CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 18417 depositata il 28 giugno 2023
Lavoro – Risarcimento dei danni – Licenziamento – Omessa annotazione nel libro giornaliero delle consegne – Proporzionalità tra infrazione commessa e sanzione – Condotta prevista da CCNL – Mancanza di buona fede – Cura e assistenza di persone anziane e non autosufficienti – Vincolo fiduciario fra datore e dipendente – Rigetto – giudicato interno – c.d. “doppia conforme”
Fatti di causa
1. Con la sentenza in epigrafe indicata, la Corte d’appello di Bari ha rigettato l’appello che F.A. aveva proposto contro la sentenza del Tribunale della medesima sede, che aveva rigettato, oltre alla domanda riconvenzionale (di risarcimento dei danni) avanzata dalla convenuta P. s.r.l., il ricorso della lavoratrice, con il quale ella aveva chiesto di dichiarare illegittimo per carenza di giusta causa e per manifesta sproporzione tra infrazione commessa e sanzione applicata il licenziamento che le era stato intimato da detta società con lettera del 2.3.2009.
2. Per quanto qui interessa, la Corte territoriale premetteva che alla lavoratrice, quale operatrice di assistenza, era stato contestato dalla datrice di lavoro che il 31.1.2009 nell’espletamento del suo lavoro in sala mensa non aveva eseguito opportuno bretellaggio di un’ospite, affetta da gravi patologie neurologiche, la quale era caduta, e che di tale circostanza la lavoratrice non aveva provveduto ad informare la direzione, né aveva annotato l’accaduto sul libro delle consegne, e che, successivamente, a seguito del malessere manifestato da detta ospite, la datrice di lavoro aveva appurato l’esistenza di danni fisici a quest’ultima. La stessa Corte, quindi, respingeva tutti i motivi d’appello della F., compreso quello in cui si lamentava la mancanza di proporzionalità tra fatti contestati e sanzione espulsiva, rilevando in proposito anzitutto un giudicato interno.
3. Avverso tale decisione, F.A. ha proposto ricorso per cassazione, affidato a cinque motivi.
4. L’intimata società ha resistito con controricorso.
5. Il P.G. ha depositato memoria in cui ha rassegnato conclusioni scritte, chiedendo dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 324 c.p.c. con riferimento all’art. 2106 c.c., all’art. 2119 c.c. ed in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., per avere i giudici del gravame accolto l’eccezione di giudicato interno, sollevata dalla società datoriale, per mancata impugnazione di quella parte della pronuncia di primo grado che aveva ritenuto proporzionato il licenziamento per giusta causa – in quanto integrante l’unità minima (fatto-norma-effetto giuridico) – contemplata dall’art. 71, lettera k del CCNL Uneba”.
2. Col secondo motivo, denuncia “Violazione e falsa applicazione degli artt. 2106 c.c., 2119 c.c., dell’art. 71 lett. k) CCNL Uneba, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., in quanto la combinazione ed il peso di dati fattuali, così come definiti ed accertati dalla corte territoriale, non ne consentono la riconduzione alla nozione legale di giusta causa, in relazione agli standards conformi ai valori dell’ordinamento esistenti nella realtà sociale e, nello specifico, quelli contemplati dall’art. 42, comma 2 della Costituzione e dall’art. 2087 c.c.”.
3. Con il terzo motivo, denuncia “Violazione degli artt. 2106 c.c., 2119 c.c., dell’art. 71 CCNL Uneba, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c., per omesso esame di tutti quei parametri, tra quelli individuati dalla giurisprudenza, aventi valore decisivo, nel senso che gli elementi trascurati avrebbero condotto ad escludere il giudizio di proporzionalità tra la condotta e la sanzione espulsiva”.
4. Con un quarto motivo, denuncia “Violazione dell’art. 132 n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 360 n. 5, c.p.c., per manifesta illogicità e/o incoerenza e/o contraddittorietà e/o motivazione apparente della sentenza di appello, nella parte in cui pone a fondamento della decisione una condotta posta in essere in assenza di mala fede”.
5. Con un quinto motivo, denuncia “Violazione dell’art. 132 c.p.c. e 111 Costituzione per manifesta illogicità della sentenza in relazione all’art. 360 n. 4, nella parte in cui ritiene connotata da mala fede la condotta della ricorrente consistente nell’aver omesso di annotare l’evento caduta nel libro delle consegne. Motivazione apparente”.
6. Il primo motivo non è fondato.
6.1. In esso la ricorrente censura la parte dell’impugnata sentenza in cui la Corte territoriale, “Quanto alla doglianza a mezzo della quale F. lamenta la mancanza di proporzionalità tra fatti contestati e sanzione espulsiva”, ha rilevato innanzitutto “che non ha formato oggetto di specifica censura l’affermazione contenuta in sentenza secondo cui il c.c.n.l UNEBA, applicabile alla fattispecie in esame, all’art. 71 lett. k) sanziona con il licenziamento senza preavviso la grave negligenza nell’esecuzione del lavoro o di ordini che implichino pregiudizio all’incolumità delle persone o alla sicurezza degli ambienti, e che esso si attaglia perfettamente al caso de quo (v. pag. 8 della pronuncia gravata). Si tratta invero di questione che ha assunto la stabilità propria del giudicato, trattandosi di “unità minima” composta dalla sequenza logica fatto (negligenza che ha arrecato pregiudizio all’incolumità delle persone), norma (disposizione contrattuale collettiva che punisce tale negligenza) ed effetto giuridico (legittimità della sanzione espulsiva immediata applicata all’odierna appellante) suscettibile di giudicato interno”.
6.2. È stato, anche di recente, ribadito da questa Corte il principio, secondo cui ai fini della selezione delle questioni di fatto o di diritto suscettibili di giudicato interno necessita riferirsi all’unità minima suscettibile di acquisire la stabilità del giudicato, che è costituita dalla sequenza logica fatto-norma-effetto giuridico. Ciò in quanto, ciascun elemento di tale sequenza può essere indipendentemente investito di censura in appello, e considerando anche che l’impugnativa motivata in ordine anche ad uno solo di essi riapre per intero l’esame di tale minima statuizione, consentendo al giudice dell’impugnazione di riconsiderarla tanto in punto di diritto (individuando una diversa norma sotto cui sussumere il fatto o fornendone una differente esegesi), quanto in punto di fatto, attraverso una nuova valutazione degli elementi probatori acquisiti (così, tra le più recenti, Cass. civ., sez. lav., 13.4.2022, n. 12038, ed ivi in motivazione i richiami ai precedenti in senso conforme; id., sez. II, 14.1.2022, n. 1066).
6.3. Ebbene, la ricorrente si limita a sostenere che la propria “contestazione della proporzionalità della sanzione espulsiva rispetto alla condotta tenuta dalla lavoratrice evidenzia la chiara volontà di contestare la gravità del comportamento tenuto e, dunque, la sussumibilità della condotta nella nozione legale di giusta causa”, richiamando uno stralcio del relativo motivo d’appello a riguardo.
6.4. Tuttavia, su questo piano non è aggredita in modo pertinente la chiara ratio decidendi della Corte distrettuale circa il rilievo del (parziale) giudicato interno.
In base, infatti, a quanto riscontrato in via principale dalla stessa Corte il motivo d’appello relativo alla proporzionalità della sanzione espulsiva non attingeva la decisione di primo grado in una parte che riguardava, non l’aspetto della proporzione tra i fatti contestati ed il licenziamento, ma il differente profilo che la condotta come contestata ed accertata corrispondeva perfettamente ad una precisa previsione del contratto collettivo applicabile, che per essa contemplava il licenziamento senza preavviso, così escludendo spazi per un giudizio intorno alla proporzionalità.
Pertanto, il riscontro del giudicato interno, operato dai giudici di secondo grado, è nella specie conforme al consolidato orientamento di questa Corte sopra richiamato, perché il motivo d’impugnazione cui ora si riporta la ricorrente non investiva nessuno degli elementi della sequenza logica descritta dalla Corte territoriale.
7. Parimenti infondato è il secondo motivo.
7.1. Tale doglianza investe il punto dell’impugnata sentenza in cui era stata ritenuta del tutto priva di consistenza “la censura relativa alla parte della statuizione di primo grado nella quale si afferma che la lavoratrice ha agito non in buona fede”, perché “come ben spiegato dalla sentenza appellata (v. pag. 7) – la mancanza di buona fede attiene non di certo alla seconda delle condotte contestate (ossia l’allontanamento dalla sala mensa pur nella consapevolezza che l’ospite L. non era stata ancora messa in sicurezza), ma alla terza, ossia all’omessa annotazione dell’accaduto nel libro giornaliero delle consegne”.
7.2. Rileva, allora, il Collegio che il secondo motivo si basa – inammissibilmente – in gran parte su una lettura delle risultanze processuali diversa da quella operata dai giudici di merito, tra l’altro, sostenendosi che le condotte addebitate fossero due (cfr. in particolare pagg. 14-18 del ricorso); laddove anche la Corte territoriale ne aveva individuate tre (a cominciare dall’omesso bretellaggio dell’ospite L.). La ricorrente, inoltre, ivi propone una separata valutazione del non aver annotato l’evento della caduta nel libro delle consegne, che, a suo dire, giusta l’art. 71 n. 4) del cennato CCNL, sarebbe sanzionato con provvedimento conservativo; mentre la Corte d’appello aveva considerato appunto le tre condotte in complesso contestate, condividendo esplicitamente, tra l’altro, la sentenza di primo grado dove aveva affermato “che in considerazione della concatenazione degli eventi e del ristretto periodo temporale in cui si sono svolti, si può desumere l’intento della dipendente di occultare la propria condotta, contando sul fatto che l’ospite non autosufficiente non era in grado di riferire quanto avvenuto”.
8. Inammissibili risultano il terzo ed il quarto motivo di ricorso, che fanno riferimento entrambi all’ipotesi di cui all’art. 360, n. 5), c.p.c.
8.1. Occorre, infatti, ricordare che, per questa Corte, ricorre l’ipotesi di c.d. “doppia conforme”, ai sensi dell’art. 348 ter, commi 4 e 5, c.p.c., con conseguente inammissibilità della censura di omesso esame di fatti decisivi ex art. 360, comma 1, n. 5), c.p.c., non solo quando la decisione di secondo grado è interamente corrispondente a quella di primo grado, ma anche quando le due statuizioni siano fondate sul medesimo iter logico-argomentativo in relazione ai fatti principali oggetto della causa, non ostandovi che il giudice di appello abbia aggiunto argomenti ulteriori per rafforzare o precisare la statuizione già assunta dal primo giudice (in tal senso Cass. civ., sez. VI, 9.3.2022, n. 7724).
E’ stato, inoltre, specificato che, nell’ipotesi di “doppia conforme” prevista dal quinto comma dell’articolo 348-ter del c.p.c., oggi art. 360, quarto comma, c.p.c., il ricorrente per cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui al n. 5 dell’articolo 360 del c.p.c., deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse (così Cass. civ., sez. II, 14.12.2021, n. 39910; id., sez. III; 3.11.2021, n. 31312; id., sez. III, 9.11.2020, n. 24974).
8.2. Nel caso in esame, però, a fronte di decisioni di primo e di secondo grado tra loro senz’altro conformi, la ricorrente per cassazione infondatamente allega, segnatamente nel terzo motivo, che le rispettive rationes decidendi di tali pronunce sarebbero almeno in parte differenti.
8.3. Riguardo a ciò che assume l’impugnante alle pagg. 18-19 del ricorso è sufficiente considerare che non è affatto vero che, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, “la sentenza di secondo grado, pur dando atto della sussistenza delle plurime circostanze concrete idonee ad escludere il riferito giudizio di proporzionalità (così come evidenziate ed indicate nell’atto di appello), non le ritiene sufficienti ad inficiare il giudizio di compromissione irrimediabile del vincolo fiduciario, non esplicitandone, tuttavia il motivo”.
La ricorrente, difatti, trascura di considerare che la Corte di merito, non diversamente dal Tribunale, e nonostante il riscontrato giudicato interno di cui s’è detto, aveva osservato “che la particolare delicatezza dell’oggetto della prestazione lavorativa al cui diligente adempimento era chiamata F., ossia la cura e l’assistenza di persone anziane e non autosufficienti, implica l’insorgere di un vincolo fiduciario particolarmente intenso fra datore e dipendente, giacché il primo deve poter far affidamento sul fatto che le attività di assistenza e sorveglianza verso gli ospiti siano espletate in modo tale da garantirne in modo adeguato l’incolumità, anche in ragione della responsabilità che il datore assume verso i terzi (gli ospiti ed i loro familiari)”.
Non è, perciò, riscontrabile alcun rilevante scarto tra la motivazione del primo giudice e quella della Corte d’appello, la quale, al contrario, ha costantemente ed esplicitamente approvato la prima, aggiungendovi taluni propri rilievi nella misura in cui era necessario per dare risposta ai motivi d’impugnazione formulati.
8.4. Rispetto, quindi, agli elementi dei quali la ricorrente assume essere “mancato completamente l’esame della corte territoriale” nel terzo motivo (ossia, l’assenza di mala fede, l’assenza di precedenti disciplinari, l’assenza di danno arrecato dal datore di lavoro, l’assenza di volontà di arrecare nocumento al datore di lavoro, la mancanza di vantaggi personali, l’intento di semplificare l’attività per far fronte all’enorme massa di lavoro, l’omessa sanzione di altri lavoratori colpevoli della medesima infrazione), il sindacato di questa Corte di legittimità ex art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c. è precluso.
Non senza aggiungere, esclusivamente per completezza di disamina, che tutti tali aspetti in realtà o sono stati direttamente riconsiderati dai giudici d’appello (è il caso della mancanza di buona fede che, come si è visto, essi, come il Tribunale, hanno riscontrato solo nella terza condotta contestata) oppure sono stati dagli stessi reputati subvalenti, come si è già detto (cfr. pag. 7 dell’impugnata sentenza).
8.5. Va da sé, poi, che non può essere presa in considerazione la violazione delle norme di diritto (sostanziale) che pure la ricorrente profila nel terzo motivo di ricorso, che fa esclusivo riferimento all’art. 360, comma primo, n. 5), c.p.c.
9. Quanto, infine, alle anomalie motivazionali denunciate nel quarto e nel quinto motivo, non è riscontrabile alcuna illogicità, incoerenza o contraddittorietà nella motivazione della Corte distrettuale, la quale motivazione non è certamente apparente.
9.1. Come si è già notato, la Corte di merito, al pari del primo giudice, in aderenza a quanto evidenziato nella nota di comunicazione del licenziamento, aveva considerato le tre condotte in complesso addebitate, verificando quindi non un’unica “condotta posta in essere in assenza di mala fede”, come sembra sostenere la ricorrente, ma che solo rispetto all’ultima di esse già il primo giudice aveva affermato che la lavoratrice aveva “agito non in buona fede”.
9.2. Né è predicabile contraddizione di sorta appunto nella motivazione fornita dalla Corte di merito per confermare la decisione di primo grado su quest’ultimo aspetto.
Secondo la ricorrente, la motivazione sarebbe illogica e/o contraddittoria e/o apparente “poiché desume l’intento di occultare la propria condotta dal fatto che l’ospite L. non era in grado di parlare, e poi – a fronte dell’eccezione secondo cui i fatti non erano occultabili perché verificatisi in presenza di altre dipendenti – afferma che questa circostanza non la esonerava dal dovere di annotarlo nel registro delle consegne”.
Sennonché, anzitutto la Corte territoriale ha condiviso l’argomentare del primo giudice sull’intento di occultare la terza condotta addebitata in base al fatto obiettivo che la ricorrente non avesse annotato l’evento nell’apposito registro delle consegne, e non soltanto in base al dato che l’ospite non fosse in grado di riferire quanto accaduto. Circa, poi, la presenza di altre dipendenti nell’occasione, la ricorrente trascura, tra l’altro, di tener conto che la Corte di merito aveva giudicato irrilevante “che l’episodio della caduta di
L. non sia stato annotato dalla fisioterapista nel suo registro”, perché “è del tutto logico ritenere che il registro delle operatrici di assistenza abbia una funzione del tutto diversa da quello dei fisioterapisti, in quanto mentre il primo è visionato da tutto il personale e dalla direzione (e quindi deve contenere tutte le indicazioni utili per la cura e l’assistenza degli ospiti), nel secondo vanno annotati soltanto i trattamenti fisioterapici eseguiti”.
Anche alla luce di questo nessuna insanabile contraddizione si può riscontrare nei motivi dell’impugnata sentenza.
10. In base alle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto con regolamento secondo soccombenza delle spese di lite, liquidate ai sensi del D.M. n. 147/2022.
11. Sussistono i presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per il ricorso a norma del comma 1 bis dell’art. 13 d.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in € 200,00 per esborsi ed € 4.500,00 per compensi professionali, oltre a rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15%, I.V.A. e C.P.A. come per legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13, se dovuto.
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