Corte di Cassazione sentenza n. 21395 depositata il 30 agosto 2018
I FATTI DI CAUSA
1.La G. s.p.a. propone ricorso per cassazione articolato in tre motivi, avverso la sentenza n. 7606 del 2016 resa dal Tribunale di Roma, nei confronti di Italfondiario s.p.a., Unicredit Credit Management Bank s.p.a., C., P. e D. C., Fallimento CLV s.a.s. , Equitalia Gerit s.p.a., Intesa San Paolo s.p.a., Lanoni Paolo, avv. Tonino Presta, Caseificio Campitello Matese, Intesa Gestione Crediti s.p.a., Soc. Imm. di Ristr. Edilizie s.r.l. nonché nei confronti di Caseificio PP s.r.l. Analogo ricorso avverso la medesima sentenza, riunito al precedente, anch’esso articolato in tre motivi, ha proposto la Caseificio PP s.r.l. Italfondiario s.p.a. resiste nei confronti della G. nella qualità di mandataria con rappresentanza di Intesa San Paolo s.p.a., e nei confronti della PP Spa nella qualità di mandataria di Castello Finance s.r.1., con due distinti controricorsi. Sia le due ricorrenti che Italfondiario hanno presentato memoria. In particolare, le due ricorrenti, pur avendo introdotto autonomi ricorsi, depositano una memoria congiunta, con la quale chiedono la rinnovazione della notifica del ricorso introduttivo, ex art. 291 c.p.c., nei confronti delle parti non costituite per le quali segnalano che manchi la prova del perfezionamento della notifica, Unicredit Credit Management Bank s.p.a. e CLV di ML e c. s.a.s. Gli altri soggetti intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.
2. Questi i fatti di causa, per quanto qui possa ancora rilevare :
-il Caseificio PP s.p.a. ottenne un decreto ingiuntivo nei confronti della CLV s.a.s., per lire 1.708.031.978 e procedette nel 1992 a pignoramento immobiliare nei confronti dei terzi datori di ipoteca ML, C., P. e D. C.; -nella procedura esecutiva immobiliare interveniva, quale creditore ipotecario in virtù di contratto di mutuo fondiario, la Cassa di Risparmio delle Provincie Lombarde, divenuta successivamente Banca Intesa, poi Intesa San Paolo;
– la Caseificio PP s.p.a venne ammessa al concordato preventivo, e i crediti di questa verso la CLV s.a.s. e verso i garanti della società in accomandita, assistiti da privilegio ipotecario sulla base della ipoteca volontaria concessa dai signori Magno e C., P. e D. C., nell’ambito del concordato preventivo della predetta società, vennero ceduti alla G. s.p.a. nel 2006, a pignoramento già da tempo eseguito, senza che alcuno procedesse alla annotazione della cessione sulla formalità ipotecaria ;
– la cessionaria del credito, G., interveniva nel 2009 nella procedura esecutiva immobiliare, dichiarando di surrogarsi alla posizione della PP Spa, e chiedendo l’attribuzione del ricavato della vendita in suo favore quale creditore ipotecario;
– a fronte dell’eccezione del creditore Italfondiario, secondo la quale la cessione del credito da PP Spa a G., in quanto non annotata, avrebbe perso il privilegio ipotecario, la G. chiedeva l’attribuzione del ricavato in favore dell’originale creditore procedente PP Spa, ed il g.e., in sede di distribuzione del ricavato, disponeva in tal senso;
– la Italfondiario, quale mandataria di castello Finance, introduceva una controversia in sede distributiva, ex art. 512 c.p.c., deducendo che la cessione di credito non annotata avesse perso il privilegio ipotecario (ed anche che lo stesso credito originario della PP Spa avesse perso il privilegio ipotecario), e chiedendo in considerazione di ciò la modifica del piano di riparto; aggiungeva che con l’intervento in giudizio del cessionario G. era cessata la legittimazione dell’originario creditore procedente PP Spa;
– inoltre Italfondiario, agendo quale procuratore speciale di Intesa San Paolo, chiedeva la revoca del primo provvedimento di approvazione del piano di riparto, emesso a seguito di una anticipazione di udienza della quale non era stata data idonea comunicazione alle parti; – in accoglimento dell’eccezione del creditore Italfondiario, il piano di riparto veniva rifatto, affermando il g.e. che con la cessione la PP Spa si fosse spogliata della titolarità del credito, e che al processo esecutivo non potessero partecipare entrambe le società ma solo la cessionaria G., e che il credito della G. dovesse essere collocato in chirografo e non in privilegio ipotecario;
– la G. proponeva opposizione ex art. 617 ( e analoga opposizione, poi riunita proponeva la PP Spa) avverso il nuovo piano di riparto predisposto dal g.e. in cui il credito ceduto alla G. era collocato in chirografo.
3. Il Tribunale di Roma, con la sentenza impugnata, rigettava le opposizioni agli atti esecutivi introdotte da G. e PP Spa, ritenendo che la mancata annotazione della cessione del credito, ai sensi dell’art. 2843 c.c. privasse di effetti la trasmissione del vincolo in favore della G. s.p.a. Affermava, dando seguito a Cass. n.17644 del 2007, il valore costitutivo da attribuire all’annotazione del trasferimento dell’ipoteca, e la necessità della annotazione perché la trasmissione del vincolo potesse essere produttiva di effetti nei confronti dei terzi creditori.
LE RAGIONI DELLA DECISIONE
Preliminarmente, va detto che effettivamente non vi è prova del perfezionamento della notifica del ricorso introduttivo a Unicredit Credit Management Bank s.p.a. e CLV di ML e c. s.a.s., che non hanno svolto attività difensive in questa sede.
Per economia processuale però, poiché si perviene alla conclusione che entrambi i ricorsi debbano essere rigettati, non si dispone la rinnovazione della notificazione in loro favore non potendo in alcun modo le parti indicate essere pregiudicate dalla decisione.
Il ricorso principale della G. e quello incidentale della PP Spa ( che è tale solo perché iscritto a ruolo successivamente) sono assolutamente analoghi, e pertanto verranno esaminati congiuntamente. Essi propongono tre motivi di ricorso.
Con il primo, si deduce la nullità della sentenza “appellata” (sic) e del procedimento per violazione dell’art. 112 c.p.c., l’omessa pronuncia su specifiche eccezioni fatte valere in giudizio e la violazione degli artt. 276 e 132 c.p.c. per mancato rispetto dell’ordine di decisione delle questioni.
Ciascun ricorrente rileva di aver a suo tempo proposto, non una ma due distinte opposizioni agli atti esecutivi, una contro l’ordinanza di luglio 2010 che definiva la controversia distributiva, e l’altra contro la successiva ordinanza di settembre 2010, con la quale il giudice approvava il nuovo piano di riparto, che due opposizioni identiche aveva proposto anche l’altra società odierna ricorrente, che anche Italfondiario introduceva poi il giudizio di merito. Segnala che le cause di merito erano poi state riunite in un’unica causa e che su alcune delle domande, proposte nell’una o nell’altra opposizione, il giudice non si sarebbe pronunciato, essendosi pronunciato – giungendo a conclusioni erronee – solo sulla questione del valore costitutivo o meno della annotazione della cessione del credito sulla iscrizione ipotecaria.
In particolare, i ricorrenti affermano, benché non troppo chiaramente, che il giudice dell’opposizione agli atti esecutivi non si sarebbe pronunciato sulle seguenti domande:
-1) il difetto di legittimazione di Italfondiario, quale successore a titolo particolare di Intesa Gestione Crediti, ad impugnare l’ordinanza del g.e. nella quale il credito della PP Spa era stato collocato in grado ipotecario;
2) l’inammissibilità del ricorso ex art. 512 c.p.c. proposto da Italfondiario, perché contro l’ordinanza del 3.9.2009 avrebbe dovuto esser proposta opposizione agli atti;
3) la nullità della ordinanza del 16.9.2010 perché adottata senza la prova dell’avvenuta notifica dell’ordinanza riservata dal 5.7.2010.
I ricorrenti assumono che le questioni indicate fossero pregiudiziali e preliminari e che, in quanto tali, il giudice avrebbe dovuto risolverle per prime.
Il primo motivo di entrambi i ricorsi è complessivamente inammissibile per mancanza di specificità, in quanto si limita a richiamare l’atto nel quale le questioni sarebbero state sollevate, senza ricostruire il thema decidendum e la rilevanza, all’interno di esso, delle questioni di cui lamenta l’omessa decisione. Al termine dell’esposizione del motivo, i ricorrenti sostengono che il giudice avrebbe dovuto decidere anche in ordine all’errato ricalcolo degli interessi operato a favore di Italfondiario. Anche quest’ultimo punto è del tutto inammissibile, perché manca totalmente l’indicazione della espressa censura in tal senso già mossa nel giudizio di merito.
Solo grazie ai controricorsi di Italfondiario, si comprendono meglio sia i fatti che le stesse censure mosse con il primo motivo di ricorso. A proposito del primo motivo del ricorso principale, Italfondiario innanzitutto ricostruisce i fatti, aggiungendo comprensibilità al lacunoso ricorso principale, e precisa che, avendo il creditore pignorante chiesto l’anticipazione dell’udienza (fissata per la distribuzione del ricavato) e atteso che tale anticipazione non era stata comunicata alla intervenuta Banca Intesa, Italfondiario aveva chiesto la revoca dei provvedimenti del 2009 ( con l’ultimo dei quali era stato reso esecutivo il piano di riparto, collocando G. in privilegio ipotecario, in assenza della banca, creditore ipotecario di primo grado). Il giudice dell’esecuzione rifaceva il piano di riparto in accoglimento della eccezione di Italfondiario, e nel secondo piano di riparto, approvato il 16.9.2010, veniva riconosciuto a Intesa San Paolo il privilegio ipotecario di primo grado.
Pur permanendo le ragioni di inammissibilità del primo motivo di ricorso – che non possono essere certo superate integrando l’uno con il controricorso avversario – si può aggiungere che, meglio inquadrato il thema decidendum, le questioni preliminari sollevate dal creditore procedente non appaiono neppure essere state tralasciate ma esaminate e implicitamente superate dal giudicante.
Con il secondo motivo, entrambi i ricorrenti deducono la nullità della sentenza “appellata” (sic) per error in iudicando, violazione e falsa applicazione degli artt. 2843 2878 e 2916 c.c.
Affermano che la decisione del tribunale sarebbe errata, in quanto fondata su una errata interpretazione del precedente di legittimità (Cass. n.17644 del 2007), il quale affermerebbe, nella ricostruzione interpretativa dei ricorrenti, un diverso principio rispetto a quanto affermato dalla sentenza impugnata, confermato da successive pronunce, ovvero che il mutamento soggettivo del creditore verificatosi in pendenza del processo esecutivo, poiché non altera la condizione degli altri creditori, non richiede, per la sua efficacia nei confronti di essi, l’annotazione ai sensi dell’art. 2843 c.c. I ricorrenti citano, a fondamento di questa interpretazione, due sentenze di legittimità (Cass. n. 17036 del 2011 e poi Cass. n. 6082 del 2015) secondo le quali “in tema di surrogazione nell’ipoteca, il creditore surrogante che spieghi intervento nel processo esecutivo, dopo la vendita del bene e l’emissione del decreto di trasferimento partecipa alla distribuzione del ricavato nella posizione del suo dante causa”.
Con il terzo motivo, i ricorrenti deducono la nullità della sentenza “appellata” (sic) per error in iudicando nonché l’erronea e falsa applicazione dell’art. 2843 c.c. in relazione all’art. 112 c.p.c. sotto il profilo dell’omessa pronuncia.
Tornano quindi a sostenere che vi è stata una omessa pronuncia, questa volta in riferimento alla ordinanza del luglio 2010 in cui il giudice, senza estromettere la PP Spa, avrebbe affermato che a seguito della cessione il creditore era uno solo, e precisamente il cessionario, G., ma che lo stesso non avrebbe potuto fruire del privilegio ipotecario di cui godeva il suo dante causa, atteso che non si era proceduto alla annotazione della cessione del credito.
Sostengono che di aver argomentato, nelle opposizioni, in ordine al fatto che la causa proseguisse, ex art. 111 c.p.c., in ogni caso tra le parti originarie, tanto che G. non si era opposta alla assegnazione (in privilegio ipotecario) in favore dell’originario creditore PP Spa. Quindi, affermano che il g.e. avrebbe dovuto disporre l’assegnazione in favore di PP Spa del credito con prelazione ipotecaria, e non in favore di G. del credito in chirografo, inducendolo a rinunciare all’assegnazione in suo favore.
I due motivi possono essere trattati congiuntamente in quanto connessi.
Pur volendo superare i ricorrenti profili di inammissibilità che connotano le modalità di redazione dell’atto, in quanto il richiamo agli atti nei quali sarebbero contenute le domande in ordine alle quali i ricorrenti lamentano l’omessa pronuncia non è del tutto completo, i motivi sono comunque infondati. E’ preliminare in realtà la questione posta dal terzo motivo, volto alla individuazione della giusta parte processuale.
Come questa Corte ha avuto già modo di affermare, innanzitutto, anche al processo esecutivo si applica, con gli eventuali, necessari adattamenti, l’art. 111 c.p.c., per cui, in caso di trasferimento a titolo particolare del diritto controverso, il processo di regola prosegue tra le parti originarie salva la facoltà dell’avente causa dalla parte originaria di intervenire (in questo senso tra le tante Cass. n. 15622 del 2017, Cass. n. 7780 del 2016, Cass. n. 1522 del 2011).
Pertanto, in caso di cessione del diritto di credito per il quale è stata promossa espropriazione forzata, il cedente mantiene la legittimazione attiva (“ad causam”) a proseguire il processo, salvo che il cessionario si opponga (Cass. n. 15622 del 2017). Peraltro, è stato anche chiarito che l’art. 111 cod. proc. civ. si applica all’espropriazione immobiliare quanto alla successione a titolo particolare nella posizione creditoria (non anche quanto alla successione a titolo particolare nella posizione debitoria: cfr. Cass. n. 8936/13), pur con gli adattamenti richiesti dalle caratteristiche del processo.
In particolare, con riferimento alla cessione del credito, l’esecuzione in corso può proseguire su impulso (o con l’intervento) del cedente, ma il cessionario può intervenire nel processo, facendo valere il negozio di cessione, con estromissione del cedente (Cass. n. 7780 del 2016) .
Ne consegue che qualora il cessionario del credito, ovvero l’attuale titolare del diritto di credito per la cui soddisfazione si procede abbia spiegato il suo intervento, costituendosi, è a lui che passa la facoltà di dare impulso al processo esecutivo, determinandosi la estromissione automatica del cedente, senza necessità che essa venga espressamente disposta, non potendo i due soggetti condividere lo stesso ruolo.
Ne consegue che il cessionario che abbia scelto di intervenire disvelando il suo ruolo di titolare attuale del credito non può pretendere validamente di trincerarsi dietro la posizione del suo dante causa, se più favorevole, e di giovarsi della più favorevole condizione del suo dante causa, qualora non abbia compiuto un adempimento necessario per rendere opponibile ai terzi anche in suo favore il privilegio di cui godeva il cedente ( v. anche Cass. n. 15622 del 2017, secondo la quale legittimazione ad agire in executivis deve essere risolta attribuendo la stessa anche al cedente, che ben può proseguire nell’esecuzione, a meno che il cessionario non si opponga).
Pertanto, la G. non poteva pretendere al tempo stesso di intervenire in giudizio quale attuale titolare del credito, in virtù della cessione, e che il ricavato della vendita fosse attribuito alla sua dante causa PP Spa, ormai estromessa, per fruire del privilegio ipotecario di questa. Anche il secondo motivo è infondato.
I riferimenti giurisprudenziali citati dai ricorrenti non sono pertinenti perché la situazione fattuale e lo svolgimento cronologico di essa, nella fattispecie in esame, non sono omogenei con quelli presupposti ai precedenti citati: le due sentenze citate dal ricorrente (ed in particolare, Cass. n. 6082 del 2015) affermano infatti che se il creditore interviene, in surroga di un creditore privilegiato dopo la vendita e l’emissione del decreto di trasferimento, non è necessaria l’annotazione della cessione del credito a margine dell’iscrizione ipotecaria ai fini della sua efficacia nei confronti degli altri creditori (perché il bene, appunto, è già stato venduto, e il credito si è trasferito, con il privilegio originario, sulle somme ricavate dalla vendita). Nel caso sottoposto all’esame della Corte, i fatti sono diversi, ovvero l’intervento, effettuato sulla base di una cessione di credito ipotecario non annotato, è avvenuto ben prima della vendita. Si aggiunga che i ricorrenti non producono, né riportano idoneamente la cessione e il decreto di trasferimento e quindi non documentano affatto che la cessione fosse successiva alla vendita, il che renderebbe applicabile la giurisprudenza citata. Al contrario, a quanto emerge dalla documentazione prodotta anche in questa sede da Italfondiario, la cessione è precedente all’aggiudicazione e quindi il privilegio ipotecario non annotato è inopponibile agli altri creditori (peraltro, Italfondiario segnala che tutta la questione sia prova di concreto interesse, atteso che l’istituto di credito è in ogni caso titolare di ipoteca di primo grado e il credito della G., quand’anche fosse stata accolta la linea difensiva dei ricorrenti, si sarebbe collocato in secondo grado, rimanendo del tutto incapiente).
Deve, comunque, darsi continuità al principio su cui si fonda la decisione impugnata, affermato da Cass. n. 17644 del 2007, secondo il quale in tema di negozi dispositivi dell’ipoteca (presi in considerazione dal primo comma dell’art. 2843 cod. civ.) l’annotazione nei registri immobiliari del trasferimento, da farsi a margine dell’iscrizione ipotecaria, ha carattere necessario e, quindi, costitutivo del nuovo rapporto ipotecario dal lato soggettivo, rappresentando un elemento integrativo indispensabile della fattispecie del trasferimento, con l’effetto di sostituire al cedente o surrogante il cessionario o surrogato, non solo nella pretesa di credito (che già opera in ragione del negozio), ma altresì nella prelazione nei confronti dei creditori concorrenti, per cui la mancata annotazione nei confronti dei terzi priva di effetti la trasmissione del vincolo. Con la precisazione, già contenuta nella citata sentenza, per cui in riferimento alla esecuzione forzata non si applica anche l’art. 2916 cod. civ. ma esclusivamente l’art.2843 cod. civ., in base al quale viene imposta l’annotazione / ai fini identificativi del soggetto cessionario del credito e della garanzia, senza alcuna valenza costitutiva della garanzia in sè, che già è presente ed iscritta; con la conseguenza che tale trasmissione, non determinando alcun pregiudizio per i creditori, è efficace nei confronti di questi ultimi; nè sussistono elementi di identità di fattispecie tali da affermare una applicazione, al di fuori della disciplina concorsuale, della più rigorosa norma di cui all’art.45 legge fall., che non opera distinzioni in seno alle formalità necessarie a rendere opponibili gli atti ai terzi, comprensive dunque non solo di quelle iscrizionali dell’ipoteca, se posteriori al fallimento, ma anche di quelle di annotazione del vincolo in favore di nuovo soggetto.
Conclusivamente, quanto alle questioni poste dal secondo e terzo motivo sia del ricorso principale che dell’incidentale:
-anche al processo esecutivo si applica, con gli eventuali, necessari adattamenti, l’art.111 c.p.c., per cui il processo, in caso di trasferimento a titolo particolare del credito per cui si procede, di regola prosegue tra le parti originarie salva la facoltà dell’avente causa dalla parte originaria di intervenire;
–con l’intervento del cessionario il cedente non è più legittimato nella procedura esecutiva, senza che sia necessaria di una espressa declaratoria di estromissione in tal senso;
-il cessionario di un credito ipotecario, non annotato a margine dell’iscrizione ipotecaria, non può avvalersi del privilegio ipotecario in danno dei creditori sia precedenti che successivi alla cessione, atteso il valore costitutivo della annotazione, ex art. 2843 c.c. ( v. Cass. n. 17644 del 2007 e succ);
– non è quindi la cessione del credito che rimane inefficace nei confronti dei terzi, ma è il trasferimento del privilegio, che può avvenire solo previa annotazione a margine dell’atto di iscrizione;
– questa regola non produce i suoi effetti nel solo caso in cui l’intervento sia spiegato dopo la vendita del bene e dopo l’emissione del decreto di trasferimento perché, in quel momento, la garanzia si è già trasferita sul prezzo ricavato dalla vendita forzata e la surrogazione è, di per sé sola, sufficiente a trasferire il diritto di essere soddisfatto con preferenza su tale prezzo (Cass. n. 6082 del 2015).
Se l’intervento viene effettuato quando il bene è stato già venduto, infatti, non è più possibile effettuare l’annotazione del mutamento soggettivo del creditore e della sua surrogazione, perché essendo già stato venduto in sede esecutiva il bene non esiste più la formalità ipotecaria sul bene e sono cadute le facoltà conseguenti, salvo il diritto di prelazione che si è trasferito sul ricavato della vendita.
Il ricorso va pertanto rigettato.
Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come al dispositivo.
Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto egli è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1 bis dell’ art. 13, comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Pone a carico del ricorrente le spese di giudizio in complessivi curo 10.200,00 in favore di ciascuna parte controricorrente, oltre 200,00 per esborsi, oltre contributo spese generali ed accessori.
Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti principale e incidentale di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale.
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