aeroportuale ne è esclusa.

E ciò perché si tratta di un’attività svolta, in via meramente eventuale, su richiesta e autonoma remunerazione del cliente: l’allegato A) include difatti nel servizio pubblico di assistenza­ ristorazione catering a terra, assegnata  al gestore aeroportuale,  le sole  attività  di  collegamento  con  fornitori  e   gestione amministrativa; il magazzinaggio dei cibi, delle bevande e degli accessori necessari  alla  loro  preparazione;  la  pulizia  degli accessori; la preparazione e consegna  del  materiale  e  delle provviste di cibi e bevande (Cass., sez. un., n. 4884/17; conf., in relazione ad altre attività commerciali, Cass., sez. un., nn. 9141/16 e 8849/20).

Contrariamente a quanto affermato dal giudice d’appello dunque, l’attività di ristorazione svolta dalla  contribuente  non rientra nell’ambito applicativo della direttiva n. 96/67 CE, alla quale pur sempre si riferisce l’art. 11-terdecies del d.I. n. 203/05.

4.- Erronea è altresì la statuizione con la quale il giudice d’appello ha escluso l’inerenza dei costi sostenuti per i sovrapprezzi corrisposti per l’insussistenza del rapporto sinallagmatico tra le prestazioni, che sarebbe richiesto dalla norma tributaria.

Questa Corte ha difatti chiarito che, in tema  di imposta  sui redditi d’impresa, il principio dell’inerenza  esprime la riferibilità  dei costi sostenuti  all’attività  d’impresa,  anche  in  via  indiretta, potenziale o in proiezione futura,  di  modo  che  vanno  esclusi soltanto i costi che si collocano in una sfera ad essa estranea.

Da ciò consegue che l’inerenza deve essere apprezzata attraverso un giudizio qualitativo,  scevro dai riferimenti  ai concetti di utilità o vantaggio, afferenti a un giudizio quantitativo, e deve essere distinta anche dalla nozione di congruità del costo, anche se l’antieconomicità e l’incongruità della spesa possono essere indici rivelatori del difetto di inerenza (tra varie, Cass. n. 27786/18).

4.1.- Il principio dell’inerenza dei costi deducibili si ricava dunque dalla nozione di reddito, poiché esprime la necessità di riferire i costi sostenuti all’esercizio dell’attività imprenditoriale (tra varie, Cass. nn. 18904/18, 22938/18, 30366/19).

Sono quindi inerenti i costi riferiti all’attività  da cui derivano i ricavi e i proventi che concorrono a formare l’imponibile aziendale, purché appartenga all’attività produttiva l’evento generatore del decremento che  viene  in  considerazione dal punto  di  vista  fiscale (in questi termini, Cass. n. 31930/21).

5.-   Indubbiamente non è possibile dilatare  le previsioni contrattuali  creando  un  contenitore  capace  di  rendere  deducibile ogni spesa (Cass. n. 13572/21); ma occorre pur sempre verificare che i costi siano coerenti col regolamento d’interessi disposto col contratto, perché funzionali all’operazione economica con esso realizzata.

5.1.- Questa verifica manca nella sentenza impugnata, che va quindi cassata, in accoglimento della  complessiva  censura  svolta, con rinvio alla Commissione tributaria  regionale  del  Veneto  in diversa composizione,  affinché  compia  gli  accertamenti  in questione.

6.- Ne risultano assorbiti il quarto motivo di ricorso, perché proposto in via condizionata, e il quinto, perché concernente le sanzioni.

Per questi motivi

accoglie i primi tre motivi di ricorso  nei  limiti  in  motivazione, assorbiti i restanti, cassa la sentenza impugnata  in  relazione  ai profili accolti e rinvia, anche per le  spese,  alla  Commissione tributaria regionale del Veneto in diversa composizione.