CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 25785 depositata il 5 settembre 2023
Lavoro – Illegittimità delle trattenute effettuate dall’INPGI – Previdenza sostitutiva dell’AGO – Restituzione somme indebitamente trattenute – Cumulo tra pensione e redditi da lavoro – Autonomia finanziaria dell’INPGI non integrale – Accoglimento
Svolgimento del processo
Con sentenza del giorno 24.5.2018 n. 356, la Corte d’appello di Bologna accoglieva l’appello proposto dall’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiano “G.A.” (in seguito, per brevità Inpgi) avverso la sentenza del tribunale di Parma che aveva accolto, previo disapplicazione dell’art. 15 del regolamento Inpgi (sul divieto di cumulo tra redditi da lavoro e pensione di anzianità), la domanda di P.T. volta a chiedere che fosse dichiarata l’illegittimità delle trattenute effettuate dall’Inpgi e per l’effetto la condanna dell’Istituto alla restituzione della somma di € 12.890,42, oltre rivalutazione ed interessi.
Il tribunale aveva rilevato che l’Inpgi, pur essendo un “ente privatizzato”, ex d.lgs. n. 509/1994, gestisce una forma di previdenza sostitutiva dell’AGO, per cui dovevano applicarsi ad esso le stesse norme che disciplinano l’AGO, ed aveva accolto conseguenzialmente il ricorso volto a riconoscere il cumulo tra redditi da lavoro e pensione di anzianità, condannando l’Inpgi a restituire le somme indebitamente trattenute.
La Corte d’appello, per quanto ancora d’interesse, a sostegno dei propri assunti di accoglimento del gravame dell’Inpgi, aderendo ad alcune pronunce di legittimità, ha evidenziato l’autonomia delle modalità organizzative delle forme di assistenza e previdenza obbligatorie gestite da enti dotati di personalità giuridica privata come l’Inpgi, rispetto all’Assicurazione Generale Obbligatoria gestita dall’Inps che è assoggettata, a differenza delle prime, ad una disciplina legislativa e non a regole elaborate dagli organi deliberanti in attuazione dei principi enunciati dal legislatore; la Corte d’appello ha richiamato in proposito i principi espressi da Cass. sez. un. un. n. 17589/15, laddove ha escluso che tra le forme esclusive e sostitutive dell’AGO rientrino gli enti privatizzati, di cui al d.lgs. n. 509/94. Di conseguenza, la medesima Corte d’appello ha interpretato l’art. 76 comma 4 della legge n. 388/2000, nella parte in cui dispone che le forme previdenziali gestite dall’Inpgi debbano essere coordinate con le norme che regolano il regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, nel senso che la necessità di un coordinamento è la negazione di una diretta e necessaria efficacia delle norme di previdenza sociale nell’ordinamento dell’Istituto e sul piano positivo l’affermazione di un autonomo potere di adeguare le norme stesse alle esigenze interne di bilancio. Da quanto espresso, secondo la Corte distrettuale deriverebbe la legittimità dell’art. 15 del regolamento dell’Inpgi sul divieto di cumulo tra pensioni e retribuzioni, posto che non è possibile ritenere riferibili automaticamente all’Inpgi le norme dettate per le forme previdenziali sostitutive pubbliche, data la divaricazione tra i due sistemi fondati su principi organizzativi diversi ed essendo rimessi appunto alle deliberazioni interne dell’ente, i requisiti e le modalità di godimento delle prestazioni previdenziali erogate, in relazione all’obiettivo primario di garantire l’equilibrio del bilancio, in rapporto alla specificità dei rapporti di lavoro assicurati e al trattamento complessivamente più favorevole riconosciuto agli iscritti.
Avverso la sentenza della Corte di appello, P.T. ricorre per cassazione, sulla base di due motivi e di una questione di legittimità costituzionale, illustrati da memoria, mentre l’Inpgi resiste con controricorso anch’esso illustrato da memoria.
Il PG ha rassegnato le proprie conclusioni scritte, nel senso dell’accoglimento del ricorso.
Il collegio riserva sentenza, nel termine di sessanta giorni dall’adozione della decisione in camera di consiglio.
Motivi della decisione
Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 38 della legge n. 416/81, come novellato dall’art. 76 della legge n. 388/2000, anche alla luce dell’art. 1 del d.lgs. n. 509/94, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., perché erroneamente la Corte d’appello non aveva riconosciuto come sostitutiva ed esclusiva la gestione previdenziale dell’Inpgi.
Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente deduce il vizio di violazione di legge, in particolare, dell’art. 19 del DL n. 112/08, convertito in legge n. 122/08, in relazione all’art. 360 primo comma n. 3 c.p.c., nella parte in cui la sentenza impugnata ha statuito l’inapplicabilità della suddetta disposizione nei confronti dell’Inpgi, in quanto ente privatizzato gestore di forme obbligatorie di previdenza e assistenza con la conseguente declaratoria di validità dell’art. 15 reg. Inpgi (sul divieto di cumulo della pensione di vecchiaia e dei redditi da lavoro).
Nel caso di mancato accoglimento dei primi due motivi, il ricorrente, in via subordinata, solleva eccezione di legittimità costituzionale del combinato disposto di cui agli artt. 19 del DL n. 112/08, convertito in legge n. 122/08 e dell’art. 38 della legge n. 416/81, come novellato dall’art. 76 della legge n. 388/2000, per violazione del principio di uguaglianza di cui agli artt. 2 e 3 Cost., perché con l’interpretazione avversata del disposto normativo di cui alla rubrica, i giornalisti iscritti alla gestione ordinaria dell’Inpgi, pur essendo dei lavoratori subordinati tenuti ad iscriversi alla gestione sostitutiva per espresso obbligo di legge, sarebbero ingiustificatamente penalizzati rispetto al trattamento pensionistico ordinario di ogni altro lavoratore dipendente, per il quale non vale il divieto di cumulabilità della pensione di anzianità con i redditi da lavoro.
Il primo e secondo motivo, che possono essere oggetto di un esame congiunto, sono fondati.
Questa Corte, superando il contrario avviso espresso da Cass. nn. 8067 e 12671 del 2016, ha ormai consolidato il principio secondo cui, in tema di cumulo tra pensione e redditi da lavoro, agli iscritti all’Istituto Nazionale di Previdenza dei Giornalisti Italiani (INPGI) deve applicarsi la stessa disciplina prevista per gli iscritti all’assicurazione generale obbligatoria facente capo all’INPS, con conseguente necessità di disapplicare l’art. 15 del Regolamento INPGI, cit., che disciplina la materia del cumulo tra reddito da lavoro e trattamento pensionistico in maniera diversa da quanto previsto nel regime relativo all’a.g.o. (così, da ult., Cass. nn. 19573 del 2019, 21470 del 2020, 22170 e 33140 del 2021, 30405/22).
A sostegno della continuità al principio già espresso da Cass. n. 1098 del 2012, questa Corte ha invero osservato che non si tratta certo di negare il valore semantico attribuito dall’opposto orientamento al disposto della L. n. 388 del 2000, art. 76, comma 4, secondo cui l’autonomia gestionale, organizzativa e contabile riconosciuta all’INPGI, come agli altri enti privatizzati ai sensi del D.Lgs. n. 509 del 1994, troverebbe limite nella mera esigenza che l’Istituto assicuri il coordinamento delle proprie regole gestionali con quelle operanti con riguardo al regime delle prestazioni e dei contributi delle forme di previdenza sociale obbligatoria, ma semmai di attribuire la necessaria rilevanza alla norma regolatrice della fattispecie ratione temporis di cui alla L. n. 388 del 2000, art. 72, comma 2 e della L. n. 289 del 2002, art. 44, comma 2, la cui formulazione letterale (secondo cui “a decorrere dal 1 gennaio 2003 il regime di totale cumulabilità tra redditi di lavoro autonomo e dipendente e pensioni di anzianità a carico dell’assicurazione generale obbligatoria e delle forme sostitutive, esclusive ed esonerative della medesima, prevista dalla L. 23 dicembre 2000, n. 388, art. 72, comma 1, è esteso ai casi di anzianità contributiva pari o superiore ai 37 anni a condizione che il lavoratore abbia compiuto 58 anni di età. I predetti requisiti debbono sussistere all’atto del pensionamento”) è tale da legittimare l’interpretazione secondo cui il regime di cumulo tra pensione di anzianità e redditi da lavoro ivi introdotto operi identicamente per la previdenza sociale obbligatoria e per le forme sostitutive, anche ove gestite da enti privatizzati, per modo che la disposizione cit. ben può rappresentare quella “norma espressa” che lo stesso Istituto ricorrente sostiene essere necessaria affinchè la disciplina dettata per i trattamenti pensionistici gestiti dall’a.g.o. sia applicabile anche agli iscritti alla forma sostitutiva gestiva dall’Istituto medesimo.
Tale soluzione non contrasta con la citata pronunzia n. 17589 del 2015 resa dalle Sezioni Unite di questa Corte, atteso che quest’ultima si riferisce all’interpretazione della disciplina sul contenimento della spesa pensionistica di cui al D.L. n. 201 del 2011 (conv. con L. n. 214 del 2011), e l’affermazione ivi contenuta, secondo cui il riferimento dell’art. 24, comma 4, D.L. ult. cit., alle forme esclusive e sostitutive dell’a.g.o. non si potrebbe estendere a quelle gestite dagli enti privatizzati, lungi dal valere come criterio interpretativo generale da estendere anche alla L. n. 289 del 2002, art. 44 appare piuttosto giustificata in relazione al fatto che, nell’ambito del D.L. n. 201 del 2011, cit., la normativa riguardante gli enti privatizzati gestori di forme obbligatorie di previdenza ed assistenza è regolata appositamente dall’art. 24, comma 24.
Si deve piuttosto aggiungere che – come parimenti rimarcato da Cass. n. 19573 del 2019, cit. – l’autonomia finanziaria dell’INPGI non è neppure integrale, soccorrendo proprio con riguardo alla disciplina dei pensionamenti anticipati la fiscalità generale: basti ricordare che il D.L. n. 185 del 2008, art. 19, comma 18-ter, lett. a), punto 2, (conv. con L. n. 2 del 2009), ha inserito nel corpo della L. n. 416 del 1981, art. 37 il comma 1-bis, secondo il quale “l’onere annuale sostenuto dall’INPGI per i trattamenti di pensione anticipata di cui al comma 1, lett. b), pari a 10 milioni di Euro annui a decorrere dall’anno 2009 è posto a carico del bilancio dello Stato”, con conseguente facoltà dell’Istituto di “ottenere il rimborso degli oneri fiscalizzati” previa presentazione di idonea documentazione.
A tale misura di sostegno finanziario, peraltro, va aggiunto il radicale intervento di cui alla L. n. 234 del 2021, art. 1, comma 103 con il quale, tra l’altro, ” Al fine di garantire la tutela delle prestazioni previdenziali in favore dei giornalisti, con effetto dal 1 luglio 2022, la funzione previdenziale svolta dall’Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani “G.A.” (INPGI) ai sensi della L. 20 dicembre 1951, n. 1564, art. 1 in regime sostitutivo delle corrispondenti forme di previdenza obbligatoria, è trasferita, limitatamente alla gestione sostitutiva, all’Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS) che succede nei relativi rapporti attivi e passivi (…)”.
Anche sotto tale profilo, dunque, la soluzione fatta propria dai giudici di merito si rivela viziata dagli errori imputatigli da parte ricorrente.
In virtù dell’accoglimento dei primi due motivi, la dedotta questione di legittimità costituzionale resta assorbita.
Il ricorso, pertanto, va accolto e la causa va rinviata alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, affinché esamini la fattispecie relativa alla domanda proposta dal ricorrente alla luce del principio sopra espresso.
Al giudice del rinvio è demandata anche la regolazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Bologna, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.
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