Corte di Cassazione sentenza n. 20749 depositata il 17 agosto 2018
FATTI DI CAUSA
1. La Corte di appello di Ancona ha rigettato il reclamo proposto da MP avverso l’ordinanza del Tribunale di Pesaro che aveva respinto l’impugnazione del licenziamento disciplinare senza preavviso, inflitto al dipendente dall’Agenzia delle Entrate con provvedimento 22 gennaio 2014.
1.1. La Corte territoriale ha rigettato:
– il primo motivo, vertente sull’eccezione di nullità del licenziamento per incompetenza dell’ufficio che aveva emanato il provvedimento disciplinare: nel caso di specie, il provvedimento sanzionatorio era stato emesso dall’autorità individuata in base all’atto, emesso dal Direttore dell’Agenzia delle Entrate del 3 dicembre 2009, in attuazione dell’articolo 55 bis d.lgs. 165/01; con tale atto erano stati individuati nei direttori regionali i funzionari preposti ai procedimenti disciplinari relativi ai dipendenti di ciascuna regione; il Direttore regionale che aveva irrogato la sanzione impugnata era dunque competente a farlo nel caso concreto, DC.81… restando irrilevante il mutamento dei criteri di attribuzione delle competenza per i procedimenti disciplinari riguardanti gli incarichi dirigenziali, intervenuto successivamente, con decorrenza 10 maggio 2014;
– il secondo motivo, concernente l’eccezione di mancanza di terzietà dell’autorità preposta al procedimento disciplinare, dovendo trovare applicazione il principio enunciato da Cass. n. 2900 del 2014, e l’eccezione di difetto di motivazione del provvedimento espulsivo, poiché esso conteneva una dettagliata, compiuta ed esauriente descrizione delle condotte integranti l’illecito disciplinare contestato, divenendo poi questione di merito la prova degli addebiti;
– il terzo motivo, riguardante il capo C) con cui era stato contestato al MP di aver fatto illecitamente transitare la società Unionmoda srl di Berloni Nicola “in coda” ai soggetti selezionati per l’esecuzione dei controlli e di aver ottenuto rilevanti sconti in acquisti sui capi di abbigliamento, come accertato anche dal giudice di primo grado; la comunicazione all’imprenditore, riguardante l’azione amministrativa di accertamento fiscale e dunque ricoperta da segreto d’ufficio, integrava la violazione dell’art. 65, lett. b) e c) CCNL 2002-2005 comparto Agenzie fiscali, nonché dell’art. 10 del Codice di comportamento dei dipendenti della Pubblica Amministrazione;
– il quarto motivo, riguardante il capo F), con cui era stato contestato al MP di non essersi astenuto nell’ambito della pratica relativa alla società Romagnoli Arredi Srl, il cui legale rappresentante era amico del ricorrente, il quale si era adoperato per far ottenere l’esito favorevole della procedura di accertamento per adesione in corso a carico della società; era stata dimostrata in giudizio l’esistenza di un rapporto confidenziale tale da imporre l’obbligo di astensione da parte del MP; i
– il quinto motivo, riguardante la contestazione sub G), con cui era stato ascritto al MP di avere cercato di indurre il capitano Dima della Guardia di Finanza a non procedere con il programmato controllo fiscale per l’annualità successiva al 2007 nei confronti della A.S. Urbino Calcio, rappresentando falsamente al militare di avere già avviato controlli per l’anno 2008, mentre a seguito di successive verifiche era emerso che al momento del colloquio non era in corso nei confronti del contribuente alcun accertamento fiscale; il ricorrente aveva così violato il dovere di leale collaborazione con le altre autorità pubbliche;
– il sesto motivo, riguardante il capo H) con il quale era stato ascritto al lavoratore di avere favorito l’A.S. Urbino Calcio, procurandole un ingiusto profitto mediante accertamento concluso con atto di adesione, per effetto del quale la A.S. Urbino Calcio, anche sulla scorta di documentazione recante sottoscrizioni palesemente false, si vedeva riconosciuta la natura di associazione dilettantistica, risparmiando le somme soggette a tassazione per l’anno 2007; come esattamente osservato dal Giudice di primo grado, la condotta contestata era stata provata sulla base del giudizio disposto in sede penale per reato di cui all’art. 323 cod. pen.; vi erano elementi per ritenere la sussistenza di accordi in ordine al controllo preventivo da parte del MP della documentazione da produrre in sede amministrativa presso il proprio ufficio e in tale contesto appariva plausibile la produzione di falsa documentazione da parte del contribuente e la conseguente consapevolezza di ciò da parte del MP;
– il settimo motivo, relativo al fatto contestato sub I), con cui era stato ascritto al MP di avere accettato da Bruscoli Gianfranco, presidente della soc. Irnab Group s.p.a., la promessa di praticare al proprio collega Mengoni un significativo sconto per aver compiuto atti contrari ai doveri d’ufficio in relazione alla pratica riguardante la società suddetta, sottoposta a controllo fiscale; tale condotta, a prescindere da ogni profilo di eventuale rilevanza penale, integra un illecito disciplinare ai sensi dell’art. 4, comma 1, d.p.r. n. 62 del 2013, regolamento recante il Codice di comportamento dei dipendenti pubblici, secondo cui il dipendente “non chiede, ne sollecita, per sé o per altri, regali o altre utilità”; trattasi di precetto categorico, dovendo altresì escludersi che il ricorrente versasse nella situazione descritta al successivo secondo comma, il quale prevede che “il dipendente non accetta, per sé o per altri, regali o altre utilità, salvo quelli d’uso di modico valore effettuati occasionalmente nell’ambito delle normali relazioni di cortesia e nell’ambito delle consuetudini internazionali”.
1.2. La Corte territoriale ha dunque concluso che, in definitiva, il MP si era reso responsabile della violazione di cui all’articolo 4 comma 7 del suddetto Codice di comportamento, il quale prescrive che “al fine di preservare il prestigio di imparzialità e dell’amministrazione, il responsabile dell’ufficio vigila sulla corretta applicazione del presente articolo”; il ricorrente, nello svolgimento della funzione amministrativa, mediante i comportamenti come contestati e accertati a suo carico, non aveva preservato il prestigio e l’imparzialità dell’Amministrazione ed anzi ne aveva determinato la lesione: nel ruolo di Capo ufficio controlli della Direzione provinciale dell’Agenzia delle Entrate di Pesaro Urbino, il ricorrente avrebbe dovuto garantire l’osservanza di obblighi, che invece egli aveva violato in prima persona.
2. Per la cassazione di tale sentenza, il MP ha proposto ricorso affidato a tre motivi. Resiste l’Agenzia delle Entrate con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 55-bis d.lgs. n.165 del 2001, si censura la sentenza nella parte in cui ha rigettato l’eccezione di incompetenza dell’organo che ha emesso il provvedimento disciplinare.
2. Il secondo motivo verte su violazione e falsa applicazione degli artt. 1, comma 60, L. n. 92 del 2012 e 437 cod. proc. civ.. Si assume che era mancata la lettura del dispositivo in udienza e si afferma che il c.d. rito Fornero non può derogare all’art. 437 cod. proc. civ., che prescrive la lettura del dispositivo in udienza.
3. Il terzo motivo denuncia violazione di legge in relazione agli artt. 55 e 55 bis d.lgs. n. 165 del 2001, all’art. 16 d.p.r. 62 del 2013, all’art. 67 C.C.N.L. 2000/2005, all’art. 112 cod. proc. civ.. Si assume il difetto di motivazione del licenziamento e si contesta che la dimostrazione dei fatti ascritti potesse essere tratta per relationem dai provvedimenti e dalle acquisizioni istruttorie del processo penale.
4. Il ricorso è infondato.
5. Quanto al primo motivo, anche a voler prescindere da profili di inammissibilità, derivanti dal fatto che il ricorrente non contesta specificamente nessuno dei passaggi argomentativi della sentenza impugnata limitandosi ad affermazioni apodittiche che non si confrontano neppure con la giurisprudenza menzionata dalla Corte territoriale, lo stesso é infondato.
5.1. Il Direttore regionale era l’organo designato in attuazione dell’art. 55-bis d.lgs. n. 165/2001. Il fatto che fossero mutate le competenze nel maggio 2014, non rileva perché il licenziamento era anteriore. Inoltre, la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che, in tema di procedimento disciplinare nel rapporto di pubblico impiego contrattualizzato, l’art. 55- bis, comma 4, del d.lgs. n. 165 del 2001, non postula l’istituzione “ex novo” dell’ufficio competente, né una sua individuazione espressa, essendo sufficiente, ai fini della legittimità della sanzione, che all’organo che l’ha irrogata sia stata attribuita, in modo univoco e chiaro, la potestà di gestione del personale (Cass. n. 22487 del 2016).
5.2. Per lo stesso principio, non è fondato neppure il rilievo vertente sulla necessità di terzietà dell’ufficio dei procedimenti disciplinar, il giudizio disciplinare, sebbene connotato da plurime garanzie poste a difesa del dipendente, è comunque condotto dal datore di lavoro, ossia da una delle parti del rapporto (cfr. sent. cit.). Al riguardo, questa Corte ha ulteriormente precisato, sempre in tema di pubblico impiego contrattualizzato, che il principio di terzietà dell’ufficio dei procedimenti disciplinari ne postula la distinzione sul piano organizzativo con la struttura nella quale opera il dipendente, e non va confuso con la imparzialità dell’organo giudicante, che solo un soggetto terzo, rispetto al lavoratore ed alla P.A., potrebbe assicurare, laddove il giudizio disciplinare, sebbene connotato da plurime garanzie poste a difesa del dipendente, è comunque condotto dal datore di lavoro, ossia da una delle parti del rapporto (Cass. n. 1753 del 2017).
6. Anche il secondo motivo è destituito di fondamento.
6.1. La Corte d’appello ha espressamente precisato nella sentenza che all’udienza si era riservata di depositare la sentenza completa di motivazione entro dieci giorni, come poi avvenuto.
6.2. L’art. 1, comma 57, l. n. 92 del 2012 prevede che “All’udienza, il giudice, sentite le parti, omessa ogni formalità non essenziale al contraddittorio, procede nel modo che ritiene più opportuno agli atti di istruzione ammissibili e rilevanti richiesti dalle parti nonchè disposti d’ufficio, ai sensi dall’ articolo 421 del codice di procedura civile, e provvede con sentenza all’accoglimento o al rigetto della domanda, dando, ove opportuno, termine alle parti per il deposito di note difensive fino a dieci giorni prima dell’udienza di discussione. La sentenza, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro dieci giorni dall’udienza di discussione. La sentenza è provvisoriamente esecutiva e costituisce titolo per l’iscrizione di ipoteca giudiziale”. La Corte di appello ha osservato la norma speciale che prescrive unicamente il deposito della sentenza completa di motivazione entro dieci giorni dall’udienza di discussione.
6.3. Come si desume da Cass. n. 14098 del 2016, la legge n. 92 del 2012 ha introdotto un nuovo rito speciale, la cui disciplina deve essere osservata senza possibilità di deroga dai principi generali dell’ordinamento, salvo necessità di integrazione del rito nel caso di lacuna del dettato normativo.
6.4. Stante la specialità del c.d. rito Fornero, che compiutamente disciplina la fase della decisione, prevedendo unicamente che la sentenza, completa di motivazione, deve essere depositata in cancelleria entro dieci giorni dall’udienza di discussione, deve escludersi l’obbligo di lettura del dispositivo in udienza ai sensi dell’art. 437, primo comma, cod. proc. civ..
7. Infine anche il terzo motivo è infondato.
7.1. La Corte d’appello ha precisato che i fatti erano compiutamente descritti nella contestazione, mentre la prova è questione di accertamento giudiziale.
7.2. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, in tema di sanzioni disciplinari a carico dei lavoratori subordinati, la contestazione dell’addebito ha lo scopo di consentire al lavoratore incolpato l’immediata difesa e deve, conseguentemente, rivestire il carattere della specificità, senza l’osservanza di schemi prestabiliti e rigidi, purché siano fornite al lavoratore le indicazioni necessarie ed essenziali per individuare, nella sua materialità, il fatto o i fatti addebitati. Ne consegue la piena ammissibilità della contestazione “per relationem”, mediante il richiamo agli atti del procedimento penale instaurato a carico del lavoratore, per fatti e comportamenti rilevanti anche ai fini disciplinari, ove le accuse formulate in sede penale siano a conoscenza dell’interessato, risultando rispettati, anche in tale ipotesi, i principi di correttezza e garanzia del contraddittorio (Cass. n. 10662 del 2014, n. 29240 del 2017).
7.3. Sul fronte probatorio, va poi osservato che, in tema licenziamento disciplinare del pubblico dipendente, venuta meno la cd. pregiudiziale penale e regolato per legge il possibile conflitto tra gli esiti dei procedimenti giusta l’art. 55-ter del d.lgs. n. 165 del 2001, l’amministrazione è libera di valutare autonomamente gli atti del procedimento penale, ai fini della contestazione, senza necessità di una ulteriore ed autonoma istruttoria, e di avvalersi dei medesimi atti, in sede d’impugnativa giudiziale, per dimostrare la fondatezza degli addebiti (Cass. n. 5284 del 2017).
8. Il ricorso va dunque rigettato, con condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate nella misura indicata in dispositivo.
9. Sussistono i presupposti processuali (nella specie, rigetto del ricorso) per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dall’art. 13, comma 1 quater, del d.P.R. 30 maggio, introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013).
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in euro 4.500,00 per compensi e in euro 200,00 per esborsi, oltre spese prenotate a debito. Ai sensi dell’art.13 comma 1-quater del d.P.R. n.115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.
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