Corte di Cassazione ordinanza n. 22177 depositata il 13 luglio 2022

motivazione apparente – presunzioni e caratteri della gravità, precisione e concordanza

Rilevato che:

1. S.R., esercente l’attività di taxi a Firenze, impugnava l’avviso di accertamento con il quale l’Agenzia delle entrate, ai sensi degli artt. 39, primo comma, lett. d), d.P.R. 29/09/1973, n. 600, e 62-sexies d.l. 30/08/1993, n. 331, convertito, con modifiche, nella l. 29/10/1993, n. 427, aveva rideterminato in maniera analitico-induttiva, per l’anno d’imposta 2003, i ricavi ed accertato, ai fini Irpef, un maggior reddito imponibile e, ai fini Irap, un maggior valore della produzione, con conseguente quantificazione delle maggiori imposte dovute, oltre ad interessi e sanzioni.

2. La Commissione tributaria provinciale di Firenze rigettava il ricorso e la Commissione tributaria regionale della Toscana rigettava l’appello del contribuente.

In particolare, la C.T.R. riteneva che sussistessero i presupposti dell’accertamento analitico induttivo ai sensi dell’art. 62-sexies, terzo comma, d.l. 331 del 1993, per la presenza di gravi incongruenze tra i corrispettivi dichiarati e quelli desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio dell’attività svolta, sia pure in presenza di congruità degli studi di settore, anche per l’anomala scarsa variabilità dei ricavi nei vari periodi dell’anno. Evidenziava che i ricavi dichiarati non fossero compatibili con la durata, annuale e giornaliera, dell’attività svolta e con i chilometri percorsi dall’autovettura, dati dichiarati dallo stesso contribuente, ricostruendo poi i ricavi in base alla tariffa media prevista nella delibera del Consiglio comunale del 28/05/2003, disattendendo altresì i risultati di una perizia tecnica allegata dal ricorrente.

3. Contro tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione S.R. con sei motivi.

Agenzia delle entrate ha depositato mero atto di costituzione.

Il ricorso è stato fissato per la camera di consiglio del 20 maggio 2022, ai sensi degli artt. 375, ultimo comma, e 380-bis.1, cod. proc. civ., il primo come modificato ed il secondo introdotto dal d.l. 31/08/2016, n. 168, conv. in legge 25/10/2016, n. 197.

Considerato che:

1. Il ricorrente propone sei motivi di ricorso.

1.1 Con il primo motivo deduce l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio e la violazione dell’art. 36 del lgs. 31/12/1992, n. 546, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.

Lamenta in particolare che il giudice di appello abbia omesso l’esame di un fatto, pur oggetto specifico sia del ricorso originario che dell’appello, e cioè che il dato, fondante l’accertamento ed il calcolo dei maggiori ricavi presuntivamente conseguiti e non dichiarati, e cioè che la corsa media fosse di 3,2 km., era del tutto incerto e controverso in quanto ricavato da dichiarazioni riportate dagli organi di stampa e da un comunicato rilasciato dall’ufficio stampa del Comune di Firenze; l’ufficio statistica del Comune però aveva comunicato di non aver mai effettuato tale indagine ed il dirigente del servizio taxi aveva dichiarato trattarsi di atto meramente interno e finalizzato a costituire una base per la trattativa con le cooperative dei tassisti; analoga inesistenza derivava dalla documentazione acquisita dalla Guardia di finanza in altro processo; tutti tali documenti, comprovanti l’assenza di un qualunque studio scientifico, avente una qualche attendibilità, escludevano la prova del dato che la corsa media di un taxi fosse di 3,2 km. ma non erano stati esaminati dalla C.T.R.

1.2 Con il secondo motivo il ricorrente deduce violazione dell’art. 36 del d. lgs. n. 546 del 1992, degli artt. 39 e 42 d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 62-sexies, terzo comma, d.l. n. 331 del 1993 e degli artt. 2697, 2727 e 2729 cod. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.

Con tale motivo il contribuente si duole del fatto che i dati indicati dall’Amministrazione – e quindi dal giudice d’appello – a supporto della deduzione presuntiva dei ricavi (la percorrenza annua, la corsa media e il costo medio) non possano costituire fatti su cui fondare presunzioni dotate dei requisiti di cui all’art. 2729 cod. civ.

1.3 Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 36 del lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 39 e dell’art. 42 d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 62-sexies, terzo comma, d.l. n. 331 del 1993, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.

Lamenta che, in presenza di studi di settore risultati congrui, come nel caso di specie, l’ufficio, per procedere all’accertamento induttivo, avrebbe dovuto individuare gravi incongruenze, che non sussistevano, anche perché il piano tariffario comunale previsto per il 2003 non era funzionale alla ricostruzione dei corrispettivi e perché alcune voci tariffarie da esso previste non erano rinvenibili in ogni corsa.

1.4 Col quarto motivo il ricorrente deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia e motivazione apparente, in violazione degli 112 e 132, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 36, n.lgs. n. 546 del 1992, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ., lamentando che la sentenza della C.T.R. in molti passaggi della motivazione sia identica alla sentenza della C.T.P., il che configurerebbe un’omessa motivazione.

1.5 Con il quinto motivo deduce la nullità della sentenza per omessa pronuncia sul motivo d’appello e violazione dell’art. 112 cod. civ. e dell’art. 36 del d. lgs. n. 546 del 1992, dell’art. 44 d.P.R. n. 600 del 1973, dell’art. 1 della l. 2/12/2005, n. 248, dolendosi del fatto che l’Agenzia abbia utilizzato elementi di prova senza formale acquisizione dal Comune.

1.6 Con il sesto motivo denuncia l’omessa pronuncia su un motivo d’appello in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. e dell’art. 36 del lgs. n. 546 del 1992 nonché degli artt. 5, 7 e 17 del d.lgs. 18/12/1997, n. 472, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, dolendosi dell’applicazione delle sanzioni.

2. Occorre esaminare preliminarmente il quarto motivo, relativo a nullità per assenza di motivazione, poi il terzo, relativo ai presupposti per l’accertamento, a seguire il primo e il secondo, relativi alla ricostruzione dei redditi, infine gli ulteriori.

2.1 Il quarto motivo è infondato.

Le Sezioni unite di questa Corte hanno affermato che la motivazione è solo apparente, e la sentenza è nulla perché affetta da error in procedendo, allorquando, benché graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perché recante argomentazioni obiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguìto dal giudice per la formazione del proprio convincimento, cioè tali da lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass., Sez. U., 07/04/2014, n. 8053; Cass., Sez. U., 03/11/2016, n. 22232; conf.: Cass., Sez. U., nn. 22229, 22230,

22231 del 2016).

Nella specie, diversamente da quanto prospetta il contribuente, il giudice d’appello illustra, con sufficiente chiarezza, le ragioni del proprio convincimento ed i motivi della ravvisata legittimità dell’atto impositivo e, d’altro canto, il ricorrente non evidenzia che la motivazione adottata, pur richiamando in larga parte quella fornita dal giudice di prime cure, non abbia tenuto conto di specifiche censure alla medesima, che imponevano un ulteriore approfondimento motivazionale.

2.2 Il terzo motivo è in parte infondato, ove contesta la sussistenza del potere di accertare in via analitico induttiva il reddito in presenza di studi di settore congrui, e in parte inammissibile, ove censura nel merito gli apprezzamenti istruttori dei giudici di appello.

L’art. 62-sexies del d.l. n. 331 del 1993 prevede, al terzo comma, che gli accertamenti di cui agli artt. 39, primo comma, lettera d), del d.P.R. n. 600 del 1973 e successive modificazioni, possono essere fondati anche sull’esistenza di gravi incongruenze tra i ricavi, i compensi ed i corrispettivi dichiarati e quelli fondatamente desumibili dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, ovvero dagli studi di settore elaborati ai sensi dell’art. 62-bis dello stesso decreto.

La contestazione proposta dal ricorrente risulta pertanto infondata, perché le <<gravi incongruenze>> possono trovare fondamento negli studi di settore, ma sono desumibili, per volontà di legge, anche dalle caratteristiche e dalle condizioni di esercizio della specifica attività svolta, e pertanto proprio da quegli elementi che l’Agenzia delle entrate ha posto a fondamento dell’atto di accertamento impugnato (Cass. 10/12/2020, n. 28171).

La C.T.R. ha evidenziato una serie di elementi che ha ritenuto indicativi delle gravi incongruenze predette cioè la presenza di ricavi poco variabili nei vari mesi dell’anno nonostante fosse notorio che l’attività di tassista sia soggetta a una forte stagionalità turistica; la scarsa compatibilità dei ricavi dichiarati, nonostante l’attività fosse stata esercitata per 300 giorni all’anno nella fascia diurna di 12 ore con un’autovettura che aveva percorso 32.420 km., secondo dati dichiarati dallo stesso contribuente; la resa chilometrica, ovvero il corrispettivo per ogni chilometro percorso nell’esercizio dell’attività, inferiore a quella determinata dal regolamento comunale del 2003.

Trattasi di valutazioni in fatto astrattamente idonee a integrare gli estremi delle gravi incongruenze e non censurate sotto il profilo motivazionale.

2.3 A questo punto possono essere esaminati, congiuntamente, i motivi primo e secondo, che sono fondati.

Con i primi due motivi il ricorrente si duole dell’omesso esame di un fatto e cioè che il dato, fondante l’accertamento ed il calcolo dei maggiori ricavi presuntivamente conseguiti e non dichiarati, e cioè che la corsa media fosse di 3,2 km., sia del tutto controverso

in quanto ricavato da dichiarazioni riportate dagli organi di stampa e da un comunicato rilasciato dall’ufficio stampa del Comune di Firenze che non trovava alcun riscontro in presunti studi commissionati dal Comune medesimo; proprio tali considerazioni renderebbero viziato il ragionamento presuntivo di ricostruzione del reddito, che prenderebbe le mosse da un elemento indiziario privo delle caratteristiche di gravità.

In tema di presunzioni, qualora il giudice di merito sussuma erroneamente sotto i tre caratteri individuatori della presunzione (gravità, precisione, concordanza) fatti concreti che non sono invece rispondenti a quei requisiti, il relativo ragionamento è censurabile in base all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., competendo alla Corte di cassazione, nell’esercizio della funzione di nomofilachia, controllare se la norma dell’art. 2729 cod. civ., oltre ad essere applicata esattamente a livello di declamazione astratta, lo sia stata anche sotto il profilo dell’applicazione a fattispecie concrete che effettivamente risultino ascrivibili alla fattispecie astratta (Cass. 04/08/2017, n. 19485; Cass. 16/11/2018, n. 29635; Cass. 20/01/2020, n. 1163, di recente Cass. 18/11/2020, n. 25843, principi ribaditi da questa sezione, Cass. 15/06/2021, n. 16785, in riferimento a vicende analoghe a quella oggetto di causa).

Con riferimento ai caratteri della gravità, precisione e concordanza che devono connotare necessariamente le presunzioni, le suindicate pronunce hanno chiarito che «la gravità allude ad un concetto logico, generale o speciale (cioè rispondente a principi di logica in genere oppure a principi di una qualche logica particolare, per esempio di natura scientifica o propria di una qualche “lex artis”)», esprimendo nient’altro che la presunzione si deve fondare su un ragionamento probabilistico, per cui, dato un fatto A noto è probabile che si sia verificato il fatto B, non essendo condivisibile invece l’idea che vorrebbe sotteso alla gravità che l’inferenza presuntiva sia «certa» (così Cass. n. 19485 del 2017, cit.). Infatti, per la configurazione di una presunzione giuridicamente valida non occorre che l’esistenza del fatto ignoto rappresenti l’unica conseguenza possibile di quello noto secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva (sulla scorta della regola dell’inferenza necessaria), ma è sufficiente che dal fatto noto sia desumibile univocamente quello ignoto, alla stregua di un giudizio di probabilità basato sull’id quod plerumque accidit (in senso analogo, più di recente, Cass. 06/02/2019, n. 3513; e prima Cass. 31/10/2011, n. 22656).

Ciò premesso in diritto, si evidenzia ancora che, nello svolgimento del processo, la sentenza impugnata, ai fini della ricostruzione del reddito del contribuente, dà atto che l’accertamento dei maggiori ricavi da parte dell’ufficio è fondato sulla quantificazione del costo medio della corsa in euro 6,87 e sul numero di corse presuntivamente effettuate dal ricorrente, ricavato dividendo la percorrenza chilometrica annua dichiarata dal tassista per la corsa media di 3,2 chilometri e moltiplicando il numero delle corse per il presunto costo medio.

Nella parte propriamente motiva, laddove conferma l’accertamento dei maggiori redditi, dopo aver provveduto a illustrare i presupposti per procedere all’accertamento, la C.T.R. ha evidenziato che «l’ufficio ha correttamente provveduto alla ricostruzione della tariffa media pari ad euro 6,87», evidentemente richiamando puramente e semplicemente quanto indicato nell’avviso.

Nel confermare l’atto impositivo, i giudici di appello hanno, quindi, fatto ricorso ad un ragionamento presuntivo che ha omesso ogni verifica della gravità e concordanza degli elementi indiziari con riferimento alla percorrenza della «corsa media», dando per scontata l’attendibilità del dato richiamato nell’atto impositivo, laddove, invece, il contribuente, col primo motivo di ricorso in appello, richiamato nel ricorso per cassazione, contestando l’espressa statuizione sul punto della C.T.P., aveva evidenziato trattarsi di dato inutilizzabile alla luce delle sopraindicate considerazioni.

Questa Corte ha infatti già affermato in fattispecie analoghe al caso di specie, concernenti accertamenti a carico di tassisti fiorentini, a proposito del ricorso operato dall’Amministrazione finanziaria ad un semplice comunicato dell’ufficio stampa del Comune di Firenze da cui si desume il dato di 3,2 km. come percorrenza media di una corsa in taxi quale presupposto della ricostruzione del reddito del contribuente, che tale dato non possa equivalere di per sé ad elemento indiziario attendibile (ex pluribus, cfr. Cass. 15/12/2020, n. 28587; Cass. 10/12/2020, n. 28175), evidenziando che la mera provenienza del dato dall’ente territoriale – e tanto più, come nel caso di specie, non da un provvedimento di quest’ultimo, ma da un suo informale comunicato stampa – non equivale di per sé ad elemento che ne conforti l’attendibilità (Cass. 19/08/2020,  n.  17349;  Cass.  02/03/2020,  n.  5664;  Cass.16/12/2019, n. 33042).

La C.T.R. ha quindi errato laddove, richiamando le risultanze dell’accertamento, nel determinare la controversa percorrenza media della corsa in taxi nel contesto territoriale interessato, ha fatto ricorso ad un ragionamento presuntivo che ha omesso ogni verifica della gravità e della concordanza degli elementi indiziari con riferimento alla circostanza da accertare, finendo per dare rilievo solo alla fonte del dato ed alla sua diffusione.

3. Il quinto motivo, relativo alla fonte delle informazioni assunte dall’Agenzia delle entrate è assorbito così come il sesto motivo, che denuncia l’omessa pronuncia su un motivo d’appello, in relazione alle sanzioni, è assorbito dall’accoglimento dei

4. Alla luce di tali considerazioni, vanno accolti i primi due motivi di ricorso, dichiarati assorbiti il quinto ed il sesto, rigettati gli altri e, cassata la sentenza, la causa va rinviata alla C.T.R. della Toscana, in diversa composizione, cui va demandato il compito di regolare anche le spese del giudizio di legittimità

P.Q.M.

accoglie il primo e secondo motivo di ricorso, dichiara assorbiti il quinto ed il sesto, rigetta gli altri motivi; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, cui demanda di provvedere sulle spese del giudizio di legittimità.