CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 23432 depositata il 1° agosto 2023
Lavoro – Licenziamenti disciplinari – Rito Fornero – Giusta causa – Giustificato motivo soggettivo – Rigetto
Fatti di causa
1. La Corte d’Appello di Ancona, pronunciandosi sull’appello proposto da DICCAP – Dipartimento Autonomie Locali e Polizia Locale, con sede in Modena, avverso la sentenza del Tribunale di Fermo in funzione di Giudice del lavoro del 6/3/2018 dichiarativa dell’inammissibilità dei ricorsi per revocazione, ha rigettato nel merito (quindi con parziale riforma della sentenza appellata, mediante rigetto nel merito anziché declaratoria di inammissibilità, ma con conferma nel resto) la domanda di revocazione, proposta da DICCAP a mente dell’art. 395, n. 3, c.p.c., delle ordinanze del Tribunale di Fermo dell’8/1/2015 (emesse a definizione della fase sommaria secondo il cd. rito Fornero ex art. 1, commi 48 ss., legge n. 92/2012) di annullamento dei licenziamenti disciplinari intimati nel maggio 2013 a E. S. e S. B., dipendenti di SULPM (Sindacato Unitario Lavoratori Polizia Municipale) Marche, articolazione territoriale di SULPL-Sindacato Unitario Lavoratori Polizia Locale (già SULPM) con sede in Genova, incorporato in DICCAP.
2. La Corte di Appello, in particolare, per quanto qui rileva, ha osservato che:
– l’appello avverso le ordinanze di annullamento dei licenziamenti era stato dichiarato inammissibile con sentenza n. 332/2015 della medesima Corte di Appello di Ancona, in quanto inammissibile per decadenza e comunque perché promosso in luogo di opposizione;
– l’appello di cui alla sentenza gravata in questa sede era diretto, previa revocazione delle due ordinanze del 2015, a ottenere pronuncia di carenza di legittimazione passiva di DICCAP ovvero, in via gradata, declaratoria di rigetto delle impugnative di ciascun licenziamento per sopravvenienza di dimostrazione documentale di giusta causa o comunque giustificato motivo soggettivo di licenziamento;
– in via pregiudiziale non era condivisibile l’affermazione del Tribunale della competenza della Corte di Appello a giudicare in unico grado di merito della sussistenza o meno degli estremi della revocazione dell’ordinanza decisoria, fondata sui principi espressi da Cass. n. 19233/2015, in base ai quali il ricorso per revocazione ex art. 395 c.p.c. non può avere ad oggetto la sentenza di primo grado quando vi sia già pronuncia, pur solo in rito, del giudice di secondo grado, perché il sistema delineato dagli artt. 395 e 396 c.p.c. esclude il rimedio revocatorio contro la sentenza di primo grado tempestivamente appellata, in quanto nel caso di specie le due ordinanze del 2015 non erano state tempestivamente appellate;
– in ogni caso, esaminato il merito della revocazione (non trattandosi di ipotesi di rimessione della causa al giudice di primo grado), doveva escludersi che la documentazione acquisita mediante accesso agli atti di procedimento penale fosse decisiva ai fini della revocazione straordinaria di cui agli artt. 395 e 396 c.p.c., in quanto già in primo grado era stato chiarito che le impiegate erano state assunte e retribuite da B. C., quale legale rappresentante SULPM Marche e che il medesimo aveva sottoscritto le missive di licenziamento per giusta causa rispettivamente in data 12/4 e 3/5/2013;
– essendo le ragioni poste a fondamento di ciascuna missiva soggette al principio di immutabilità della contestazione dell’addebito disciplinare, quelle emergenti dai documenti prodotti in seguito ad accesso a procedimento penale erano o già conosciute o non pertinenti alla prova e alla dimostrazione dei fatti enunciati nelle rispettive missive di licenziamento disciplinare;
– pertanto, erano carenti i presupposti invocati a sostegno della revocazione, in carenza di prova della connotazione decisiva dei documenti prodotti nel giudizio di revocazione;
3. DICCAP ha proposto ricorso per cassazione con 6 motivi; le lavoratrici resistono con controricorso; entrambe le parti hanno depositato memoria.
4. Il P.G. ha concluso per il rigetto del ricorso.
5. La causa, originariamente affidata ad altro magistrato oggi in quiescenza, è stata rimessa sul ruolo con la nomina dell’odierno relatore.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo, parte ricorrente deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione degli artt. 2909 c.c., 324, 395 e 396 c.p.c. sulla questione della propria legittimazione, per avere, la Corte di merito, ritenuto che la questione dell’autonomia giuridica di SULPM Marche fosse passata in giudicato.
2. Con il secondo motivo deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione degli artt. 395 e 396 c.p.c. sulla decisività dei documenti ai fini della revocazione.
3. Con il terzo motivo deduce (art. 360, n. 3 e n. 4, c.p.c.) violazione o falsa applicazione degli artt. 132, n. 4, 115 e 116 c.p.c. e nullità della sentenza per omessa motivazione sulla carenza di prova della decisività di detti documenti.
4. Con il quarto motivo deduce (art. 360, n. 5, c.p.c.) omesso esame del fatto decisivo che SULPM Marche fosse il vero datore di lavoro, distinto e autonomo da SULPM.
5. Con il quinto motivo deduce (art. 360, n. 3, c.p.c.) violazione o falsa applicazione degli artt. 91 c.p.c. e 4, comma 3, D.M. 55/2014 per errata liquidazione delle spese del grado, per mancata applicazione dell’aumento del compenso del 30 % per il secondo soggetto (la Corte ha infatti condannato parte appellante a rimborsare le spese di lite separatamente liquidate per ciascuna lavoratrice appellata).
6. Con il sesto motivo deduce nullità dei procedimenti di primo grado e del provvedimento conclusivo per violazione dell’art. 24 Cost. per omessa notifica del ricorso e violazione del contraddittorio ex artt. 101 ss. c.p.c. e 111 Cost. per omessa notifica del ricorso a DICCAP, già SULPM dei ricorsi introduttivi.
7. Il primo, quarto e sesto motivo di ricorso, tutti afferenti alla questione dell’individuazione del soggetto legittimato al giudizio quale datore di lavoro e alla conseguente instaurazione del contraddittorio, sono inammissibili, poiché generici e non autosufficienti, nonché infondati.
8. Come rilevato nella sentenza impugnata (§ 10) il Tribunale a suo tempo ha esaminato la questione dei rapporti tra SULPM Marche, SULPM, poi SULPL, con sede in Genova (rimasto contumace benché regolarmente citato in giudizio), poi confluito in DICCAP, SULPL con sede in Modena (estromesso dal giudizio), con l’ordinanza non ritualmente opposta innanzi al Tribunale medesimo.
9. Contraddittoriamente parte ricorrente sostiene il proprio difetto di legittimazione per avere B. C. operato con struttura marchigiana autonoma distinta da quella nazionale e contemporaneamente si avvale della querela presentata da questi (querela del cui sviluppo o esito le parti non hanno fornito informazioni).
10. In realtà, è destituita di fondamento la prospettazione di parte ricorrente che “il rimedio revocatorio ha la finalità di rimettere in discussione sentenze civili già passate in giudicato”, perché non si tratta di rimedio impugnatorio generale e senza termini, ma di un rimedio straordinario soggetto a precise condizioni di legge (cfr. Cass. n. 885/2018, in cui si chiarisce che per giustificare la revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 3, c.p.c., è necessario che la parte si sia trovata nell’impossibilità, non dovuta a sua colpa, di produrre i documenti nel giudizio di merito; incombe pertanto su chi agisce in revocazione l’onere di dimostrare che, fino al momento dell’assegnazione della causa a sentenza, l’ignoranza dell’esistenza dei documenti e del luogo ove essi si trovavano non sia dipesa da sua colpa, ma da fatto dell’avversario o da causa di forza maggiore).
11. In tale ottica, si rileva che la mancata costituzione nei giudizi di impugnativa dei licenziamenti non risulta dipendente da una causa di forza maggiore, né, tanto meno, da un fatto dell’avversario. Parte ricorrente intende inammissibilmente rimettere in discussione questioni di fatto concernenti la legittimazione passiva come accertata, mediante documentazione da cui non risulta alcun nuovo elemento. Mira, in sostanza, inammissibilmente, a ridiscutere con revocatoria gli esiti di merito definiti con le ordinanze del 2015, l’appello avverso le quali è già stato dichiarato inammissibile dalla medesima Corte d’Appello con l’indicata pronuncia del 2015.
12. Il secondo e terzo motivo, entrambi riguardanti la questione della decisività o meno dei documenti ex artt. 395, n. 3, e 396 c.p.c., sono inammissibili, atteso che, da un lato, non colgono la ratio decidendi basata sull’immutabilità della contestazione disciplinare, vertendo invece i documenti asseritamente ritrovati dopo la pronuncia su fatti diversi da quelli addebitati alle lavoratrici, e, dall’altro lato, complessivamente mirano a una non consentita rivalutazione alternativa rispetto a quella operata dalla Corte di Appello con apprezzamento insindacabile poiché sostenuto da motivazione esaustiva e logica.
13. Il quinto motivo non è fondato.
14. La Corte distrettuale ha tenuto conto dell’autonomia dei giudizi riuniti, tenendo conto del fatto che le lavoratrici avevano posizioni processuali distinte, seppure analoghe. In proposito, la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il provvedimento discrezionale di riunione di più cause lascia immutata l’autonomia dei singoli giudizi e non pregiudica la sorte delle singole azioni, con la conseguenza che la congiunta trattazione lascia integra la loro identità, tanto che la sentenza che decide simultaneamente le cause riunite, pur essendo formalmente unica, si risolve in altrettante pronunce quante sono le cause decise, mentre la liquidazione delle spese giudiziali va operata in relazione a ciascun giudizio, atteso che solo in riferimento alle singole domande è possibile accertare la soccombenza (cfr. Cass. n.15860/2014, n. 27295/2022). Deve anche rilevarsi che, in sede di merito, l’ammissione di una parte al patrocinio a spese dello Stato implica una ulteriore distinzione delle posizioni in relazione alla liquidazione delle spese di lite, sicché le spese in favore delle due lavoratrici sono state liquidate separatamente e in relazione a titoli diversi.
15. Il ricorso deve pertanto essere respinto.
16. Parte ricorrente deve essere condannata alla rifusione in favore di parte controricorrente delle spese del presente giudizio, liquidate complessivamente come da dispositivo, tenuto conto che la Corte di cassazione non è competente sulla liquidazione dei compensi al difensore della parte ammessa al gratuito patrocinio (cfr. Cass. n. 11677/2020).
17. Si deve dar atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, previsto per l’impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio, che liquida in € 6.000 per compensi, € 200 per esborsi, spese forfettarie al 15%, accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13, ove dovuto.
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