CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 24926 depositata il 21 agosto 2023
Lavoro – Giornalisti – Pagamento dell’indennità “ex fissa” – Prestazione previdenziale integrativa corrisposta ai giornalisti alla cessazione del rapporto di lavoro – Incapienza e illiquidità del Fondo – Posizione dell’INPGI rispetto alle obbligazioni assunte dal Fondo nei confronti degli iscritti assimilabile a quella di un adiectus solutionis causa – Rigetto
Fatti di causa
La Corte d’appello di Roma confermava la pronuncia di primo grado che aveva accolto l’opposizione svolta dall’INPGI avverso un decreto ingiuntivo ottenuto dal giornalista L.P. e avente ad oggetto il pagamento dell’indennità “ex fissa” dovuta dal Fondo Integrativo contrattualmente istituito dal Contratto Nazionale di Lavoro Giornalistico (CNLG).
Riteneva la Corte che, in forza della Convenzione per la Gestione di Forme Previdenziali a Carattere Integrativo in favore dei Giornalisti Professionisti conclusa l’8.6.1994, INPGI non assumesse alcuna obbligazione in proprio verso il beneficiario della prestazione, siccome ente chiamato solamente a gestire il Fondo Integrativo.
Inoltre, INPGI aveva dimostrato che la prestazione chiesta era comunque inesigibile. Come dimostrato dai documenti prodotti dall’ente, il Fondo versava da anni in una situazione di illiquidità che impediva di soddisfare tutte le richieste di prestazioni avanzate.
Avverso la sentenza, L.P. ricorre per tre motivi, illustrato da memoria.
INPGI resiste con controricorso, illustrato da memoria.
In sede di camera di consiglio, il collegio si riservava il termine di 90 giorni per il deposito della presente sentenza.
Ragioni della decisione
Con il primo motivo di ricorso si deduce violazione e/o errata interpretazione degli artt.27 CNLG, 6, ult. co. della Convezione e 11 ult. co. del Regolamento approvati con accordo dell’8.6.1994, in relazione agli artt.3, 4, 5 della Convenzione e 3, 4, 5, 6, 7, 11 del Regolamento, nonché in relazione agli artt.1229, 1363, 1366, 1367, 1370, 2697 c.c., nonché omessa pronuncia in relazione agli artt.6, ult. co. Convenzione e 11, ult. co. Regolamento. La Corte avrebbe errato nell’interpretazione dell’art.6, ult. co. della Convenzione, pervenendo ad una indebita esclusione di responsabilità dell’INPGI. Né l’Istituto aveva dimostrato la propria incapacità finanziaria.
Con il secondo motivo, si deduce violazione e/o errata interpretazione della Convenzione e del Regolamento, in relazione all’art.1411 c.c., nonché violazione dell’art.360, co.1, n.4 c.p.c. La Corte avrebbe errato nell’escludere che la Convenzione integrasse un contratto a favore di terzo attribuendo un diritto al ricorrente nei confronti dell’INPGI.
Con il terzo motivo, si deduce violazione e/o errata interpretazione degli artt.91 e 92 c.p.c. per non avere la Corte d’appello compensato le spese di lite data la novità della questione.
I primi due motivi di ricorso, che possono essere trattati congiuntamente poiché pongono questioni strettamente connesse, sono infondati.
Va premesso che la prestazione per cui è causa non ha origine legale, bensì obbligatoria, trovando causa nell’accordo sindacale sottoscritto in data 8.6.1994 e richiamato dall’art. 27 CCNL per i dipendenti di imprese giornalistiche.
Tale accordo, a sua volta, ha ad oggetto una convenzione e un regolamento volti a disciplinare la prestazione previdenziale integrativa istituita in luogo della precedente indennità fissa corrisposta ai giornalisti alla cessazione del rapporto di lavoro: in essi si prevede la costituzione presso l’INPGI di una speciale gestione per la corresponsione delle prestazioni integrative (art. 1 convenzione), identificate nell’“accantonamento […] di un capitale” pari “a sette mensilità di retribuzione, calcolata con i criteri di cui all’art. 2121 c.c. sulla retribuzione denunciata dall’azienda a fini contributivi nel mese antecedente la risoluzione del rapporto di lavoro” (artt. 3 e 4 convenzione, artt. 3 e 4 regolamento), che può essere corrisposto o nella forma di “un assegno vitalizio reversibile […] integrativo del trattamento di pensione corrisposto dall’INPGI”, oppure in forma di “capitale pari all’accantonamento effettuato […] rivalutato in base alla variazione intervenuta nell’indice del costo della vita” (art. 5 convenzione).
L’art. 6 della convenzione disciplina poi le modalità di finanziamento del Fondo e prevede, per quanto qui rileva, che esso sia alimentato da un contributo mensile a carico dei datori di lavoro (comma 1°), che “l’Ente gestore del Fondo” (ossia l’INPGI) debba “sorvegliare che la liquidità del Fondo sia adeguata alle necessità” (comma 2°), provvedendo se del caso ad “avviare immediata segnalazione agli Enti stipulanti la Convenzione” della “somma necessaria e [del]l’Ente o [de]gli Enti tenuti al reintegro” (comma 4°), nonché, da ultimo, che “qualora, esperita tale segnalazione, la reintegrazione della liquidità richiesta non avvenga nel termine di due mesi e l’Ente gestore fosse posto nell’impossibilità di provvedere al pagamento di eventuali richieste di liquidazione del capitale nel frattempo presentate dai giornalisti aventi diritto o da loro superstiti, il Fondo dovrà farsi carico del pagamento degli interessi, calcolati nella misura del 12% annuo, a decorrere dalla scadenza del termine di cui sopra” (comma 5°), rimanendo per contro “l’Istituto […] esonerato dall’obbligo di corrispondere le prestazioni in assenza della necessaria disponibilità finanziaria”, in ragione del “regime di completa autonomia del Fondo integrativo” (comma 7°).
Così ricostruita la disciplina contrattuale collettiva, risulta anzitutto evidente che il Fondo costituito presso l’INPGI per la corresponsione della prestazione previdenziale integrativa istituita in luogo della precedente indennità fissa deve considerarsi un autonomo centro di imputazione di rapporti giuridici: esso infatti non si identifica con l’INPGI, che ne è solo “gestore” (“con contabilità separata” e con espressa previsione che “le spese di amministrazione sono addebitate al Fondo”: art. 9 della convenzione), ma costituisce soggetto giuridico autonomo di tipo associativo e con finalità mutualistiche, analogamente ai fondi previdenziali aziendali ex art. 2117 c.c. costituiti con apporto contributivo del datore di lavoro e dei lavoratori che non abbiano ottenuto la personalità giuridica (cfr. in tal senso Cass. nn. 2492 del 1982, 7755 del 2003, 25967 del 2017), con i quali indubbiamente condivide il carattere negoziale della fonte istitutiva, la formazione di un patrimonio autonomo in vista di uno scopo mutualistico e la predisposizione all’uopo di uno specifico ordinamento organizzativo.
In quest’ottica, se dev’essere logicamente escluso che i creditori personali dell’INPGI possano soddisfarsi sul patrimonio del Fondo, ostandovi la previsione dell’art. 2117 c.c., cit., risulta del pari evidente che la posizione specifica dell’INPGI rispetto alle obbligazioni assunte dal Fondo nei confronti degli iscritti è assimilabile a quella di un adiectus solutionis causa: l’Istituto è infatti incaricato dal Fondo di corrispondere agli iscritti le prestazioni nell’ambito (e nei limiti) della provvista costituita dai contributi versati nel patrimonio del Fondo, di talché la sua è propriamente un’obbligazione di facere che ha come destinatario il Fondo delegante, non già l’iscritto beneficiario della prestazione, nei cui confronti viceversa non assume alcuna obbligazione propria. Lo si desume non soltanto dalla previsione dell’art. 6, ult. co., della convenzione, secondo cui “l’Istituto risulta esonerato dall’obbligo di corrispondere le prestazioni in assenza della necessaria disponibilità finanziaria”, ma soprattutto dalla previsione del comma precedente, secondo cui la mancata reintegrazione della liquidità nel termine di due mesi dalla richiesta, cui sia seguita l’impossibilità dell’INPGI di provvedere al pagamento delle prestazioni richieste dagli iscritti aventi diritto, obbliga “il Fondo” (e non l’INPGI, appunto) al pagamento degli interessi.
Sotto questo profilo, deve recisamente escludersi che – come invece sostenuto da parte ricorrente – la convenzione abbia ad oggetto un contratto a favore di terzo nell’ambito del quale l’INPGI figurerebbe come promittente: promittente (e obbligato) è semmai il Fondo, mentre l’INPGI è semplicemente delegato al pagamento della prestazione cui ha diritto l’iscritto, secondo le previsioni del Fondo stesso. E ciò, dal canto suo, esclude che la previsione dell’art. 6, ult. co., della convenzione cit., possa sospettarsi d’illiceità per contrasto con l’art. 1229 c.c.: non rispondendo l’INPGI in proprio dei debiti del Fondo, è evidente che la clausola in questione non può in alcun modo costituire una ipotesi di limitazione preventiva della responsabilità del debitore per dolo o colpa grave.
In secondo luogo, la disciplina collettiva dianzi ricordata avvalora la conclusione dei giudici di merito secondo cui il funzionamento del Fondo avviene col sistema a ripartizione: oggetto della promessa del Fondo non è infatti l’incremento patrimoniale del valore dei contributi versati per ciascun lavoratore iscritto, come accade nei sistemi a capitalizzazione individuale, bensì una prestazione definita, costituita da un valore capitale pari “a sette mensilità di retribuzione, calcolata con i criteri di cui all’art. 2121 c.c. sulla retribuzione denunciata dall’azienda a fini contributivi nel mese antecedente la risoluzione del rapporto di lavoro” (artt. 3 e 4 convenzione, artt. 3 e 4 regolamento), che può essere corrisposta o nella forma di assegno vitalizio reversibile oppure in forma di capitale rivalutato in base alla variazione intervenuta nell’indice del costo della vita; ed è evidente che, essendo la prestazione del tutto sganciata dal valore e dal rendimento dei contributi versati, la funzione di questi ultimi non può che risiedere nella costituzione della provvista con cui provvedere al pagamento delle prestazioni correnti, come peraltro si desume chiaramente dalle previsioni, dianzi richiamate, dei commi 2°, 4° e 5° dell’art. 6 della convenzione, che fanno carico all’INPGI di vigilare sull’adeguatezza della provvista rispetto agli impegni in scadenza e di avvertire, in caso contrario, i soggetti tenuti al suo reintegro.
Non vale, in contrario, richiamare le molteplici norme contrattuali, pure dianzi riportate, che sanciscono il diritto di ogni iscritto ad un “accantonamento”: premesso, in termini generali, che, in materia di contrattazione collettiva, al fine di ricostruire la comune intenzione delle parti contrattuali, non può essere attribuita rilevanza esclusiva al senso letterale delle parole, dovendo piuttosto assegnarsi preminente rilievo al canone interpretativo dettato dall’art. 1363 c.c., secondo cui le clausole s’interpretano le une per mezzo delle altre, attribuendo a ciascuna il senso che risulta dal complesso dell’atto (così, da ult., Cass. n. 2996 del 2023, sulla scorta di numerosissime precedenti conformi), milita in senso radicalmente contrario rispetto all’ipotesi del fondo a capitalizzazione di accantonamenti individuali la previsione contrattuale secondo cui il Fondo è obbligato a corrispondere a ciascun iscritto soltanto una prestazione definita, calcolata secondo modalità che prescindono totalmente sia dall’ammontare dei contributi versati che dal rendimento di questi ultimi. Né potrebbe configurarsi in alcun modo un diritto degli iscritti a ricevere, in alternativa o in subordine, l’ammontare dei contributi versati in loro favore, prevedendo l’art. 2123 c.c. che tale liquidazione possa aver luogo soltanto quando i fondi di previdenza siano formati “con il contributo dei prestatori di lavoro”, ciò che nella specie è escluso dall’art. 6, comma 1°, della convenzione più volte cit.-
Tanto premesso, del tutto correttamente i giudici territoriali hanno condotto l’accertamento circa l’incapienza e l’illiquidità del Fondo avendo riguardo all’insufficienza complessiva della provvista a soddisfare già le numerosissime domande anteriori a quella presentata dall’odierna parte ricorrente, non senza rilevare che il successivo accordo sindacale del 24.6.2014, stipulato tra le medesime parti collettive che hanno istituito il Fondo, ha avuto come presupposto proprio lo stato di grave illiquidità del Fondo stesso (in relazione al quale, peraltro, oltre alla messa in liquidazione del Fondo, è stato previsto il pagamento rateale delle prestazioni in favore di coloro che avevano maturato il diritto alla prestazione); e non potendosi in questa sede di legittimità sottoporre a critica tale accertamento di fatto se non nei limiti di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., nel rigoroso senso indicato da Cass. S.U. n. 8053 del 2014, le censure di parte ricorrente vanno ritenute in parte qua radicalmente inammissibili.
Infondato è anche il terzo motivo di ricorso.
Basti sul punto richiamare il costante orientamento di questa Corte sull’assoluta insindacabilità della decisione di non procedere alla compensazione delle spese, costituendo quest’ultima espressione di un potere discrezionale del giudice di merito (così da ult. Cass. n. 24502 del 2017).
Il ricorso, conclusivamente, va rigettato. La novità e complessità della questione trattata giustifica la compensazione tra tutte le parti delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso. Compensa le spese.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, d.P.R. n. 115/2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13.