Corte di Cassazione sentenza n. 20743 depositata il 16 agosto 2018
FATTI DI CAUSA
La Corte d’Appello di Salerno, con sentenza resa pubblica in data 28/1/2016, respingeva il reclamo proposto ex art.1 comma 58 l. n. 92 del 2012 da EG nei confronti della Allianz s.p.a. avverso la sentenza emessa dal Tribunale della stessa sede che aveva rigettato la domanda del lavoratore di impugnazione del licenziamento disciplinare intimato in data 23/5/2014.
Nel pervenire a tali conclusioni la Corte distrettuale, ripercorrendo l’iter argomentativo seguito dal giudice di prima istanza, osservava in via di premessa, che il ricorrente dal marzo 2008, era stato addetto al Centro Liquidazione Danni di Salerno in qualità di “supervisore” nonché di responsabile del Centro Liquidazione Sinistri; in data 30/7/2013 aveva poi ricevuto una contestazione di addebito per omesso controllo in relazione ad una pratica di notevole importo (pari ad euro 35.000,00) per la quale erano emerse numerose criticità ed incongruenze, ed in relazione alla quale era stato sottoposto alla sanzione disciplinare di sospensione per due giorni; da ultimo, in data 29/4/2014 aveva ricevuto ulteriore contestazione per omessa segnalazione di varie pratiche che presentavano anomalie ed elementi di contraddittorietà che lasciavano adito a sospetti.
In estrema sintesi, la Corte territoriale, ritenuta la tempestività degli addebiti relativi ad entrambe le sanzioni disciplinari irrogate, argomentava che, nello specifico, il vincolo di fiducia che il datore di lavoro riponeva nella corretta esecuzione della prestazione lavorativa, era venuto meno non già per l’esistenza di una partecipazione del dipendente ad illeciti commessi ai danni della società, bensì per le omissioni e negligenze attribuibili al ricorrente nell’ambito dei compiti di controllo e di supervisione a lui ascritti, corredati dalla facoltà di esercizio di una preventiva attività istruttoria volta a verificare le criticità dei sinistri, anche mediante la predisposizione di supplementi di indagine e l’invio di eventuali segnalazioni al Servizio Antifrode.
La cassazione di tale pronuncia è domandata da EG sulla base di cinque motivi.
La società intimata resiste con controricorso, successivamente illustrato da memoria ex art.378 c.p.c..
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt.7 legge n.300/70 e dell’art.2119 c.c. in relazione all’art.360 comma primo n.3 c.p.c.. Si deduce, in sintesi, l’illegittimità della sanzione conservativa irrogata in data 20/8/2013, evidenziandosi le ricadute che ne discendono sia sul versante della insussistenza della recidiva oggetto di contestazione degli addebiti sanzionati con la misura espulsiva, sia su quello della tardività di tali ulteriori addebiti, che si riferivano a sinistri liquidati negli anni 2010- 2013. Si lamenta che la Corte di merito abbia accertato la tempestività di entrambi gli atti di incolpazione (risalenti al 30/7/2013 ed al 17/4/2014) trascurando una serie di documenti che ne comprovavano la tardività.
2. Il motivo va disatteso. Premesso che la critica concernente la fondatezza del primo atto di contestazione, sarebbe priva di rilievo decisivo, avendo la Corte di merito argomentato in ordine alla idoneità anche solo delle condotte oggetto del secondo atto di incolpazione a fondare l’irrogazione del provvedimento espulsivo, va rimarcato che il medesimo ricorrente aveva ammesso la fondatezza della contestazione, riconoscendo l’errore compiuto nella liquidazione della somma di euro 35.000,00 nonostante la pratica presentasse evidenti criticità. Quanto alla tardività delle contestazioni che hanno dato luogo al licenziamento disciplinare, deve rammentarsi come i giudici del gravame abbiano rilevato che il primo di tali atti era stato formulato all’esito di indagini interne svolte all’inizio del 2013, di talchè la sanzione irrogata il 30/7/2013 doveva ritenersi tempestiva in base ad una nozione relativa del requisito della immediatezza della contestazione, così come tempestiva era da ritenersi l’ulteriore lettera di addebito del 27/4/2014 scaturita da accertamenti completati nel marzo 2014, benchè risalenti agli anni 2010– Le generiche difese articolate dal ricorrente non appaiono idonee ad inficiare le motivate conclusioni alle quali è pervenuta la sentenza impugnata, conformi all’orientamento consolidato espresso da questa Corte sulla delibata questione. Il principio di immediatezza della contestazione disciplinare è stato definito come “pluridirezionale”, nel senso che accanto alla fondamentale funzione di garantire il diritto di difesa del lavoratore, agevolato nell’addurre elementi di giustificazione a breve intervallo di tempo dall’infrazione, vi è quella di non perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto, sicché esso non può essere pregiudicato neppure nel caso di fatti aventi rilievo penale (in motivazione, vedi Cass. 11/8/2015 n.16683). La ratio del principio riflette l’esigenza dell’osservanza della regola della buona fede e della correttezza nell’attuazione del rapporto di lavoro, e non consente all’imprenditore-datore di lavoro di procrastinare la contestazione medesima in modo da rendere difficile la difesa del dipendente o perpetuare l’incertezza sulla sorte del rapporto, in quanto nel licenziamento per giusta causa l’immediatezza della contestazione si configura quale elemento costitutivo del diritto di recesso del datore di lavoro. Questa ragione giustificativa della regola di immediatezza (del licenziamento e della contestazione) è dunque coincidente con quella che connette l’onere di tempestività al principio di buona fede oggettiva e più specificamente al dovere di non vanificare la consolidata aspettativa, generata nel lavoratore, di rinuncia all’esercizio del potere disciplinare (vedi Cass. 17/12/2008 n.29480). Peraltro, è stato sottolineato con orientamento privo di contrasti, come il criterio di immediatezza vada inteso in senso relativo, dovendosi tener conto della specifica natura dell’illecito disciplinare, nonché del tempo occorrente per l’espletamento delle indagini, tanto maggiore quanto più è complessa l’organizzazione aziendale, con l’ulteriore specificazione che la relativa valutazione del giudice di merito è insindacabile in sede di /-/ legittimità se sorretta da motivazione adeguata e priva di vizi logici ( ex / aliis, vedi, di recente, Cass. 25/1/2016 n.1248, Cass. 12/1/2016 n. 281). Nello specifico, premesso che neanche potrebbe configurarsi una lesione del diritto di difesa del lavoratore al quale era stato consentito di consultare i fascicoli in relazione ai quali si erano evidenziate le contestate criticità, va rimarcato come l’iter motivazionale che sorregge l’impugnata sentenza appaia del tutto congruo oltre che conforme agli enunciati principi, onde resiste alla censura all’esame.
3. Il secondo motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art.148 d. Igs. n.209/2005 – Codice delle Assicurazioni – come modificato dalla legge n.27/2012 ex art.360 comma primo n.3 c.p.c.. Ci si duole che la Corte territoriale non abbia rettamente interpretato tale disposizione, laddove ha affermato che la condotta non diligente del lavoratore si era concretizzata nella liquidazione dei sinistri nonostante la presenza di anomalie di natura sostanziale e formale, negando che un eventuale ritardo nei pagamenti avrebbe potuto comportare alcuna sanzione da parte degli organi di vigilanza, posto che in tal caso, si realizzava una mera sospensione del termine previsto dalla legge per la comunicazione della decisione in merito alla richiesta di risarcimento. Il ricorrente deduce per contro che qualora l’assicuratore non formuli alcuna offerta entro il termine previsto dalla norma deve fornire adeguata motivazione di tale diniego.
4. La critica appare non fondata giacchè la condotta ascritta al dipendente si sostanziava nella violazione dell’obbligo di diligenza nella esecuzione della prestazione connesso al ruolo apicale rivestito dal ricorrente nel settore cui era preposto, che richiedeva il ricorso ad una ponderata valutazione della fattispecie scrutinata, alla quale la disposizione richiamata connetteva la possibilità di esperire motivati ulteriori accertamenti, così consentendo alla azienda di addivenire a congrue liquidazioni, nel contempo evitando le sanzioni previste dalle disposizioni richiamate.
5. Con il terzo motivo, è denunciato omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art. 360 comma primo n.5 c.p.c.. Si lamenta che la Corte di merito abbia omesso di esaminare il fatto decisivo per la controversia, secondo cui il supervisore, oltre alla attività dei pagamento cd. in eccezione, dovesse adempiere a numerosi, ulteriori gravosi compiti, intervenendo comunque all’esito di un complesso meccanismo istruttorio al quale partecipavano anche il perito ed il liquidatore.
6. Con la quarta critica si denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, ex art.360 comma primo n.5 c.p.c.. Ci si duole che la Corte distrettuale abbia ritenuto censurabile la condotta del ricorrente sulla base di unilaterali affermazioni della società omettendo di esaminare le pratiche ed i fascicoli dai quali non è dato evincere alcunché di anormale nella condotta addebitata, così come del parere emesso dalla Commissione Paritetica in data 12/5/2014 per il ritiro del provvedimento disciplinare.
7. I motivi, che possono trattarsi congiuntamente siccome connessi, presentano profili di inammissibilità. Le censure tendono infatti a conseguire una rivisitazione degli approdi ermeneutici ai quali è pervenuta la Corte, inammissibile in sede di legittimità anche alla luce dell’art.360 comma primo n.5 c.p.c. nella versione di testo applicabile ratione temporis novellato dal di. 22/6/12 n.83 conv. in 1.7/8/12 n.134. Deve al riguardo considerarsi che la disposizione introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia. L’omesso esame di elementi istruttori non integra di per sè vizio di omesso esame di un fatto decisivo, se il fatto storico rilevante in causa sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, benché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. In questa prospettiva, secondo i principi affermati dalle Sezioni Unite di questa Corte (vedi Cass. 7/4/2014 n.8053), la scelta operata dal legislatore è stata di limitare la rilevanza del vizio di motivazione, quale oggetto del sindacato di legittimità, alle fattispecie nelle quali esso si converte in violazione di legge: e ciò accade solo quando il vizio di motivazione sia così radicale da comportare la nullità della sentenza per “mancanza della motivazione”. Nello specifico, l’iter motivazionale che pervade l’impugnata sentenza, non risponde ai requisiti dell’assoluta omissione, della mera apparenza ovvero della irriducibile contraddittorietà e dell’illogicità manifesta, che avrebbero potuto giustificare l’esercizio del sindacato di legittimità. Come già fatto cenno nello storico di lite, la Corte distrettuale ha infatti proceduto ad una ricognizione dei dati istruttori acquisiti dai quali desumeva il delinearsi di una violazione del dovere di diligenza, declinato in senso accentuativo in rapporto al ruolo apicale rivestito nell’assetto organizzativo aziendale, che avrebbe imposto una particolare cautela nello scrutinio delle pratiche il cui pagamento era sottoposto alla sua autorizzazione, nella specie mancata. Era emerso infatti che il ricorrente, nella sua qualità di supervisore, aveva ripetutamente disposto i pagamenti di sinistri cd. “in eccezione” senza compiere approfondimenti di indagine, malgrado l’esistenza di anomalie ed incongruenze risultanti dagli atti e talora segnalate anche dai periti; nell’ottica descritta si era ritenuta non decisiva la circostanza, pure evidenziata dall’appellante, dell’esistenza di un numero elevato di sinistri e la esigenza, del pari segnalata, di evitare ritardi nella definizione delle pratiche per non incorrere nelle sanzioni IVASS (organo di vigilanza) per diniego di liquidazione. La motivazione, congrua e completa per quanto sinora detto, resiste alle censure all’esame.
8. Il quinto motivo prospetta violazione e falsa applicazione dell’art.2697 c.c. e dell’art.414 c.p.c. in relazione all’art.360 comma primo n.3 c.p.c.. Il ricorrente si duole della mancata ammissione dei capitoli di prova per testi già articolata in prime cure, che si assume idonea a determinare l’accoglimento della domanda.
9. Anche tale motivo non può essere condiviso. Secondo l’insegnamento di questa Corte, qualora con il ricorso per cassazione siano denunciati la mancata ammissione di mezzi istruttori e vizi della sentenza derivanti dal rifiuto del giudice di merito di dare ingresso a mezzi istruttori ritualmente richiesti, il ricorrente ha l’onere di indicare specificamente i mezzi istruttori, trascrivendo le circostanze che costituiscono oggetto di prova, nonché di dimostrare sia l’esistenza di un nesso eziologico tra l’omesso accoglimento dell’istanza e l’errore addebitato al giudice, sia che la pronuncia, senza quell’errore, sarebbe stata diversa, così da consentire al giudice di legittimità un controllo sulla decisività delle prove (vedi Cass. 4/10/2017 n.23194, Cass. 8/2/2012 n.1754). Nello specifico parte ricorrente non ha dimostrato che l’accoglimento delle istanze istruttorie formulate avrebbe modificato l’esito della decisione, del resto esclusa dalla Corte di merito che con motivazione congrua ha evidenziato come le condotte oggetto di contestazione, ritualmente allegate e sostenute dalla documentazione versata in atti, erano state ammesse dal medesimo ricorrente il quale, tuttavia, aveva ad esse attribuito una diversa valenza sia sul piano oggettivo che su quello soggettivo. L’eventuale ingresso della prova testimoniale non avrebbe pertanto inciso sulla struttura motivazionale della impugnata sentenza, congrua e conforme a diritto per quanto sinora detto.
10. In definitiva, al lume delle superiori argomentazioni, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio di legittimità seguono la soccombenza, liquidate come in dispositivo. Essendo stato il presente ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art.1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha aggiunto il comma 1 quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% e accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. n. 115\02, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art.13.
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