CORTE di CASSAZIONE – Sentenza n. 26499 depositata il 14 settembre 2023
Lavoro – Licenziamento collettivo – Criteri di scelta – Decremento delle attività commerciali – Frazionamento tra due società di un’unica attività – Corsi di formazione – Inammissibilità
Fatti di causa
1. La Corte di appello di Firenze, confermando la pronuncia del Tribunale di Pisa, ha – con la sentenza n. 525/2020 – respinto la domanda di annullamento del licenziamento collettivo intimato da N. s.r.l. ai lavoratori indicati in epigrafe.
2. La Corte territoriale ha rilevato che il criterio di scelta imperniato sulle esigenze tecniche produttive aziendali, nella specie, sul decremento delle attività commerciali concernenti il settore della vendita e della manutenzione di smartphone e sul mantenimento dei dipendenti che presentavano “polivalenza delle mansioni ed elasticità dimostrata durante il rapporto di lavoro” era stato puntualmente indicato nella lettera di avvio della procedura di licenziamento e correttamente applicato, essendo emersa – sin dal 2011 – una grave crisi della vendita e della manutenzione degli smartphone a marchio N. e la diversificazione dell’attività produttiva verso il settore dei pannelli pubblicitari a LED (in relazione alla quale solamente alcuni lavoratori avevano le necessarie competenze, anche per aver seguito i corsi di formazione organizzati dall’azienda); la Corte ha aggiunto che la richiesta dei lavoratori relativa all’accertamento di un centro unico di interessi tra N. s.r.l. e N.A. s.r.l. non era determinante ai fini del giudizio, in quanto gli stessi lavoratori avevano allegato che la N.A. s.r.l. non aveva propri dipendenti, operando con i lavoratori assunti da N. s.r.l. (lavoratori che, dunque, erano tutti stati coinvolti nella procedura di licenziamento), deduzione confermata dalla circostanza che il ricorso introduttivo del giudizio aveva comparato – ai fini della verifica del rispetto dei criteri di scelta – la posizione dei ricorrenti con gli altri lavoratori della N. s.r.l., senza fare riferimento alcuno ad altre posizioni esistenti nell’ambito di N.A. s.r.l. comparabili.
3. Per la cassazione di tale sentenza i lavoratore hanno proposto ricorso affidato a tre motivi. La società ha resistito con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memorie.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo di ricorso si deduce omesso esame di un fatto decisivo e violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione agli artt. 4 e 5 della legge n. 223 del 1991 in combinato disposto con l’art. 18, comma 7, dello Statuto dei lavoratori (ex art. 360, primo comma, nn. 3 e 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, ritenuto superfluo l’accertamento della sussistenza di un unico centro di imputazione di interessi tra N. s.r.l. e N.A. s.r.l. che, invece, ai fini della completezza della comunicazione di avvio della procedura di licenziamento era rilevante, posto che il settore dei pannelli LED aveva determinato un progressivo incremento del fatturato per la N. s.r.l. e anche l’andamento economico della N.A. s.r.l. era positivo, ciò che avrebbe consentito di optare per una riqualificazione del personale dichiarato in esubero.
2. Con il secondo motivo si deduce omesso esame circa un fatto decisivo del giudizio (ex art. 360, primo comma, n. 5, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che le società non avevano provato che i lavoratori-ricorrenti potevano essere adibiti solamente al settore degli smartphone; la circostanza, inoltre, della mancata frequentazione dei corsi di aggiornamento utili al fine di intraprendere l’attività di assistenza al settore LED non significava che, in concreto, detta attività non fosse stata svolta in concreto e che non rientrasse nel livello di inquadramento, senza contare che la frequentazione di detti corsi da parte dei dipendenti più giovani e senza carichi di famiglia ne sottintendeva un uso strumentale.
3. Con il terzo motivo si denunzia violazione e falsa applicazione degli artt. 115 cod.proc.civ. e 111 Cost. (ex art. 360, primo comma, n. 3, cod.proc.civ.) avendo, la Corte distrettuale, trascurato che i lavoratori-ricorrenti avrebbero potuto svolgere le mansioni nel settore LED a seguito di frequentazione di corsi di aggiornamento e che il frazionamento tra le due società, dell’unica attività era stato certamente dettato dalla volontà di non travolgere la neonata società N.A., creando così una good company e una bad company.
4. I motivi di ricorso, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto strettamente connessi, sono inammissibili.
5. In via preliminare va precisato che al presente ricorso si applica il nuovo testo dell’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. (introdotto dall’art. 5 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 134), visto che la sentenza impugnata è stata depositata dopo il giorno 11 settembre 2012; ne consegue che sono inammissibili i primi due motivi nei quali si fa riferimento a tale norma senza tuttavia adeguarsi, nella sostanza, al suo nuovo contenuto precettivo.
5.1. Infatti, come precisato dalle Sezioni unite di questa Corte (vedi: sentenze 7 aprile 2014, n. 8053 e n. 8054) e dalla successiva giurisprudenza conforme, nei giudizi per Cassazione assoggettati ratione temporis alla nuova normativa, la formulazione di una censura riferita al n. 5 dell’art. 360 cit. che replica sostanzialmente il previgente testo di tale ultima disposizione — come accade nella specie — si palesa inammissibile alla luce del nuovo testo della richiamata disposizione, che ha certamente escluso la valutabilità della “insufficienza” o della contraddittorietà della motivazione, limitando il controllo di legittimità all’«omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti», il che significa che la ricostruzione del fatto operata dai giudici di merito è sindacabile in sede di legittimità soltanto quando la motivazione manchi del tutto ovvero sia affetta da vizi giuridici consistenti nell’essere stata essa articolata su espressioni od argomenti tra loro manifestamente ed immediatamente inconciliabili, oppure perplessi od obiettivamente incomprensibili (Cass. 9 giugno 2014, n. 12928; Cass. 16 luglio 2014, n. 16300), circostanze che non ricorrono nel caso di specie in quanto la Corte territoriale ha puntualmente e coerentemente esaminato i motivi di ricorso alla procedura di licenziamento collettivo da parte della società N. ritenendo rispettato il dettato normativo degli artt. 4 e 5 della legge n. 223 del 1991.
6. In ordine al primo ed al terzo motivo va altresì rilevato che le censure difettano di decisività perché non è dedotta, se non in termini meramente assertivi, l’incidenza dell’eventuale svolgimento di corsi di formazione da parte dei lavoratori licenziati e la fraudolenta volontà di frazionamento tra due società di un’unica attività, laddove la Corte d’appello ha, comunque, tenuto conto della peculiarità della fattispecie, ossia dell’avvio della procedura di licenziamento esclusivamente da parte della N., riconoscendo che gli stessi lavoratori – impugnando il licenziamento collettivo con particolare riguardo alla violazione dei criteri di scelta – avevano comunque dedotto che la società N.A. era priva di dipendenti con conseguente “comparazione effettiva tra lavoratori licenziati e lavoratori rimasti in servizio (tutti di N. s.r.l.)”; le ulteriori censure contenute nei motivi sono inammissibili in quanto non individuano un errore di diritto ma, piuttosto, involgono apprezzamenti di merito in ordine alla proficua attività di produzione di pannelli LED e alle competenze dei lavoratori in questo settore specifico, valutazioni in quanto tali sottratti al sindacato di questa Corte.
7. La dedotta violazione dell’art. 115 cod.proc.civ. non è ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (Cass., Sez. U, n. 11892/2016, Cass. Sez.U. n. 20867 del 2020), circostanza che non ricorre nella presente fattispecie;
8. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese di lite sono regolate secondo il criterio della soccombenza dettato dall’art. 91 cod.proc.civ. e liquidate come in dispositivo.
9. Il ricorso è stato notificato in data successiva a quella (31/1/2013) di entrata in vigore della legge di stabilità del 2013 (L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17), che ha integrato il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, aggiungendovi il comma 1 quater del seguente tenore: “Quando l’impugnazione, anche incidentale è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma art.1 bis. Il giudice da atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso”. Essendo il ricorso in questione (avente natura chiaramente impugnatoria) integralmente da respingersi, deve provvedersi in conformità.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti a pagare le spese del presente giudizio di legittimità liquidate, a favore di ciascuna società controricorrente, in euro 200,00 per esborsi e in euro 5.000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
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