Corte di Cassazione sentenza n. 26285 depositata il 6 settembre 2022
Ritenute a titolo di imposta – Incaricati alle vendite non residenti – reddito d’impresa – detrazione IVA
Fatti di causa
L’Agenzia delle entrate-Direzione provinciale di Milano, a seguito di una verifica a opera della Guardia di Finanza e della notificazione del relativo processo verbale di constatazione, accertò, con separati avvisi, nei confronti della A.I. s.r.l., violazioni formali inerenti alla compilazione della dichiarazione e violazioni sostanziali concernenti l’omessa ritenuta a titolo di imposta, ai sensi dell’art.25 del d.P.R.n.600 del 1973, sulle provvigioni corrisposte agli incaricati alle vendite a domicilio non residenti per gli anni di imposta 2007, 2008 e 2009. Con separati atti di contestazione vennero irrogate le conseguenti sanzioni. Tutti gli atti impositivi vennero impugnati dalla Società, con singoli ricorsi, che la Commissione tributaria provinciale, con tre distinte sentenze, accolse integralmente.
Gli appelli, proposti dall’Agenzia delle entrate, avverso le decisioni di primo grado, sono stati, previa riunione, rigettati, con conferma delle sentenze impugnate, dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia (d’ora in poi C.T.R.), con la sentenza indicata in epigrafe.
Il Giudice di appello, per quello che qui rileva, accertava che, nella fattispecie, come non contestato in fatto dall’Ufficio, l’incaricato alle vendite, non residente, svolgeva, per conto della A.I., un’attività senza stabile organizzazione che, a differenza di quella di un incaricato residente, constava unicamente nella sponsorizzazione di nuovi incaricati residenti. In pratica, unico scopo della sua attività di incaricato alle vendite…è la costituzione di una linea di vendite a lui collegata, a fronte della quale riceverà unicamente la provvigione indiretta c.d. bonus. Si tratta, pertanto, di una sorta di percezione di reddito non collegata ad uno svolgimento diretto di attività di vendita in Italia, svolta invece da altri soggetti. In fatto, gli incaricati non residenti (privi di stabile organizzazione sul territorio) non svolgono alcuna attività nel territorio dello Stato, pur percependo provvigioni.
Sulla base di tale accertamento in fatto, la C.T.R. riteneva che potesse applicarsi il principio già fissato da questa Corte (Cass.Sez.V. 21.4.2011 n.9197) secondo cui la qualificazione di reddito quale reddito di impresa dipende dal requisito soggettivo dell’esercizio di impresa commerciale da parte del percepiente, a prescindere da qualsiasi altro diverso requisito, essendo la ricorrenza della stabile organizzazione semplice condizione di localizzazione del reddito medesimo e di sua imponibilità in Italia.
In merito, alla decisione di primo grado, con la quale la C.T.P., in accoglimento del ricorso proposto dalla Società, aveva annullato l’avviso di accertamento relativo a un’indebita detrazione dell’I.V.A. per l’anno 2007, riguardante le fatture provvigionali della venditrice porta a porta sig.ra P., il Giudice di appello riteneva, nel confermare la sentenza della C.T.P., condivisibili le argomentazioni svolte dalla Società ovvero che il diritto alla detrazione da parte del committente dell’IVA assolta sull’acquisto di servizi resi da prestatori non più soggetti passivi è espressamente riconosciuto dalla Giurisprudenza della Corte di Giustizia UE (Sez.III, 26.9.2012, causa c.-324/11), salvo che l’Amministrazione finanziaria fornisca prova della sua conoscenza della fittizietà del servizio ricevuto, prova non fornita dall’Agenzia delle entrate nel caso specifico (cfr.anche Cass.Sez.V, 11.9.2013 n.20777).
Per la cassazione della sentenza, l’Agenzia delle entrate ha proposto un unico motivo ricorso cui resiste, con controricorso, la Società.
Il ricorso è stato avviato alla trattazione alla pubblica udienza, nelle forme di cui all’art.23, comma 8 bis, della legge n.176 del 2020, in prossimità della quale il P.G. ha depositato le sue conclusioni scritte, chiedendo, in accoglimento del ricorso, la cassazione della sentenza impugnata e, con decisione nel merito, il rigetto del ricorso introduttivo della contribuente.
La Società ha depositato memoria.
Ragioni della decisione
1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle entrate deduce, in relazione all’art.360, primo comma, num.3 cod.proc.civ., la violazione e falsa applicazione degli 23, comma 1, lett.f) e 67 c.1, lett.i) del d.P.R. n.917 del 1986 (TUIR) nonché dell’art.25, comma secondo, del d.P.R. n.600 del 1973. Secondo la prospettazione difensiva, la stessa C.T.R. aveva riconosciuto che gli emolumenti, in questione, fossero proventi di “natura occasionale”, come tali rientranti ai sensi dell’art 67 T.U.I.R. nella categoria dei “redditi diversi” e, quindi, essendo pacifico che l’attività fosse stata volta in Italia, imponibili ai sensi del citato articolo 23 T.U.I.R., con la conseguente necessità, ai sensi dell’art.25, comma secondo, del d.P.R. n.600 del 1973, di applicare la ritenuta alla fonte sui redditi medesimi da parte del soggetto che tali emolumenti corrispondeva. In sintesi, secondo la ricorrente, secondo il chiaro tenore del disposto normativo, vanno assoggettati a ritenuta i proventi corrisposti ai soggetti non residenti anche per le prestazioni, da questi effettuate, inquadrabili in qualche modo nelle attività di impresa che, per qualsiasi motivo, non possono però considerarsi esercizio abituale e/o professionale di attività commerciali e che, pertanto, danno luogo a “redditi diversi”.
2. La Società ha eccepito l’inammissibilità del ricorso, per difetto del requisito dell’autosufficienza e per non avere riportato le argomentazioni, oggetto di censura, della sentenza impugnata, laddove, da un canto, i brani riportati si riferivano alle sentenze di primo grado, e dall’altro, la sentenza impugnata si era pronunciata su tre distinte questioni affrontate dalle tre decisioni di primo grado (la qualificazione delle provvigioni e la tassabilità in Italia dei redditi conseguenti, la contestazione/irrogazione delle sanzioni, le fatture provvigionali predisposte per nome e per conto di tale P.) e non era chiaro, dal contenuto del ricorso, quali capi fossero oggetto di
3. L’eccezione va respinta. Il ricorso riporta, in ossequio al principio di specificità, tutti gli elementi in fatto e in diritto richiesti dall’art.366 proc.civ., apparendo evidente, dal tenore complessivo dell’atto, che l’Agenzia delle entrate -mentre non ha, effettivamente, svolto alcuna censura avverso il capo di sentenza che ha confermato l’annullamento dell’avviso di accertamento relativo all’IVA- ha, invece, focalizzato l’impugnazione sui capi della sentenza della C.T.R relativi agli appelli proposti avverso le decisioni che avevano trattato gli avvisi di accertamento relativi alle ritenute e i conseguenti atti di contestazione e irrogazione delle sanzioni.
3.1 A fronte del tenore delle censure, formulate ai sensi del num.3 del primo comma dell’art.360 proc.civ., e conferenti rispetto al decisum della C.T.R., la trascrizione di un brano della sentenza di primo grado, erroneamente indicato come motivazione della sentenza impugnata con il ricorso per cassazione, appare pertanto, ininfluente, ai fini dell’ammissibilità dello stesso ricorso.
4. Procedendo quindi, alla trattazione dell’unico motivo di ricorso, appare utile premettere i dati di fatto della controversia, come emergono, pacificamente dagli atti processuali e accertati, senza censura sul punto, nella sentenza impugnata.
La società A.I. s.r.l., negli anni oggetto di accertamento, si avvalse dell’opera di soggetti, non residenti e privi di stabile organizzazione in Italia, incaricati alla vendita a domicilio, corrispondendo agli stessi, a titolo di provvigione indiretta per le vendite effettuate dalla linea di vendita, da loro creata, composta da ulteriori e diversi incaricati residenti, un bonus.
L’Agenzia delle entrate, con gli avvisi di accertamento e gli atti di contestazione e irrogazione sanzioni impugnati, ebbe a rilevare che tale reddito (ovvero il predetto bonus), avente natura di provvigione, corrisposta a soggetti non residenti privi di stabile organizzazione nel territorio dello Stato, non potesse essere qualificato reddito di impresa, ma rientrasse tra i redditi diversi, e quindi imponibile in Italia, ai sensi dell’art.25, secondo comma, del d.P.R. n.600 del 1973 e, quindi, soggetto a ritenuta di imposta del 30 per cento.
La contestazione tra le parti permane in ordine alla corretta qualificazione di tali bonus, ribadendone l’Amministrazione erariale la natura di redditi diversi, assoggettabili a ritenuta, mentre, di contro, secondo la Società, gli stessi sarebbero redditi di impresa, non assoggettabili a ritenuta, siccome percepiti da soggetti non residenti.
5. Ciò posto in fatto, appare utile delineare il quadro normativo di riferimento:
- l’art. 23 del d.P.R. 22 dicembre 1986 n.917 (rubricato Applicazione dell’imposta ai non residenti) considera al suo primo comma, e) prodotti in Italia i redditi d’impresa derivanti da attività esercitate nel territorio mediante stabili organizzazioni e alla lettera f) i redditi diversi derivanti da attività svolte nel territorio dello Stato e da beni che si trovano nel territorio dello stesso.
- l’art.67 del citato d.P.R. n.917 del 1986 – intitolato <<redditi diversi>>- prevede che sono redditi diversi se non sono conseguiti nell’esercizio delle arti o di professioni o di imprese commerciali ……né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:…i) i redditi derivanti da attività commerciali non esercitate abitualmente;
- l’art.25 del d.P.R. n.600 del 1973, nel prevedere l’obbligo di operare la ritenuta, a titolo di acconto dell’imposta, sul reddito delle persone fisiche dei percipienti, residenti nello Stato, sui compensi comunque denominati, esclude espressamente dalla ritenuta le prestazioni effettuate nell’esercizio di Il secondo comma dello stesso articolo stabilisce: Salvo quanto disposto nell’ultimo comma del presente articolo, se i compensi e le altre somme di cui al comma precedente sono corrisposti a soggetti non residenti deve essere operata una ritenuta a titolo di imposta del trenta per cento anche per le prestazioni effettuate nell’esercizio di imprese. Ne sono esclusi i compensi …corrisposti a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti.;
- con l’entrata in vigore del D.L. 30 dicembre 1982, n. 953, è stato introdotto, con effetto dal 1° gennaio 1983, l’art. 25 bis nel P.R. 29 settembre 1973, n. 600, recante la disciplina della “ritenuta sulle provvigioni inerenti a rapporti di commissione, di agenzia, di mediazione, di rappresentanza di commercio e di procacciamento di affari”.
5.1 Tale ultima normativa, nel perseguire lo scopo di rendere più sicuro e certo il prelievo fiscale per la specifica tipologia di reddito conseguito dalle categorie di soggetti di cui al predetto art. 25 bis, tra i quali sono espressamente ricompresi i venditori a domicilio, ha di fatto introdotto una deroga all’ordinaria disciplina del reddito d’impresa, in quanto prevede l’assoggettamento a ritenuta di componenti positivi di reddito costituenti a tutti gli effetti ricavi tipici d’impresa. I soggetti cui si riferisce l’art. 25 bis del D.P.R. n. 600/1973, infatti, ai sensi della normativa tributaria di cui all’art. 55 del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, sono considerati titolari di reddito d’impresa, sempreché l’attività d’intermediazione commerciale sia esercitata in modo continuativo per professione abituale. In particolare, ai sensi di quanto previsto dal primo comma del sopra citato art. 55, per esercizio di imprese commerciali si intende lo svolgimento con il carattere dell’abitualità (ancorché non in via esclusiva) delle “attività indicate nell’art. 2195 c.c., …, anche se non organizzate in forma d’impresa”. Tra le attività commerciali elencate nell’art.2195 cod.civ. rientrano, annoverate nel numero 5), quelle denominate “ausiliarie”, nel cui ambito definitorio è fatta rientrare anche l’attività promozionale delle vendite esercitata dagli agenti di commercio (con o senza rappresentanza) la quale, pertanto, configura un’attività d’impresa ed i relativi ricavi conseguiti, costituiti tipicamente dalle provvigioni, costituiscono, pertanto, componenti positivi del reddito d’impresa.
Può, quindi, concludersi nel senso che la norma di cui all’art. 25 bis del D.P.R. 600/1973 non è intervenuta nell’ambito definitorio di tali redditi, la cui natura rimane quella dei redditi d’impresa, ma si è limitata ad introdurre una nuova modalità di riscossione dell’imposta che ora avviene tramite l’effettuazione della ritenuta alla fonte.
6. Così ricostruito il quadro normativo di riferimento, la tesi dell’Agenzia delle entrate secondo cui, in mancanza di stabile organizzazione in Italia, non sussiste reddito di impresa e che, per questo, qualunque sia l’attività svolta all’estero dall’agente, mancherebbe rispetto all’attività svolta in Italia, il requisito di abituabilità e professionalità dell’attività come richiesto dall’art.55 TUIR, non può essere condivisa.
6.1 Premesso che, come sopra visto, in fatto è rimasta esclusa la mera occasionalità della prestazione, deve, al contrario, ritenersi, alla luce del quadro normativo come sopra delineato, che la qualifica del reddito di impresa permane anche nei confronti degli intermediari/agenti professionali non residenti e che, in applicazione del criterio enunciato all’art.23, primo comma, lett.e) del d.P.R. n.917 del 1986, il presupposto impositivo nei confronti del soggetto non residente si verifica esclusivamente nell’ipotesi (nella fattispecie esclusa) in cui i redditi derivino da un’attività esercitata in Italia mediante una stabile organizzazione. Nel caso (quale quello in esame) in cui, invece, l’intermediario non residente non si avvalga di una stabile organizzazione nel territorio dello Stato, le provvigioni corrisposte dal soggetto committente non sono tassabili in Italia e, quindi, non sorgerà alcun obbligo di ritenuta.
6.2 Tale soluzione trova conforto non solo nel principio, già statuito da questa Corte (cfr. Sez.Un.n. 7184 del 1983 ribadito da Cass.Sez.5 21 aprile 2011 n.9197) secondo cui <<la qualificazione di reddito di impresa dipende dal requisito soggettivo dell’esercizio dell’impresa commerciale da parte del percipiente a prescindere da qualsiasi altro diverso requisito (essendo la ricorrenza della stabile organizzazione semplice condizione di localizzazione del reddito medesimo e di sua imponibilità in Italia ed, inoltre, che, per poter scindere (e diversificare nel trattamento fiscale) le componenti del reddito d’impresa di un soggetto straniero e privo di autonoma organizzazione nel territorio dello Stato, è necessaria una specifica disposizione di legge>> ma è, altresì, conforme alle regole generali contenute nel modello OCSE di convenzione contro le doppie imposizioni (business profits, art.7, permanent estabilishment, art.5) le quali confermano che l’agente estero è imprenditore ed è soggetto di imposta nello Stato solo ove abbia ivi una stabile organizzazione.
6.3 Tale regime impositivo è, peraltro, confermato anche dalla prassi (circolare 10 giugno 1983 24/8/8459) laddove (capitolo primo, paragrafo c) il Ministero delle finanze, a commento della normativa di cui al d.l. 30 dicembre 1982 n.953 (con cui è stato introdotto il citato art.25 bis), dopo avere ribadito l’applicabilità della ritenuta alle provvigioni corrisposte a stabili organizzazioni in Italia di soggetti non residenti, ha affermato che di converso non sono assoggettabili alla ritenuta in esame le provvigioni erogate in favore di soggetti non residenti che non hanno nel territorio dello Stato una stabile organizzazione.
7. Alla stregua delle considerazioni che precedono la sentenza impugnata, che ha fatto piana applicazione dei superiori principi, rimane esente da censura, con conseguente rigetto del ricorso.
8. La novità delle questioni trattate induce a compensare tra le parti le spese processuali.
9. Nei confronti dell’Agenzia delle Entrate, non sussistono i presupposti processuali per dichiarare l’obbligo di versare, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.p.r. n. 115 del 2002, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della l. n. 228 del 2012, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, non potendo tale norma trovare applicazione nei confronti delle Amministrazioni dello Stato che, mediante il meccanismo della prenotazione a debito, sono esentate dal pagamento delle imposte e tasse che gravano sul processo (cfr. Cass.n.1778 del 29/01/2016).
P.Q.M.
Rigetta il ricorso.
Compensa integralmente tra le parti le spese dei gradi di merito e quelle del giudizio di legittimità.
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