Corte di Cassazione sentenza n. 22001 depositata il 12 luglio 2022
giudizio di rinvio – principio della «parità delle armi e/o giusto processo» – divieto del bis in idem – la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula «perché il fatto non sussiste», non spiega automaticamente efficacia di giudicato
FATTI DI CAUSA
1. La S.S. s.r.l. in liquidazione ricorre, con tre motivi, nei confronti dell’Agenzia delle Entrate che resiste con controricorso, avverso la sentenza della C.t.r. del Lazio che – pronunciando quale giudice di rinvio – ha accolto parzialmente l’appello dell’Ufficio avverso la sentenza della C.t.p. di Roma che, a propria volta, aveva accolto il ricorso spiegato dalla contribuente avverso l’avviso di accertamento con il quale era stato recuperato a tassazione, ai fini Irap, Ires ed Iva, il maggior reddito, per l’anno d’imposta 1997, derivante dall’omessa indicazione di ricavi e dall’indebita deduzione di costi.
2. La Corte di Cassazione, con la sentenza dell’8 aprile 2015 n. 6955, annullava con rinvio la sentenza precedentemente resa dalla C.tr. del Lazio rilevando quanto segue: «la motivazione è gravemente insufficiente atteso che dallo scarno e (apparentemente) autoevidente ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerge tanto l’obliterazione di elementi (anche presuntivi) che potrebbero condurre ad una diversa decisione (e l’assenza di verifica analitica e critica di quelli addotti a discarico della contribuente), quanto – e soprattutto – l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che ha indotto il giudice, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento».
3. La C.t.r., a seguito di riassunzione del giudizio ad opera della contribuente, ha ritenuto meritevole di accoglimento l’appello spiegato dall’Ufficio avverso la sentenza della C.t.p. di Roma limitatamente all’accertamento di un maggior reddito per mancata indicazione dei ricavi e non fondato quanto all’indeducibilità dei costi.
4. La ricorrente è depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denunzia, in relazione all’art.360, primo comma, 3, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 6 CEDU.
In particolare la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha accolto l’appello dell’Ufficio, sebbene quest’ultimo nel giudizio di rinvio si fosse costituito depositando il fascicolo di altro giudizio, così non riproponendo l’appello avverso la sentenza di primo grado. Assume, altresì, che la soluzione adottata dal «diritto vivente» volta ad obbligare il contribuente a riassumere il giudizio per evitare l’estinzione, a seguito della quale «rivivrebbe» l’accertamento tributario, viola il diritto ad un equo processo sotto il profilo della così detta parità delle armi.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia, in relazione all’art.360, primo comma, n.3 e 5, cod. proc. civ violazione e falsa applicazione dell’art. 2727 cod. civ.
In particolare, assume che la sentenza impugnata ha omesso di pronunciarsi su fatti decisivi del giudizio, sottoposti al giudice del primo grado e riproposti in sede di rinvio e specificamente riprodotti in ricorso; ha ritenuto significativi gli accertamenti a campione eseguiti, senza considerare le specifiche contestazioni; ha esteso le conclusioni raggiunte per l’anno 1999 anche all’anno 1997 dando luogo ad presumptio de presumpto.
3. Con il terzo motivo, la ricorrente denunzia, in relazione all’art.360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. la violazione dell’art. 4 Prot. 7 CEDU.
In particolare, assume che il giudice di merito avrebbe erroneamente non tenuto conto della sentenza penale di assoluzione del Presidente del Consiglio di Amministrazione della società, con la formula «perché il fatto non sussiste», resa quanto ai maggiori ricavi contestati. Assume, altresì, la violazione del principio del ne bis in idem, stante l’inapplicabilità, ratione temporis, dell’art. 20 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 che ha escluso qualsiasi rapporto di pregiudizialità tra il procedimento penale ed il processo tributario.
4. Il primo motivo è infondato.
4.1 il giudizio di rinvio è soggetto alla disciplina specifica prevista dagli artt. 392 e ss. cod. proc. civ., che prevede due possibili esiti alternativi: la riassunzione (ad opera di qualunque parte) con la conseguente pronuncia del giudice del rinvio in attuazione del dictum della Cassazione o l’estinzione dell’intero processo. Per giurisprudenza costante di questa Corte, pertanto, anche in caso di contumacia della parte non può derivare la rinuncia alle domande riproposte nel grado di appello e, conseguentemente, non sussiste alcuna preclusione da giudicato interno. (Cass. 19/06/2019 n. 16505, Cass. 12/02/2019 n. 4070, Cass. 30/11/2015 n. 24336). Correttamente, pertanto, la C.t.r. ha scrutinato l’appello dell’Ufficio, sebbene le difese di quest’ultimo nel giudizio di rinvio non fossero pertinenti in quanto relative ad altro
4.2 Quanto alla violazione dell’art. 6 CEDU, la struttura del giudizio di rinvio, così come sopra ricostruita, e la facoltà riconosciuta ad entrambe le parti di riassumere il giudizio nel quale le stesse mantengono la posizione originaria portano ad escludere che le medesime si trovino in situazione di disparità. Il principio della «parità delle armi», che deve governare le regole procedurali, può definirsi, per l’appunto, come la garanzia di fare tutto quello che è concesso all’altra parte. Quello che va garantito è, pertanto il giusto equilibrio tra le parti cui deve essere concessa l’opportunità di esporre le proprie ragioni in condizioni che non siano di svantaggio. Questo risultato nel giudizio di rinvio è assicurato proprio dalla possibilità per entrambe di riassumere il medesimo senza che possa derivare da tale scelta alcuna rinuncia o preclusione.
5. Il terzo motivo, logicamente preliminare rispetto al secondo, è infondato.
5.1 Nel processo tributario, la sentenza penale irrevocabile di assoluzione dal reato tributario, emessa con la formula «perché il fatto non sussiste», non spiega automaticamente efficacia di giudicato, ancorché i fatti accertati in sede penale siano gli stessi per i quali l’Amministrazione finanziaria ha promosso l’accertamento nei confronti del contribuente (Cass 27/06/2019, n. 17258). L’efficacia vincolante del giudicato penale, ai sensi dell’art. 654 proc. pen, pertanto, non può operare automaticamente e la sentenza penale costituisce un semplice indizio o elemento di prova critica in ordine ai fatti in essa eventualmente accertati non costituendo accertamento preliminare “necessario”. A tale ratio risponde l’art. 20 d.lgs. n. 74 del 2000, ancorché non applicabile alla fattispecie.
5.2 Quanto alla norma convenzionale invocata, questa Corte ha già chiarito come il divieto del bis in idem non operi rispetto agli atti impositivi in quanto postula, anche in virtù dei principi enunciati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo e dalla Corte costituzionale, che un soggetto sia stato sottoposto a processo penale e che, per conseguire effetti deterrenti, gli sia stata irrogata un’ulteriore misura, finalizzata alla punizione del medesimo fatto, che, al di là dalla qualificazione giuridica operata dalla legislazione nazionale, sia da ritenere di natura penale per la gravità delle conseguenze da essa derivanti: detti caratteri non sono ascrivibili alla pretesa impositiva, atteso che con la stessa l’Amministrazione finanziaria si limita a recuperare l’imposta non versata; – invero, presupposto di base per l’applicazione dei principi richiamati dal ricorrente e delle disposizioni sovranazionali invocate è quello della applicazione alla medesima condotta di sanzioni penali e amministrative o tributarie; (Cass. 01/04/2021, n. 9076. Cass. 01/04/2021, n. 9077, Cass. 05/10/2018, n. 24470)
5.3 Il Giudice del rinvio, nel negare rilevanza alla sentenza invocata, si è attenuto a questi principi.
6. Il secondo motivo è fondato.
6.1 La contribuente, vittoriosa in primo grado, si era difesa dinanzi alla C.t.r. – chiamata a pronunciarsi sull’appello dell’Agenzia dell’Entrate a seguito di rinvio dalla Cassazione – assumendo che l’accertamento di maggiori redditi anche per l’anno 1997 si fondava sulla estensione all’anno precedente di quanto accertato con riferimento al 1999 in via di presunzione e senza alcun riscontro; che, a propria volta, anche l’accertamento dei redditi del 1999 – da cui era scaturito quello relativo all’anno precedente – era privo di riscontri.
6.2 La sentenza impugnata ha accolto l’appello dell’Ufficio motivando sui riscontri interni ed esterni in ragione dei quali si era correttamente ricostruito il modus operandi della società che, a fronte dell’acquisto di confezioni contenenti due articoli, provvedeva alla materiale divisione della merce vendendola poi singolarmente e così realizzando ulteriori ricavi non contabilizzati relativi alla seconda unità. Risulta, tuttavia, omessa qualsiasi motivazione in ordine agli elementi fattuali che consentivano di estendere anche ai redditi del 1997 quanto accertato per il 1999.
7. In definitiva, il ricorso deve essere accolto sotto il profilo dei denunciati difetti di motivazione della sentenza impugnata, che deve essere conseguentemente cassata, con rinvio alla competente Commissione tributaria regionale del Lazio, che, in diversa composizione, procederà a nuovo esame e liquiderà anche le spese relative al presente grado di giudizio.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale del Lazio in diversa composizione.
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